REGGIO CALABRIA - La Calabria ha beni di immenso valore che tutto il mondo ci invidia. Sono
una grossa componente culturale, turistica e anche economica della vita
regionale. Ma molti di questi beni rischiano di essere persi irrimediabilmente.
Preziose testimonianze della storia dell’umanità. Gli studiosi invocano
salvaguardia e difesa, ma riscontrano poca tutela e molti danni. Bisogna agire,
prima che sia troppo tardi. Negligenze, tante. Emergenze, troppe. Interventi
risolutivi, pochi. Insufficienti. Da un capo all’altro della regione. Si
mobilita ancora il mondo culturale. Servono fondi adeguati che in questo
momento di crisi è difficile ottenere, sia a livello di governo regionale che
nazionale. I tagli non risparmiano i tesori archeologici.
Non sempre c’è la
necessaria sensibilità. Si ripetono gli appelli di chi da una vita si dedica
alla scoperta, al restauro, alla conservazione e alla valorizzazione delle
testimonianze del passato. No deciso al pessimismo della rassegnazione. Sì
all’ottimismo della volontà. Fare come i soci del Rotary Club di Locri, presieduto dal prof. Vincenzo Naymo, docente di Storia
Economica presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell'Università
di Messina. Il 12 dicembre prenderà il via, per iniziativa del Club locrese,
con la supervisione della Soprintendenza per i Beni archeologici della
Calabria, una campagna per salvare il Parco Archeologico di Monasterace, in provincia di Reggio
Calabria.
“La raccolta fondi - ci dice lo studioso di Gioiosa Jonica - sarà avviata dal
Rotary Club di Locri con una tombolata nel Circolo di riunione di Locri e con
l’appello “a tutti gli amici, rotariani e non, affinché, ciascuno secondo le
proprie possibilità, dia un piccolo contributo per aiutarci a salvare questo
grande patrimonio di una fra le più antiche e illustri culture del mondo”.
Nello stesso tempo viene rivolto con una mail l’invito a tutti i rotariani del
mondo (1.200.000 circa) di versare un euro: “Aiutateci a salvare il tempio
dorico e i mosaici dei draghi e delfini di Kaulonia, un patrimonio
straordinario, di una fra le più antiche e illustri culture del mondo!”.
Ricorda il prof. Naymo: “Nel 2012 nell’antica città magnogreca di Kaulonia gli
scavi archeologici hanno portato alla luce uno straordinario mosaico
pavimentale, esteso oltre 25 mq, (datato tra la fine del IV-inizio del III sec.
a. C.) che per lo sviluppo dei suoi decori, per lo stato di conservazione e per
la sua estensione può essere considerato fra i più importanti ed i più antichi
finora rinvenuti nel mondo. La mancanza di mezzi economici per poter procedere
alla tutela e alla salvaguardia dell’opera ritrovata, purtroppo hanno costretto
l’équipe degli archeologici a reinterrare il tutto, per preservarlo dagli
agenti atmosferici. Le violente mareggiate hanno altresì messo a repentaglio la
stessa sopravvivenza dell’area del mosaico”. Per questo è necessario “provvedere
alla progettazione e costruzione di un’adeguata copertura per le aree
mosaicate, al fine di impedirne il deterioramento da parte delle intemperie,
rendendole fruibili ai visitatori”. Ma è improcrastinabile l’esigenza di
“intervenire rapidamente per fermare al più presto l’azione erosiva delle acque
marine”. Occorre dunque accelerare “la costruzione di imponenti
strutture di sbarramento a protezione della duna superstite, scongiurando così
la distruzione di tutta l’area”. Non si può perdere altro tempo: ”Misure
irrinunciabili e impellenti” sostenute da finanziamenti “adeguati e
consistenti” perché “i fondi dello Stato sono scarsi e quasi inesistenti!”
Ma approfondiamo la conoscenza del complesso
archeologico termale e del mosaico del “drago” di Kaulonia, attraverso la
scheda della studiosa Maria Teresa
Iannelli, direttrice del Museo e dell'area archeologica di Monasterace, nonché direttrice del
Museo Nazionale di Vibo Valentia.
Scrive: “L’antica Kaulonia, agli inizi del Novecento, è stata identificata dall’archeologo
Paolo Orsi nella moderna cittadina
di Monasterace Marina, in provincia di Reggio Calabria. Si tratta di una
colonia achea fondata all’inizio del VII sec. a.C., sulla costa ionica
calabrese. Nell’ambito del Parco Archeologico di Monasterace, le indagini
effettuate dalla Soprintendenza per i Beni archeologici della Calabria,
condotte nel tempo, con l’ausilio di studenti provenienti da varie università
italiane e straniere, dirette da me e da Francesco
Cuteri, hanno rinvenuto un edificio riferibile alla fine del IV secolo
a.C., che rientra nella nuova organizzazione urbanistica, promossa in seguito
alla distruzione della città operata dai Siracusani, nel 389 a.C.”
La direttrice del Museo descrive “l’edificio,
particolarmente monumentale (oltre 35 m. x 17), che occupa più di un intero
isolato e si configura probabilmente, fin dalle origini, come un’area pubblica.
A questa prima fase, definita dall’insieme delle strutture murarie, sono da
riferire le preziose tracce di intonaco rosso presenti sulle pareti di alcuni
ambienti. Tra la fine del IV ed il III secolo l’edificio, pur continuando a
mantenere una connotazione di carattere pubblico, viene trasformato in un
articolato complesso termale. Vari ambienti di rappresentanza si alternano a
quelli di servizio muniti di panche in muratura: una grande vano di forma
circolare è stato identificato come bagno per la presenza di almeno cinque
vasche in terracotta, per abluzioni singole, ora esposte nel locale Museo; un
ipocausto (fornace) era finalizzato al riscaldamento dell’acqua utilizzata
nelle terme; un grande ambiente rettangolare, munito di panche, di una lunga
piscina rettangolare, e pavimentato con un mosaico policromo, era usato per il
bagno caldo. Il complesso termale è unico nel suo genere (gli altri pochi
esempi sono stati rinvenuti: a Velia, a Morgantina, a Gela, e a Siracusa)”.
Quindi Maria
Teresa Iannelli spiega che “la monumentalità e l’articolazione funzionale
dell’edificio termale sono state ulteriormente sottolineate dalle più recenti
ricerche, condotte nell’estate de 2012, che hanno portato alla scoperta, nel
cosiddetto ambiente H (grande vano con lunga piscina rettangolare per il bagno
caldo), che deve essere inteso, a pieno titolo, come il cuore dell’intero
complesso, di uno straordinario mosaico pavimentale, esteso oltre 25 mq., che
mostra un repertorio decorativo particolarmente ricercato. Il mosaico (datato
tra la fine del IV - inizio del III sec. a.C.), per lo sviluppo dei suoi
decori, per lo stato di conservazione e per la sua estensione può essere
annoverato fra i più importanti ed i più antichi finora rinvenuti tra Magna
Grecia e Sicilia. Esso era coperto dal monumentale crollo della volta
dell’ambiente le cui componenti, in corso di rilievo e di studio da parte degli
archeologi che hanno condotto lo scavo, hanno permesso di delineare
interessanti analogie con il sistema di copertura proposto per il calidarium delle terme di Fregellae e di
far ipotizzare che la struttura kauloniate, vista la più alta cronologia, ne
rappresenti in un certo senso, l’archetipo”.
La direttrice del Museo e dell'area archeologica di Monasterace, conclude illustrando il
pavimento mosaicato che “si articola in due fasce decorate con figure di
animali che inscrivono nove riquadri con motivi floreali; su quella più esterna
si affrontano a coppie un delfino ed un drago marino, che alla fine della
decorazione sul lato nord, viene sostituito da un ippocampo. Davanti
all’ingresso del vano è riprodotto un grande rosone. Per la definizione dei
riquadri e dunque della geometria del mosaico, è diffuso l’impiego, di sottili
lamine in piombo che ci sono giunte in ottimo stato di conservazione. I draghi
raffigurati su questo mosaico sono molto simili a quello di maggiori dimensioni
rinvenuto nel 1969, sempre a Kaulonia, nella cosiddetta “Casa del Drago”,
datato alla fine del III sec. a.C. Tuttavia, non è da escludere che il drago
più piccolo sia servito da modello per l’altro e che la sua matrice culturale
sia da ricercare in Sicilia e, soprattutto, nell’area di influenza siracusana.
La collocazione del drago in prossimità dell’ingresso rimanda probabilmente
alla funzione bene augurante che l’animale marino ha assunto nel mondo antico”.
Patrimoni dell’umanità che vanno tutelati. E fatti
conoscere a tutto il mondo. L’appello che parte dagli studiosi della Locride è
un atto d’amore per i tesori del passato da conservare e da tramandare alle
generazioni future. La cultura del fare.Un bell’esempio che parte dal
profondo Sud per la rinascita del Mezzogiorno!
*già Caporedattore del
Tgr Rai