Segnalibro, Paolo Albani a Fattitaliani: ne "Il complesso di Peeperkorn. Scritti sul nulla" il gioco, il paradosso, il comico, il nonsenso. L'intervista

Da pochi giorni in libreria Il complesso di Peeperkorn. Scritti sul nulla (pagg. 83, € 12) di Paolo Albani, ItaloSvevo edizioni, nella Collana Piccola Biblioteca di Letteratura Inutile. Lo scrittore, poeta visivo e sonoro, performer è ospite della rubrica "Segnalibro" di Fattitaliani. L'intervista.

Quali libri ci sono attualmente sul suo comodino?
Il mio comodino è un porto di mare, i libri vanno e vengono. Mi accorgo che sto diventando sempre più un collezionista di libri (non di libri antichi però) e sempre meno un lettore, ahimè. Ultimamente dal mio comodino sono passati il Discorso dell’ombra e dello stemma di Giorgio Manganelli (ristampa Adelphi), Breve storia del verbo essere di Andrea Moro, Viaggio nella terra dei sogni di Maurizio Bettini, Conversazioni sulla cultura russa di Juri M. Lotman. Ecco, questi libri sono lì sul mio comodino, uno sopra l’altro, la sera leggo un capitolo di uno, un’altra sera un brano di un altro. Magari un’altra sera li tradiscono con un altro libro ancora, che sta su una pila di libri in un’altra stanza, in attesa di consultazione. Insomma avrete capito che sono un lettore disordinato.
L'ultimo "grande" libro che ha letto?
Un libro che ho letto (anzi riletto, anche se la nuova versione è quasi un nuovo testo rispetto alla prima versione) è Il mangiatore di carta di Edgardo Franzosini, uno scrittore straordinario che ha una capacità narrativa fuori dell’ordinario, un’invidiabile maestria nel trovare personaggi poco noti, minori o meglio laterali, per dirla con Borges, che ti affascinano. Davvero un grande libro, sia per la scrittura che per la storia, vera per altro, di un bibliofago, cioè un mangiatore di carta del Settecento.
Chi o cosa influenza la sua decisione di leggere un libro? 
Sono molto influenzato dalle mie passioni letterarie, perciò leggo in genere i libri degli scrittori che amo (ultimamente i Racconti impossibili di Landolfi, ristampati da Adelphi, un libro ormai introvabile, oggi con una bella cura di Giovanni Maccari), e poi mi lascio travolgere da letture curiose: una storia del tempo, un finto manuale scolastico di letteratura latina, un atlante di paesi che non esistono, le vite efferate dei papi. Roba di questo genere. Come molti, sono anche la recensione di un libro di cui ignoravo l’esistenza o il consiglio di un amico di cui mi fido a mettermi sulla buona strada per buone letture.
Quale classico della letteratura ha letto di recente per la prima volta?
Mi sono regalo il Meridiano, a cura di Flavo Gregori, dedicato al rivoluzionario La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo di Laurence Sterne, un autore che dovrebbe essere obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado. A suo modo un classico imperdibile. Un mio cruccio è piuttosto di non aver ancora letto, di non aver mai letto - mancanza gravissima - Moby Dick di Melville. Prima o poi dovrò prendermi una pausa da tutto, e mettermi a leggere questo capolavoro, recentemente ristampato in una nuova traduzione di Ottavio Fatica. Lo farò, giuro, prima o poi lo farò. È che sono anche un lettore pigro.
Secondo lei, che tipo di scrittura oggi dimostra una particolare vitalità? 
A me piacciono i romanzi e i racconti (non sono un lettore di poesia, salvo poche eccezioni, tipo Raffaello Baldini, scoperto da non molto) che mi stimolano in primo luogo dal punto di vista della scrittura, che riescono a sorprendermi, che mi spiazzano ma senza furbizia o giochetti da mestieranti. Trovo particolarmente vitale l’area di quegli scrittori, molti dei quali sono anche degli amici, che scrivono storie di gente strana, bizzarra, perdente, come fanno Celati, Cavazzoni, Cornia, Benati, Adrian Bravi, Paolo Morelli, Paolo Colagrande, tanto per citarne alcuni. Ecco con loro mi trovo bene, anche nella lettura dei loro libri.
Personalmente, quale genere di lettura Le procura piacere ultimamente? 
Un grande godimento ho provato a guardare i collages, del tutto sconosciuti ai più, di Wisława Szymborska pubblicati in un’edizione polacca e inglese: deliziosi, divertenti, di una leggerezza surreale che incanta. Poesia visiva allo stato puro. La Szymborska ha fatto questi collages per gli amici, senza alcuna velleità artistica, e forse proprio per questo risultano delle opere convincenti.
L'ultimo libro che l'ha fatta sorridere/ridere?
L’ultimo in ordine di tempo è l’antologia curata da Marco Rossari per Einaudi, intitolata Racconti da ridere. Con un titolo così si è indotti al sorriso. A parte alcuni testi ben noti (tipo Il naso di Gogol’ o Nonita di Eco, scherzoso rovesciamento del romanzo di Nabokov), ci sono dei testi che non conoscevo, fra cui un inedito di Margaret Atwood. Operazione meritoria, questa antologia sul comico letterario, che mi ha ricordato un po’ quelle imbastite a suo tempo da Giambattista Vicari, mitico fondatore della rivista «il Caffè».
L'ultimo libro che l'ha fatta commuovere/piangere? 
Devo dire che, pensandoci bene, nessun libro mi ha fatto piangere davvero, del resto, per inclinazione, non leggo per piangere. Mi capita invece di farlo - di piangere, di commuovermi - al cinema, adoro le storie in costume, i film dove si narrano grandi storie d’amore, travagliate, tormentate e irrisolte, come forse sono tutte o quasi le storie d’amore nella vita reale. Chissà.
L'ultimo libro che l'ha fatta arrabbiare?
Mi ha fatto arrabbiare il libro di un autore che stimo molto, un libro uscito postumo: L’arte nella tempesta di Tzvetan Todorov che parla dell’«avventura di poeti, scrittori e pittori nella rivoluzione russa». Mi sono arrabbiato subito, fin dall’introduzione dove Todorov dipinge Lenin e Trockij come personaggi solo assetati di potere, incarnazioni della «volontà di potenza». Come si fa a sostenere una tesi del genere? Con tutti gli errori e i guasti provocati dalla rivoluzione bolscevica dopo il suo trionfo, non si può tuttavia non riconoscere che in quel periodo in Russia si combatteva contro una dittatura spietata e disumana, la dittatura zarista. Altro che «volontà di potenza», direi piuttosto «volontà di giustizia». No, caro Todorov, questa non dovevi farmela.
Quale versione cinematografica di un libro l'ha soddisfatta e quale no?
Quando scoprii che Il pranzo di Babette, sceneggiato e diretto da Gabriel Axel, era tratto da un racconto di poche pagine di Karen Blixen rimasi meravigliato. Il linguaggio cinematografico (altra cosa da quello letterario, come direbbe un soldato di La Palice) aveva valorizzato, e non di poco, il testo letterario, lo aveva reso più effervescente, dinamico, saporito. Vorrei aggiungere che a volte le trasposizioni di testi letterari sullo schermo sono il sintomo di una crisi di idee da parte degli sceneggiatori, senza contare un altro fatto: oggi molti scrittori scrivono già pensando a una possibile versione cinematografica, e questo non so se è un bene. Detto questo, ricordo che l’ultimo film di Fellini, La voce della luna, mi deluse; il libro che l’aveva ispirato, Il poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni, era di gran lunga più suggestivo.
Quale libro sorprenderebbe i suoi amici se lo trovassero nella sua biblioteca?
Non credo che i miei amici, che sanno che mi occupo di cose bizzarre (linguaggi inventati, pazzi letterari, umorismo involontario, istituti anomali, e via dicendo) si meraviglierebbero di trovare nella mia biblioteca libri strani. No, credo proprio che si meraviglierebbero di non trovarli.
Qual è il suo protagonista preferito in assoluto? e l'antagonista?
Non ho dubbi: il buon soldato Sc’vèik per la sua genuina carica ribelle, antimilitarista, antisistema, ma anche, se posso allargarmi un po’, Bouvard e Pécuchet per la loro nutriente stupidità (che nel loro caso sta per una felice propensione allo stupore).
Lei organizza una cena: quali scrittori, vivi o defunti, inviterebbe? Perché
Io sono una frana come cuoco, quindi dovrei appoggiarmi a un buon catering. Mi piacerebbe invitare due grandi, esigenti e forsennati mangiatori (il che si deduce bene dalle loro rispettive pance): Honoré de Balzac e Giorgio Manganelli, e farli dialogare sul cibo.
Ricorda l'ultimo libro che non è riuscito a finire?
Sono molti i libri che ho iniziato e non finito. Da giovane ero un lettore masochista (vedete quante facce presenta un lettore), se iniziavo un libro dovevo arrivare fino all’ultima pagina anche se non mi piaceva. Oggi no, se un libro non mi piace, se non s’instaura un feeling, dopo un certo numero di pagine, con il libro lo abbandono senza rimpianti, magari provo a riprenderlo in un altro momento. L’ultimo che ho abbandonato è, come ho già detto, L’arte nella tempesta di Todorov, infastidito dal suo giudizio superficiale sui protagonisti della rivoluzione d’ottobre.
Quale scrittore vorrebbe come autore della sua biografia?
Mi prenderei il lusso (davvero lussuoso) di assumere come biografo Georges Perec, per lo scrupolo classificatorio che metteva nelle sue ricerche, ma soprattutto per le finte citazioni disseminate nei suoi libri. Il massimo per uno come me che di “finzioni plausibili” si nutre costantemente.
Che cosa ritroviamo di Paolo Albani ne Il complesso di Peeperkorn. Scritti sul nulla?

Credo i tratti che più mi contraddistinguono e che ogni volta mi spingono a scrivere: il gioco, il paradosso, il comico, il nonsenso. Giovanni Zambito.
©Riproduzione riservata
IL LIBRO: IL COMPLESSO DI PEEPERKORN SCRITTI SUL NULLA 
Per scrivere di nulla, tentazione fortissima per qualsiasi scrittore dotato di un minimo di senno, amore per la propria lingua e cognizione sulla realtà in cui è costretto a vivere, ci vuole un certo coraggio. Niente di meglio, per una simile impresa, che un cultore di Letteratura Potenziale e di Patafisica. Dovrà metterci tutta la sua capacità di concentrazione, o d’astrazione, e scrivere dei riferimenti molto dotti riguardo a qualcosa che, in effetti, nonc’è. Ma il lettore non deve spaventarsi, questo librosi legge come se nulla fosse.
Questo libro non parla di niente, cioè parla del nulla nelle sue più autorevoli forme ed esemplificative espressioni. Ma lo fa, stranamente, con grande cognizione. Ci sono dietro Thomas Mann e Fred Buscaglione, ovviamente Manganelli, Cortázar, Mallarmé, Queneau e Jaroslav Haˇsek. Ma è come se non ci fossero.
L'AUTORE
Paolo Albani nato a Marina di Massa nel 1946, è autore, poeta visivo e membro dell’OpLePo (Opificio di Letteratura Potenziale) e Console Magnifico dell’Istituto Patafisico Vitellianense, emanazione autonoma del Collegio di Patafisica. Tra i suoi libri più importanti Aga magéra difúra. Dizionario delle lingue immaginarie, con Berlinghiero Buonarroti (Zanichelli 1994); Manualetto pratico ad uso di coloro che vogliono imparare a scrivere il meno possibile (FUOCOfuochino 2010); I mattoidi italiani (Quodlibet 2012); Umorismo involontario (Quodlibet 2016); Le cose che non so (Babbomorto editore 2017)
Fattitaliani

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