Ascolta l'intervista di Fattitaliani a Giuseppe Ghigi. In cent’anni sono stati prodotti un migliaio di film sulla Prima guerra mondiale che hanno contribuito a costruire il visibile dell’immane tragedia. Paradossalmente, la grande mole di immagini non riuscirà a mettere in scena davvero la guerra, a iniziare dai cinegiornali di propaganda dell’epoca costretti, per ragioni tecniche e di sicurezza, a simulare, contraffare, ricostruire gli eventi. La prima “enciclopedia” visiva del conflitto parte dunque già come fiction e narrazione, dando il via a una serie di figure che il cinema nel tempo rende stabili. L’impossibilità di rappresentare la Grande guerra trova il suo apice proprio nei combattimenti nella no man’s land di cui non esistono riprese nemmeno negli archivi segreti militari. Il cinema di fiction cercherà di metterle in scena secondo modelli che si credono “realistici”, o parafrasando visivamente pagine di memorie e romanzi autobiografici. Di fatto, inventando di sana pianta.
La Prima guerra mondiale non muove più eserciti geometrici-euclidei con assalti all’arma bianca e di corse di cavalleggeri con la spada sguainata; ora, sul campo, domina l’artiglieria, la polverizzazione dei corpi, il freddo, la fame, le cimici e i topi nelle trincee: come rappresentare il “caos cubista”? I registi ci provano determinando simbologie, cliché, figure, diventate stabili nel tempo e formando l’immaginario bellico.
Il volume cerca di ripercorrere le modalità della messa in scena cinematografica della “guerra dei materiali”, mettendole in relazione all’arte, alla letteratura, alle storiografie, ai sistemi politici, culturali, e ai valori del tempo in cui sono state create, perché ogni film è figlio di una memoria, contribuisce a crearla, ed è la “cenere” del presente e del passato.