di Franco Presicci. Sarà contento Raffaele
Nigro, nato a Melfi (domicilio estivo di Federico II), autore di
tanti libri, tra cui “I fuochi del Basento”, Premio Campiello nel
1987. E contenti sarebbero Giustino Fortunato, grande meridionalista
di Rionero in Vulture; e Carlo Levi, che in Lucania scontò il
confino negli anni ’35–36, cominciando ad innamorarsene “dopo
aver intuita l’oscura virtù di questa terra spoglia. . . .”; e
Rocco Scotellaro (“L’uva puttanella”. . . .), che era di
Tricarico.
E Giovanni Russo, che nel
’50 pubblicò “Baroni e contadini”, con due capitoli, fra gli
altri, dedicati ai “Segreti di Potenza” e a “Le bandiere di San
Severo” (le insegne delle cantine, dove il paese custodisce la sua
ricchezza, quel vino che vengono a caricare sulle grosse autobotti le
ditte piemontesi. . . .”). Russo, nato a Salerno, giornalista prima
a “Il Mondo” di Pannunzio, quindi al “Corriere della Sera”,
ha sempre considerato la Lucania la propria terra, avendovi respirato
l’aria da bambino. È lì “che ho appreso dai miei maestri il
valore del rispetto, della libertà, della democrazia”
La Lucania, che
generosamente offre all’ospite la sua bellezza naturale,
straordinaria, può essere fiera: Matera, città dallo scenario
spettacolare, incomparabile, è stata eletta a capitale europea per
la cultura 2019. La prima città del Sud a ricevere questo alto,
sospirato riconoscimento, preceduto da quello riservato, nel ’93,
dall’Unesco ai suoi Sassi come patrimonio dell’umanità.
Grande soddisfazione,
anche per noi pugliesi, visto che Matera, come diceva anche Piovene,
“è quasi parte della nostra regione”. Vero, Francesco Lenoci? Lo
chiedo al professore, docente all’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano e vicepresidente dell’Associazione Regionale
Pugliesi di Milano, mentre facciamo quater pass in Galleria
Vittorio Emanuele, a Milano, dalla Libreria Rizzoli al Savini per
uscire alla fine in piazza Duomo, che formicola di gente sotto lo
sguardo vigile di Vittorio Emanuele II a cavallo.
Il mio interlocutore è
felice come una Pasqua, da quando gli è apparsa sul telefonino la
notizia della promozione di Matera. “Una città che affascina –
commenta –; una città sprovvista di monumenti rilevanti, ma essa
stessa opera d’arte eccezionale, per la sua architettura rupestre,
e non solo”.
Il professor Lenoci ha
tenuto una conferenza a Matera, metropolis eximia, origine
peruetusta, il 22 marzo 2013, presso lo stupefacente Salone degli
Stemmi dell’Episcopio.
Quella sera, avviandosi
alla conclusione della sua relazione “Fare Impresa per Organizzare
la Speranza”, fece un regalo al progetto di Matera Capitale Europea
della Cultura per il 2019: la meravigliosa definizione di Cultura di
don Tonino Bello.
“Cultura è impegno,
servizio agli altri, promozione umana come il riconoscimento della
persona libera, dignitosa e responsabile. Cultura è cemento della
convivenza, orizzonte complessivo, strumento di orientamento,
alimento di vita. L’elaborazione culturale è una via obbligata per
individuare stili di vita, modalità di presenza e di comunicazione,
attenzione alle attese delle persone e della società, per esprimere
le ragioni della speranza e accettare responsabilità in spirito di
servizio”.
Concluse, affermando che
“con una simile definizione di Cultura niente è precluso, tutto è
possibile: anche che i Sassi, i più famosi sassi del mondo, un
patrimonio dell’umanità. . . . finalmente. . . . inizino a
danzare”.
L’hanno definita in
vari modi, Matera: “città di pietra”, “città dei Sassi”,
“città sotterranea”. Comunque la si voglia indicare, ha origini
antichissime, risalenti alla preistoria e subì il dominio di Roma e
l’occupazione di bizantini, longobardi, e via dicendo. Da allora ne
ha riversato di acqua, il Basento, che scorre in fondo al precipizio,
nel Golfo di Taranto.
“Sono cinque anni che
lavoriamo a progetti straordinari – ha riferito con orgoglio il
sindaco Salvatore Adduce – noi siamo il malleolo dello Stivale,
generalmente ritenuto una zona poco ospitale”. Questa chiacchiera è
stata vanificata e Matera – ha aggiunto il primo cittadino – può
essere un esempio non solo per il Sud.
Al tempo in cui Guido
Piovene, tra il ’53 e il ’56, compì per la Rai un viaggio
attraverso il nostro Paese, la popolazione dei Sassi era fatta
prevalentemente di contadini, che vivevano in condizioni igieniche
disastrose e che, per andare nei campi a curare la terra, macinavano
una ventina di chilometri al giorno. In piedi già alle due del
mattino, e via con zappe e altri attrezzi seguiti da somari e muli.
Dalle pareti dei Sassi bucherellate usciva appena la luce fioca di un
lume a petrolio o di una candela. Nelle case qualcuno rimaneva per
fare da mangiare.
Nel dopoguerra si
cominciò a pensare che occorreva sgombrare i Sassi, il Caveoso e il
Barisano, per collocare gli abitanti in luoghi più decenti. E si
eressero costruzioni più vicine alla città, interi quartieri, come
la Martella. Attorno ai cantieri si svilupparono polemiche vivaci,
alimentate da chi considerava una violenza il proposito di
devitalizzare lo strapiombo, una meraviglia invidiabile, un colpo di
genio della natura. È sempre difficile trovare l’armonia. Gli
stessi abitanti delle grotte erano indecisi se lasciarle o opporsi,
legati com’erano non solo all’ambiente, ma anche al vicinato.
Alcuni erano propensi a trasferirsi, a patto che nel nuovo contesto
vi ritrovassero gli stessi fiati di sempre: gli stessi coinquilini.
“Matera – scriveva
Piovene – è, come tutta la Lucania, terreno adatto agli
esperimenti sociali; ed è stata scelta perciò come provincia pilota
per l’istruzione, con Foggia, Catanzaro, Sassari. . . .”. E
ancora: “Le bonifiche e la riforma agraria sono di gran lunga gli
avvenimenti più importanti della zona. . . . che subì l’isolamento,
la lunghissima decadenza, la terra ingrata. . . .”.
I fermenti culturali a
Matera non si contano. Non da oggi. E neppure le testimonianze
artistiche: la cattedrale romanico-pugliese edificata nel XIII secolo
nel punto più alto della Civita, che separa i due Sassi; il Castello
Tramontano in stile aragonese. . . . . E poi l’abilità degli
artigiani nella lavorazione del ferro battuto; e dei figuli che
dall’argilla ricavano oggetti di ottima fattura, come il
fischietto, detto cucù, con la sagoma del gallo, simbolo di
prosperità.
Lenoci, melomane e
appassionato di cinema, ricorda i film in Lucania: “La passione di
Cristo” di Mel Gibson nel 2004. Sì, ma anche “Il Vangelo secondo
Matteo” di Pier Pasolini, nel ’64; “La lupa” di Alberto
Lattuada nel ’53; “Cristo si è fermato ad Eboli” di Francesco
Rosi, nel ’79, con Gian Maria Volontè, Irene Papas, Lea Massari,
tratto dal libro, uno dei più letti in tutto il mondo, di Carlo
Levi, medico e scrittore antifascista torinese, che fu colpito dalla
bellezza di Matera, ed ebbe un attimo di malinconia mentre stava per
tornare al Nord. I contadini avrebbero voluto bucare le gomme della
vettura che lo avrebbe prelevato. Lo amavano e stimavano. Promise che
sarebbe tornato. Certo che oggi sarebbe contento anche lui.
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