Da poco ha inaugurato alla Galleria dello Scudo a Verona la mostra "carlaccardi, oroargento dipinti 1964-1965". La rassegna, in collaborazione con l’Archivio Accardi Sanfilippo, riunisce per la prima volta tele di grandi dimensioni provenienti dalla collezione dell’artista, che testimoniano di una fase creativa tra le più intense del suo percorso.
L’artista sceglie ora per la prima volta di ricorrere a questi pigmenti per spostare con decisione la sua pittura verso una nuova dimensione di luminosità, che coinvolge lo spazio oltre i confini della tela, in un dialogo che, negli stessi anni, la porta a concepire le prime radicali sperimentazioni ambientali con il sicofoil.
La serie di quadri del 1964-1965 ora riuniti a Verona rappresenta una delle tappe più enigmatiche e sofisticate di una particolare sperimentazione dove l’oro e l’argento diventano veicoli di luce, materiali che dialogano con lo spazio circostante. L’esposizione veronese è corredata da una significativa serie di opere su carta. Un nucleo, anch’esso, del tutto coeso e unico, realizzato utilizzando i pigmenti oro e argento su carte colorate e mai presentato in pubblico nel suo insieme. In uno spazio ancora una volta risolto in bicromia, Accardi disegna una serie di “matasse”, come lei stessa le chiama, in cui il segno si agita libero e si avviluppa in sequenze continue dall’andamento circolare, mosse verso il centro del foglio di carta o dilatate fino ai suoi limiti estremi. Opere in cui ritorna quella che Germano Celant nel 1999 definisce “la danza dei riflessi”, che “spinge i colori quanto le superfici a fluttuare, a riverberare una luce e una mobilità che sono continue intercomunicazioni tra le polarità dell’arte e dell’ambiente”.
Già nell’ottobre 1964 Gillo Dorfles, nel catalogo della personale alla Galleria Notizie a Torino, sottolinea gli effetti di “brillanza” ottenuti tramite colori fluorescenti e argentati, accostati in modo tale da giungere a nuove “mirabili accensioni cromatiche”.
Sarà Accardi stessa, in un’intervista su “Flash Art” di ottobre-novembre 1989, a offrire la chiave utile per comprendere la genesi di questi quadri. “Ricordo che nell’estate del ’64, dopo la mia partecipazione alla Biennale, ho cominciato a usare il colore fluorescente su tela. Il colore fluorescente esprimeva la mia ricerca di una luce sempre maggiore, perché la fluorescenza di questo colore sembra illuminata da un raggio di sole, mentre il colore normale, anche se è un rosso cadmio, sembra sempre un po’ ombrato. Il materiale trasparente, che poi ho usato, ho avuto occasione di utilizzarlo per una cosa che mi avevano chiesto. Così, la trasparenza e il colore fluorescente vengono tutti e due da quella mia scelta di radicalizzazione verso un cammino di “antipittura”; è sempre stato il mio motivo ispiratore... Ero passata da Ravenna e avevo visitato il Mausoleo di Galla Placidia”.
|
|



