Protagonisti: Paolo Briguglia, Gioia Spaziani (Margherita), Aglaia Mora
(Giacinta) e con Laura Giordano, Egidio
Termine (dottor Gerani), Consuelo Lupo, Giorgio Musumeci e Gianmaria Termine. Il Film esce il 23 novembre a Palermo,
Catania e Porto Empedocle.
Un Film
pieno di Poesia nei dialoghi dei personaggi, dei colori vivi della Sicilia e
dei quadri di Margherita. Un conflitto tra natura e cultura che rispecchia il
conflitto tra i personaggi interpretati straordinariamente da attori che
provengono dal teatro. Conflitto che trova la catarsi in un abbraccio che
sblocca l’emotività repressa.
Due madri, Margherita e Giacinta raccontano contemporaneamente
la stessa storia (una maternità surrogata) che rappresenta il passato. Il
racconto va per immagini che il Regista usa per fornire delle informazioni al
Pubblico, come se fosse una caccia al tesoro.
Tutti i personaggi vivono una realtà che rappresenta una sfida per ognuno di
loro.
Lauro ha un’emotività molto complessa, è l’eroe del viaggio che compie alla
ricerca della verità che gli è stata negata dall’infanzia. Quella che scopre è
drammatica ma è lì che Lauro trova la sua forza liberatrice, riacquistandosi
della sua identità e librando le ali rappresentate metaforicamente dall’aereo
che finalmente riesce a prendere per andare a studiare a New York.
Paolo Briguglia nel doppio ruolo di Lauro e del Padre Anturio che gli ha
permesso di rappresentare un uomo involuto ed un uomo maturo. Il primo, un
personaggio semplice, pieno di paure e l’altro un uomo fatto, un caparbio e
tosto pescatore siciliano.
Egidio Termine, come
nasce l’idea della storia? Da una teoria di Winnicott “l’essere umano ha
bisogno sin dal suo concepimento di essere accolto per sviluppare la sua
identità e la forza per spiccare il volo”. Da un filosofo ho appreso che uno
specchietto retrovisore è come se fosse il passato di una macchina, anche se è
piccolo va guardato. Il parabrezza rappresenta il futuro.
La cosa più importante è guardare al futuro con i piedi per terra e con la
consapevolezza di quello che è stato il tuo passato che serve a conoscere la
tua identità.
In un’ora e mezza cerchiamo di condurre il pubblico alle emozioni per poi
razionalizzare e passare da un piano reale ad uno surreale.
La storia porta ad una catarsi di tutti e tre i personaggi, l’abbraccio finale
delle due donne. Rientrano tutti e tre in una visione più oggettiva rispetto a
ciò che è stato. Gli anni passati sono stati necessari per poter ricucire le
relazioni.
Nel Film non c’è nessuna inflessione
dialettale, come mai? Ho evitato volontariamente le inflessioni dialettali
all’interno di una realtà molto problematica e conflittuale. La Sicilia è
l’ombelico del mondo perché si sono avvicendate tante culture non escludendo
l’una dall’altra ma mescolandosi tra di loro. Siamo greci, normanni, fenici
però la storia ha un carattere universale.
Perché la verità ci rende liberi? È
la frase di lancio del film e va bene per tutti. C’è la sicilianità ma fino ad
un certo punto, la storia poteva succedere da qualsiasi altra parte.
Briguglia, com’è stato rappresentare due personaggi così distanti tra loro?
Molto divertente perché i due personaggi erano agli antipodi anche se
fisicamente sono due gocce d’acqua. Il padre era una persona semplice, l’altro
a causa di una verità negata aveva un’emotività più complessa.
Perché il Lauro giovane è involuto?
Non ha idea della propria origine, della sua storia. Non ha avuto la figura
paterna accanto e gli sono mancati una serie di stimoli che lo avrebbero
proiettato verso la vita adulta. La madre che lo ha cresciuto si è preoccupata
di nascondere le cose a lui ed al mondo.
Ha una bruciatura sulle mani e la madre gli mette dei guanti per non farla
vedere, come se quella cicatrice rappresentasse la sua storia e lui non può
raccontarla.
E’ uno a cui manca la terra sotto i piedi, ha solo piccole intuizioni di una
frazione di realtà.
Conoscere delle cose ti cambia emotivamente, il fatto di saperlo ti mette in
congiunzione i pensieri con le emozioni e ti dà forza interiore. E’ un processo
che va tutto insieme.
Aglaia Mora, cos’hanno in comune le due
madri e il figlio? Paolo parlava di un’emotività complessa, è questo l’elemento
comune. Compressione che viene fuori dal
non fare i conti con la propria storia. Nel caso di Lauro è evidente che derivi
dalla madre che lo ha cresciuto. E’ interessante notare che le questioni non
risolte di un genitore vengano ereditate e somatizzate dai figli.
Tutti e tre abbiamo lavorato su un doppio personaggio: colui che fa e colui che
si trova con cosa ha fatto e come l’ha gestito. Nella figura della mamma ho
gestito una rigidità del corpo che è in rapporto con la storia e con come l’ho gestita.
E’ stato difficile non giudicare il personaggio il cui bisogno umano arriva ad
un estremo quasi disumano da bypassare l’umanità dell’altra donna che lo ha
tenuto in grembo ma che lei vede solo come utero di cui si è servita. I suoi
bisogni umani annullano quelli dell’altra. E’ un’umanità molto lontana da me.
C’è la mancanza di serenità nel vivere questo dramma perché vivono in una
società in cui questa cosa non è contemplata, se lo fosse lo si vivrebbe
diversamente. Si è segreti verso se stessi e si crea un blocco là dove c’era
quel grande desiderio. E’ talmente desiderosa di essere madre che non riesce
più ad esserlo a pieni polmoni. Arriva alla gelosia nei confronti del marito
fino ad arrivare alla remissione della figura paterna per attivare un’idea e
non una concretezza di maternità.
Il regista ha parlato di “sicilianità”: come si può mettere in correlazione con la storia? Quella parte della Sicilia almeno dal
punto di vista visivo viaggia in parallelo e comunque fa un po’ da metafora al
nostro percorso. Penso che lì c’è un aspetto surreale con le montagne che hanno
una presenza ed una forza pari alle Dolomiti ma rispetto ad esse sono attaccate
al mare. C’è una grande conflittualità tra l’imponenza e la forza delle
montagne rispetto al mare che è rassicurante.
Egidio Termine: E’ un film di
conflitto anche nei Paesaggi. Girato a capo Zafferano, Santa Flavia, Bagheria,
Porticello, Palermo, Aspra… I paesaggi sono stati scelti apposta per accentuare
questo conflitto (natura – cultura) fino a quando c’è una fusione tra le due.
L’amore è culturale non materiale, ad amare s’impara. La vera madre è chi ti
cresce e non chi ti ha portato in grembo. Questo rapporto tra natura e cultura
continua con dei quadri che vengono fatti con colori estratti dai fiori ad
esagerare in Margherita, il motivo della sua tragedia. Era entrata in un
impasse e non ne usciva più. Riesce ad andare avanti con la presenza del figlio
che all’inizio ipotizza di poter riprendere ma in realtà deve ritrovare se
stessa. Allo stesso modo la madre che aveva negato l’altra e la storia del
padre, si riprende la sua vita, donandola al figlio.
Elisabetta Ruffolo