di Domenico
Logozzo *
“Adattarsi a qualsiasi lavoro ed impegnarsi a fondo”. In
un momento di grave crisi occupazionale in Italia, soprattutto a livello
giovanile, è questo il consiglio che con estrema concretezza dà oggi alle
nuove generazioni un emigrante abruzzese di successo, Sante Auriti, uno dei più conosciuti maestri artigiani d’America.
Il suo genio e il suo scalpello sono fondamentali nella
realizzazione dei prestigiosi pianoforti di Steinway & Sons. “Anche se hanno studiato e non trovano
il lavoro del loro ramo, i giovani devono adattarsi”, ribadisce. Mettersi in
gioco.
Nuove sfide e fiducia nelle proprie capacità. L’umiltà di imparare. E
l’intelligenza di far fruttare l’esperienza acquisita. E guardare lontano, con
l’ottimismo della volontà. E’ in effetti quello che ha fatto lui. In Germania operaio nel settore tessile.
Negli Stati Uniti impegnato nella
costruzione dei pianoforti. Macchine e manualità. Abilità e adattabilità
straordinaria dell’emigrante partito da Orsogna,
in provincia di Chieti, con il sogno di far bene e affermarsi. A 28 anni Sante
Auriti ha varcato l’Oceano. E a New York
si sono concretizzate le sue ambizioni. E’ notissimo nella Grande Mela. Oramai
tutti lo conoscono con l’appellativo «Piano
man». E’ lui infatti che realizza i famosi pianoforti Steinway
& Sons che costano dai 200 mila dollari, quelli “personalizzati”, ai
100-160 dollari quelli per così dire “normali”.
Il geniale maestro nell’arte della costruzione di
strumenti musicali ha lasciato l’Abruzzo
sul finire degli anni Settanta. Una grande voglia di farcela. E ce l’ha
fatta. Grazie al talento ed alla determinazione che è nel Dna degli abruzzesi.
Tantissimi sacrifici. Racconta Sante
Auriti: “Il 24 febbraio 1979 sono arrivato negli Stati Uniti. Ero stato
prima in Germania, dove avevo lavorato nel tessile. In America ho cercato di
trovare un posto nello stesso settore. Gli amici mi hanno aiutato, hanno
fatto del loro meglio. Ma non c’è stato niente da fare. Non mi sono arreso. Ho
cercato altre strade. E sono entrato nel mondo della costruzione dei
pianoforti. Ad introdurmi è stato un orsognese, Raffaele D’Alleva. Lavorava
alla “Steinway & Sons” ed era capo reparto. Mi fece assumere e sono stato
con lui per 10 anni. Trattavamo il legno per fare le casse del “Grand Piano”.
Io preparavo il “veneer” e lo incollavo per fare il “top” dei piani e la altre
parti. Ma in verità facevo un po’ di tutto e quando mancava qualcuno io
prendevo il suo posto. Mi sono trovato subito bene. Non è stato
difficile ambientarmi, perché in quel reparto il mio capo e altri
due giovani della mia stessa età erano figli di orsognesi. C’è
stato un momento in cui eravamo 11 orsognesi a lavorare
alla “Steinway & Sons”. Adesso sono rimasto soltanto io. In quel
reparto c’erano poi molti della Croazia che parlavano l’italiano”.
Un impegno costante che non era sfuggito al capo
reparto che gli diede un nuovo incarico. Ricorda Auriti: “Mi chiamò
in ufficio e mi propose di passare nel settore dove venivano utilizzate le
macchine per tagliare i pezzi e fare la modanatura (“molding”). Un po’
pericoloso ma la paga era migliore. Accettai. Dopo tre anni lo stesso capo mi
convocò e mi disse che la Steinway & Sons stava comprando macchine nuove
che avrebbero assorbito il lavoro che facevamo noi. Ottenni così l’incarico di
“specialista” della “tavola del suono”. Nel 1992 mi ha chiamato di nuovo
e mi ha chiesto se ero interessato a mettere insieme tutte le parti del
“Gran Piano”, il piano con la coda. Ma non quelli normali, bensì quelli
speciali, cioè Luigi XV e Chipindale”. Un salto di qualità notevole e
responsabilità sempre maggiori. “Il mio maestro - ci dice - è stato un signore
della Croazia, Giuseppe. Molto bravo. Sono andato a lavorare con lui,
ricominciando tutto da capo. Fino ad allora avevo lavorato con le
macchine. Invece bisognava fare tutto a mano. Giuseppe mi ha insegnato a
lavorare con scalpello, pialle e seghe. Ho imparato anche ad affilarli.
Un lavoro molto impegnativo. Serve la massima attenzione. Sono molti i passaggi
da rispettare. Se fai qualche errore, viene scoperto alla fine
dell’assemblaggio. Quando Giuseppe è andato in pensione, è stata un po’
dura. Ma per fortuna tutto è andato bene”.
Far vedere come nasce un pianoforte è un altro degli
incarichi che è stato affidato all’emigrante abruzzese. “Ogni settimana ci sono
gruppi di persone e di studenti che vengono a visitare la fabbrica. Ho incontrato
molti personaggi famosi”. Grande talento e grande comunicatore: “Ho rilasciato
tante interviste, sono stato ospite di diversi canali televisivi. Una ventina
di anni fa anche la RAI si è occupata di me. Ma la cosa più bella è
avvenuta nel marzo del 2009. Mi hanno invitato a costruire il mio
Luigi XV davanti alla finestra del salone dove abbiamo la rivendita dei piani
(57th Street, New York City). Ho lavorato in vetrina per 3 settimane ed ho
fatto 3 pianoforti. La gente si fermava. Molti entravano per vedere da vicino e
farmi delle domande. Ed io spiegavo tutto. E’ stato un grande successo. Il New
York Times, ha pubblicato la mia foto con il titolo: “L’uomo che ferma il
traffico”. E’ stata la foto della settimana. Il New York Daily News ha
intitolato l’articolo “L’uomo dei pianoforte non sa suonare, ma fa grandi
lavori”. Nel telegiornale del canale 5, il giornalista ha detto: “Attenzione,
non è Billy Joel, ma Sante Auriti”. Mi hanno chiamato da Milano quelli di
Mediaset. La soddisfazione più grande è stata quando la Rai ha trasmesso in
Italia il servizio. Mia madre, gli amici e tanti paesani mi hanno potuto vedere
mentre lavoravo e hanno ascoltato la mia intervista”.
Il Corriere
della Sera ha titolato nel marzo del 2009: “EMIGRATO NEL 1979, ORA E' UNA
CELEBRITÀ. New York, è un artigiano italiano il «mago dei pianoforti» in
vetrina .Si chiama Sante Auriti ed è abruzzese”. Intervistato da Alessia
Rastelli, l’emigrante dice: “Il giorno di St. Patrick si saranno fermate a
guardarmi quattrocento persone”. E la giornalista annota: “Sante racconta, mentre
di fronte alla vetrina i passanti sostano in continuazione, osservano, scattano
foto. Alcuni sono turisti curiosi, altri musicisti esperti, qualcuno saluta
perché è già passato di qui e ama tornarci. Chi vuole entra e chiede
spiegazioni, e allora «Piano man» li
accompagna tra le sale dell’esposizione e mostra alcuni degli strumenti che lui
stesso ha costruito. «Questo è in noce, quest’altro in legno di rosa», spiega,
e intanto i visitatori attraversano con lui una galleria di memorabilia che
racconta un secolo e mezzo di storia della musica: lettere (dei pianisti
Paderewski e Rachmaninoff, tra gli altri), disegni e premi raccolti dal 1853 a
oggi”. Scrive il Corriere a proposito della bella storia dell’emigrante
abruzzese di successo: “A metà dell’Ottocento un altro immigrato, Heinrich
Engelhard Steinweg, nato in una famiglia povera della working class tedesca,
decise di americanizzare il suo nome in Henry
E. Steinway e di fondare «Steinway & Sons», diventata in seguito una
delle più importanti fabbriche di pianoforti da concerto nel mondo. Oggi la
ditta produce circa 500 strumenti all’anno e conta su oltre 1.200 artisti che,
sulle orme Stravinskij, Duke Ellington e Cole Porter, suonano esclusivamente
uno Steinway. Come Steinweg, anche l’italiano Auriti si è fatto da solo”.
Di successo in successo. La fama di Auriti ha
raggiunto davvero livelli molto alti. Il merito riconosciuto e premiato dagli
americani. Cosa che è molto rara in Italia. E proseguiamo con le altre
tappe molto significative dell’interessante percorso del maestro nell’arte
realizzativa dei piani. ”Nel dicembre del 2011 mi hanno invitato ad un
seminario che si è tenuto a Chicago. Ho spiegato il mio modo di lavorare e
come si realizzano i pianoforti. E` stato un grande successo anche qui. A marzo
del 2012 hanno fatto la riunione di tutti i maestri di musica degli USA, dopo
20 anni. Sono stato invitato anch’io all’Hilton Hotel di New York. E’ stato
molto bello anche questo incontro durato tre giorni. La sera non dovevo pulire.
Non restava nemmeno un truciolo di legno. Se lo portavano via, per ricordo. A
febbraio del 2014, sono stato invitato fare un piano in un centro commerciale
di Huntington, New York. Una dimostrazione dal vivo di come si taglia il
piano”. E non è finita. “Dovrò probabilmente fare altre due dimostrazioni
pratiche. La prima il prossimo anno, quando Steinway inaugurerà il nuovo
“showroom”, perché hanno venduto il vecchio grattacielo sulla 57 strada. La
seconda a Dallas, nel Texas, il venditore vuole che vada lì a
fare un piano in pubblico. Poi lo metteranno all’asta. E’ una bellissima idea”.
Ed i rapporti con la terra natia? “Io sono rimasto
molto legato all’Italia e alla mia Orsogna”, ci risponde orgogliosamente. Precisando:
“Torno ogni anno per un mese. Così mi rilasso e mi ricarico per un altro anno
di lavoro. E già sto pensando alla prossima estate, al buon mangiare ,a
tutte le sagre nei piccoli paesi. E la sera prima di tornare a
casa si va sempre a mangiare un bel gelato”. Guarda i grattacieli di
New York, pensa alla sua Orsogna. La bellezza dell’Abruzzo. Col ricordo varca
l’Oceano e racconta le estati orsognesi: “Il mattino quando mi alzo, esco sul
balcone e vedo la bella Maiella che è li a due passi. Sembra di poterla toccare
con le mani. E allora come si fa a non tornare almeno una volta l’anno? E’
bello incontrare gli amici d’infanzia e ricordare tutte le stupidaggini
che abbiamo fatto. Quando in tre sulla Vespa 50 andavamo alla festa
del paese vicino. Oppure in sei nella mia FIAT 600 “truccata” a 750. Stavamo
anche “comodi”, perché in quel periodo si manteneva la linea”.
*già Caporedattore del
Tgr Rai