C'è
un tema che pulsa sotto la superficie levigata del nu-soul e del funk che
innervano questo album, un tema che ne costituisce la vera e più urgente spina
dorsale: la questione meridionale. Pubblicato lo scorso 24 ottobre,
questo lavoro si è rivelato non solo un'opera di critica sociale universale, ma
soprattutto un potente, complesso e orgoglioso manifesto di meridionalismo
contemporaneo. È la colonna sonora di un'identità che smette di scusarsi e
inizia a raccontarsi, usando un linguaggio sonoro globale per rivendicare una
verità locale.
La
prima e più radicale dichiarazione d'intenti è la lingua. La scelta di
scrivere l'intero album in napoletano—una lingua, come ricorda il materiale di
presentazione, più antica dell'italiano e con la storia di uno stato
indipendente—è un atto politico di resistenza. In un mercato che spinge
all'omologazione, usare il napoletano su un tappeto di nu-jazz londinese è un
gesto di decolonizzazione culturale. È un modo per dire: possiamo padroneggiare
il vostro sound, ma lo useremo per raccontare la nostra storia,
con la nostra voce. Lo skit "SENESE’S CODE", che
campiona l'iconico James Senese, è il sigillo su questo patto di autenticità:
prima la musica, prima l'identità, poi tutto il resto.
Da
questa premessa linguistica, il disco esplode nel suo cuore politico: "TERRA
SANTA". Questo non è un brano, è un inno. Su un beat hip-hop cupo e
solenne, l'artista demolisce pezzo per pezzo la prigione degli stereotipi
("nun è sul 'a pizza e d'o sole"). La "Terra Santa" del Sud
non è una cartolina per turisti, ma un luogo ferito, avvelenato, un'identità
complessa che ha la sua storia rivoluzionaria (Masaniello) e i suoi martiri
civili (Giancarlo Siani). È la rivendicazione di una sacralità violata, un atto
d'accusa contro chi "se n'è lavato 'e mane".
Questo
tema si lega indissolubilmente a quello dell'emigrazione, analizzato con
un'intelligenza rara nello skit "PE VIAGGIÁ". Attraverso un
campionamento di Massimo Troisi, l'album smonta un altro pregiudizio: quello
del meridionale "disperato" costretto a fuggire. La narrazione si
ribalta: non disperati, ma "viaggiatori", sognatori, marinai mossi
dalla curiosità di esplorare un mondo che in patria sta troppo stretto. È il
complemento perfetto a "TERRA SANTA": si può amare la propria terra e
allo stesso tempo desiderare di lasciarla, senza che questo sia una
contraddizione.
Questo
orgoglio ferito si riflette infine nella vita dell'individuo. Cosa significa
essere un artista in questo contesto? Significa, forse, una lotta doppia. "L’ARTISTA
IMPIEGATO" ce lo racconta con una malinconia Lo-Fi: la precarietà di
chi deve fare "due o tre fatiche" per scrivere rime non è solo la
condizione del creativo moderno, ma anche quella di chi parte, forse, da una
posizione di svantaggio strutturale.
Questo
album è un'opera profondamente politica. È la voce di una generazione che ha
smesso di compatirsi e ha iniziato a pretendere rispetto, usando il groove come
un'arma gentile e le parole come pietre.


