Libri, Massimo Roscia con "Peste e Corna" ospite di "Segnalibro". L'intervista di Fattitaliani


A due anni dal saggio “Di grammatica non si muore” (Sperling & Kupfer, 2016), Massimo Roscia è tornato con un nuovo capitolo della sua personale crociata contro l’abuso e il maltrattamento della lingua italiana, in strada come negli ambienti istituzionali. Oggetto di “Peste e corna” (Sperling & Kupfer) le frasi fatte, le formulette logore e preconfezionate che hanno ormai invaso tutti gli ambienti del nostro vivere quotidiano. Il libro sarà presentato a Roma domenica 25 marzo presso Libri&Bar Pallotta (Piazzale di Ponte Milvio 23) alle 11.30. L'autore è ospite di Fattitaliani nella rubrica "Segnalibro". L'intervista.

Quali libri ci sono attualmente sul suo comodino?
“Vita fuori tempo di Ivan Dolinar” di Josip Novakovich (Isbn), “Stoner” di John Edward Williams (Fazi), “L'esercito delle cose inutili” di Paola Mastrocola (Einaudi) e “Libretto di istruzioni per l’uso, l’installazione e la manutenzione della caldaia Divatech F32D” di AA.VV. (Ferroli), perché sono fermamente convinto che il nostro futuro si giocherà tutto sulla termoidraulica.
L'ultimo "grande" libro che ha letto?
Se per “grande” intendiamo ciò che supera, in ogni senso, la misura ordinaria, l’ultimo grande libro che ho letto - e che non mi stancherò mai di leggere - si intitola “Vocabolario della lingua italiana” di Nicola Zingarelli, edito da Zanichelli.
Chi o cosa influenza la sua decisione di leggere un libro?
Il passaparola, la copertina, il sorriso della libraia, la quarta di copertina, le condizioni meteo, la sinossi, le recensioni, la grammatura della carta, l’umore, il consiglio di una persona fidata e, non ultimo, l’olfatto. Avendo un naso a cui «nessun vento - scriverebbe Edmond Rostand - può fargli venire il raffreddore, ad eccezione del maestrale», difficilmente sbaglio.
Quale classico della letteratura ha letto di recente per la prima volta?
“I fiori blu” di Raymond Queneau, con colpevolissimo ritardo.
Secondo lei, che tipo di scrittura oggi dimostra una particolare vitalità?
Essendo la lingua un organismo vivente, in ogni dato periodo, ogni genere di scrittura - dal romanzo al bugiardino di un farmaco - dimostra una sua particolare vitalità.
Personalmente, quale genere di lettura Le procura piacere ultimamente?
Essendo un lettore onnivoro, oltre che bulimico, leggo di tutto, senza avere un genere preferito e traendo sempre - o quasi - immenso piacere dalla lettura. 
L'ultimo libro che l'ha fatta sorridere/ridere?
“Zia Mame” di Patrick Dennis. Perché se fossi stato donna e fossi vissuto a New York tra gli anni Venti e Cinquanta, probabilmente sarei stato più eccentrico dell’eccentrica Mame Dennis.
-L'ultimo libro che l'ha fatta commuovere/piangere?
Devo ancora leggerlo. Ma credo che l’alessitimia dipenda più dal sottoscritto che dall’eventuale titolo.
L'ultimo libro che l'ha fatta arrabbiare?
“Numero zero” di Umberto Eco. Perché Eco purtroppo è scomparso e io avrei voluto continuare a leggerlo ad libitum.
Quale versione cinematografica di un libro l'ha soddisfatta e quale no?
Rispondo con una delle tante frasi fatte tratte dal mio nuovo libro: «Il film è bello, ma il libro è tutta un’altra cosa».
Quale libro sorprenderebbe i suoi amici se lo trovassero nella sua biblioteca?
“È facile smettere di fumare se sai come farlo” di Allen Carr.
Qual è il suo protagonista preferito in assoluto? E l'antagonista?
L’impiegato senza nome di “Fight Club” di Chuck Palahniuk. L’antagonista? Ovviamente il suo alter ego Tyler Durden.
Lei organizza una cena: quali scrittori, vivi o defunti, inviterebbe?
Organizzerei una cena all’interno di un giardino-labirinto, inviterei il solo Jorge Luis Borges e, dopo esserci scolati quattro bottiglie di Barolo, lo sfiderei al gioco “Ora vediamo chi di noi due riesce a uscire prima dal dedalo”.
Ricorda l'ultimo libro che non è riuscito a finire?
Non me ne abbia Hugues Pagan ma, proprio l’altra sera, ho irriguardosamente abbandonato (a metà) il suo “Alla salute del lupo cattivo”. Il pur simpatico plurideclassato agente di polizia Rameau e la sua bizzarra famiglia sono solo lontani parenti dei Malaussène di Pennac. In ogni caso prometto di riprendere, un giorno o l’altro, la lettura.
Quale scrittore vorrebbe come autore della sua biografia?
Senza dubbio Georges Perec; per metodo, puntiglio, visione e imprevedibilità.
Che cosa c'è di Massimo Roscia in "Peste e corna"?
Un po’ tutto ma, principalmente, il rapporto con mia madre, i suoi amorevoli consigli, le raccomandazioni e gli ammonimenti. Sono cresciuto a suon di «Hai messo la canottiera?», «Non farmi stare in pensiero», «Non accettare caramelle dagli sconosciuti, perché c’è la droga», «Stai attento, con tutto quello che si sente in giro», «Evita i luoghi troppo affollati», «Evita i luoghi troppo isolati», «Evita i luoghi», «Tagliati i capelli, sembri un barbone» (seguita solitamente da «Ma ti sei tagliato i capelli? Ti stavano così bene») e «Mi raccomando, mangia. Ultimamente ti ho visto… un po’ sciupato». Giovanni Zambito.
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IL LIBRO
In fin dei conti, ognuno di noi le usa. Perché sono immediate, perché le sentiamo in ogni dove, perché chiunque le capisce (o almeno finge bene), perché quando non abbiamo altre parole fungono da salvifico pronto soccorso linguistico. Sono le frasi fatte: espressioni idiomatiche, modi di dire, metafore logore e formule preconfezionate che hanno invaso ogni ambito semantico. Il burocratese ne abbonda, il giornalese ne abusa, in cucina sono uno degli ingredienti principali e nel meteo poi mietono più vittime dei violenti nubifragi. A volte servono a dare colore al discorso o a rompere il ghiaccio, ma più spesso appiattiscono la comunicazione in un prevedibile ammasso verbale trito e ritrito, con il risultato di parlare molto senza dire niente. In questo libro, Massimo Roscia, il non-linguista, non-lessicografo e non-grammatico più innamorato dell’italiano, si diverte a prendere in giro la nostra inveterata tendenza a usare formule stereotipate a ogni piè sospinto. Lo fa tramite la storia di Mario, un mite impiegato romano che, ovunque si volti, si imbatte nella quintessenza della banalità espressiva, fino ad avere il sospetto che a essere trita e ritrita non sia la lingua, ma le idee. Giocando con le parole come Flaiano e Campanile, Roscia torna a farci sorridere e riflettere sull’uso, talvolta bizzarro, che facciamo dell’italiano e ci invita a cercare (almeno) un modo migliore per dire sempre le stesse cose.

L’AUTORE

Massimo Roscia, nato a Roma nel 1970 circa, è un personaggio proteiforme e di difficile catalo­gazione. Critico enogastronomico, collaboratore del Gambero Rosso, già condirettore editoriale del periodico Il Turismo Culturale, mimo parlante, decente docente (insegna, tra l’altro, comunica­zione, tecniche di scrittura, editing e marketing territoriale), incensurato, automunito, militas­solto, collezionista di periodi ipotetici del terzo tipo e, non ultimo, scrittore. Autore di romanzi, racconti, saggi, guide turistiche e sceneggiature televisive, vincitore di diversi premi letterari e partite a tressette, ha esordito con Uno strano morso ovvero sulla fagoterapia e altre ossessioni per il cibo (Edizioni della Meridiana, 2006). Dopo il fortunatissimo romanzo La strage dei congiun­tivi (Exòrma, 2014), è tornato a occuparsi della lingua italiana con il saggio Di grammatica non si muore (Sperling & Kupfer, 2016). Non pago, ha scritto anche Peste e Corna.
Fattitaliani

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