Opera Bruxelles, alla Monnaie La Gioconda di Ponchielli con la regia di Olivier Py. La recensione di Fattitaliani

La Gioconda di Amilcare Ponchielli. Opera La Monnaie Bruxelles, fino al 12 febbraio. Direzione musicale: M° Paolo Carignani. Regia di Olivier Py.

Forse Venezia, forse Strasburgo, forse Bruges: certamente una città di pietra e di acqua, presente ma attraverso la sua evocazione, richiamata ma per allusione, mostrata ma per metonimia....una città percepita attraverso un suo frammento, ricostruita nella mente dello spettatore partendo da un suo sotterraneo, da un suo luogo nascosto.
Siamo a teatro, e il teatro per sua natura evoca, allude, richiama: un frammento di realtà mostrato in scena basta allo spettatore perchè si accenda in lui l'emozione come se vedesse l'intero, così come gli basterebbe intravedere il movimento della sola zampa di una tigre per agghiacciare di terrore.
Un sotterraneo grigio invaso dall'acqua e il suono e il riflesso di quest'acqua mossa dal movimento degli interpreti in scena bastano a Oliver Py a creare l'effetto di una laguna plumbea. Non la città di laguna che conosciamo, luogo dei sospiri lievi e delle sfumature gentili, ma il suo 'lato oscuro', nascosto, pesante.
Un luogo fra l'umido e il secco, senza luce naturale, senza leggerezza, dove l'acqua piu' che speranza di raccolti promette marcescenza e putrefazione.
Sei voci per sei personaggi diversi ma di pari dignità e importanza denotano il percorso verso il trionfo dell'abiezione, verso la morte del lieto fine, verso lo spegnimento dell'illusione dei lumi. La vicenda narrata - partita come vicenda politica - vira verso la metafisica.
Ponchielli, qui nella direzione musicale di Paolo Carignani, in una lingua musicale unica e straordinaria canta la fine dell'illusione romantica. La danza delle Ore, nel suo incantevole dispiegarsi, nasconde in sè e svela la caducità - e forse la dissoluzione - del tempo, come se ingrandendo al microscopio le immagini della Venezia di Longhi, di Bellotto, di Guardi, di Canaletto vi trovassimo nascoste le immagini di Anselm Kiefer.
Sbaglia chi superficialmente relega Ponchelli nel 'figurativo' ottocentesco. Ponchelli non è piu' romanticismo, non è verismo ma è, nel suo modo, un moderno; ma lo è in un linguaggio non ancora interamente rinnovato: porta un contenuto nuovo ma ristretto in un linguaggio artistico complessivo - di vicenda e di parola - non altrettando palesemente nuovo. Il sovrintendente de La Monnaie Peter de Caluwe ama l'opera e vuole che niente di questo mondo resti sottovalutato o vada disperso: affidando la regia a Py - che di modernizzazioni è uno specialista - forse ha voluto fornirci una lente di ingrandimento per farci vedere la modernità di Ponchielli fra le maglie di una tessitura drammaturgica  ottocentesca sontuosa da grand opéra; come se si fosse voluto non semplicemente ricontestualizzare l'opera ma in qualche modo entrare nel suo linguaggio al fine di renderne percepibile la portata innovativa  anche a chi fa fatica a leggere fra le righe. Py ha una enorme esperienza, un grande talento, un consolidato mestiere. Nella sua lunga carriera con coraggio ha smontato gli orologi della maniera consolidata e li ha rimontati a suo modo, e sempre gli orologi, malgrado le controversie che suscita, ci sembra che segnino correttamente l'ora. Lo ha fatto anche qui, e bene, con Ponchielli. Py ha un talento tale che gli permetterà di rovesciare sempre la maniera consolidata, anche la piu' insidiosa: la propria.

  Giovanni Chiaramonte.
Fattitaliani

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