Intervista di Marialuisa Roscino
La dislessia è un disturbo neuropsicologico che compromette la lettura fluente e la comprensione del testo, pur consentendo di comprendere le singole parole. Non rappresenta una malattia e fa parte dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), insieme a disgrafia, disortografia e discalculia, regolati in Italia dalla Legge 170/2010. Negli ultimi anni, l’aumento delle diagnosi riflette una maggiore sensibilizzazione e strumenti di rilevazione più accurati. Secondo il Ministero dell’Istruzione e l’Associazione Italiana Dislessia, gli studenti con DSA rappresentano circa il 6% della popolazione scolastica, con punte che in alcune regioni, superano il 7%. A livello internazionale, si stima la prevalenza dei disturbi della lettura intorno al 7,1%, a seconda dei criteri diagnostici e linguistici adottati. In Italia, il fenomeno appare in parte sottodiagnosticato, ma in costante crescita. Riconoscere precocemente la dislessia e attuare programmi di intervento riabilitativo, unitamente a strategie didattiche mirate è fondamentale per promuovere il benessere psicologico e il successo scolastico di bambini e adolescenti, valorizzando e nel contempo, incrementando le loro risorse cognitive e affettive. Di questo e molto altro ne parliamo oggi, in questa intervista, con la Dott.ssa Adelia Lucattini, Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psychoanalytical Association.
Lucattini:“Grazie agli interventi riabilitativi e didattici, con il tempo, il bambino impara a trovare le proprie modalità di compenso e di resilienza, a costruire un’immagine di sé più integra e a vivere con maggiore serenità il rapporto con la scuola, la famiglia e i pari”.
Dott.ssa Lucattini, quali sono i segnali più comuni che possono intercettare precocemente la dislessia in età prescolare?
I segnali della dislessia possono manifestarsi già nei primi anni di vita, ben prima dell’ingresso alla scuola primaria. Riconoscerli precocemente permette di attivare percorsi di osservazione e di potenziamento che permettono di ridurre di gran lunga il rischio di sottodiagnosi di un possibile Disturbo Specifico dell’Apprendimento.
Uno dei principali indicatori è la persistenza di un disturbo del linguaggio dopo i quattro anni di età. Studi su Frontiers in Psychology (2024) e Neuropsychology Review (2023) mostrano che i bambini con difficoltà linguistiche, in particolare nella consapevolezza fonologica, nella denominazione rapida e nella comprensione verbale, hanno una probabilità tre volte superiore di sviluppare dislessia in età scolare. Se invece, le difficoltà linguistiche compaiono prima dei quattro anni, ma tendono a risolversi spontaneamente, il rischio si riduce sensibilmente. Un fattore oggi considerato importante è la familiarità. Ampie ricerche condotte nei Paesi nordici e negli Stati Uniti pubblicati su Journal of Learning Disabilities (2023) e Child Development (2024) confermano che la presenza di un genitore o di un fratello con dislessia aumenta significativamente la probabilità che il bambino sviluppi a sua volta difficoltà di lettura e scrittura.
Come si manifesta, in particolare, la dislessia nei bambini durante gli anni della scuola primaria?
La dislessia nei primi anni di scuola si manifesta come una difficoltà specifica e persistente nella lettura: il bambino legge più lentamente, commette errori, può invertire o sostituire lettere e fatica a comprendere ciò che ha appena letto. Queste difficoltà non dipendono da mancanza di intelligenza, impegno o motivazione, ma da un diverso funzionamento dei circuiti cerebrali che elaborano il linguaggio scritto e parlato.
A seconda della gravità del disturbo, la dislessia può riguardare il riconoscimento delle lettere, delle parole intere o di interi brani. Nei test diagnostici vengono spesso utilizzate le “non-parole”, termini inventati privi di significato (come pafro o lumeco), che servono a valutare la capacità del bambino di decodificare i suoni senza ricorrere al significato o al contesto.
Il bambino dislessico può apparire distratto o demotivato, ma in realtà è molto affaticato, poiché la lettura e la scrittura richiedono un impegno molto maggiore rispetto ai coetanei. Di conseguenza può sviluppare frustrazione, bassa autostima o ansia da prestazione, soprattutto se le sue difficoltà non vengono riconosciute e sostenute in modo adeguato. È importante ricordare sempre che la dislessia non è un deficit intellettivo, né un problema emotivo, ma una condizione neuropsicobiologica: il cervello del bambino dislessico elabora le informazioni scritte in modo diverso, pur mantenendo intatte le capacità intellettive e creative. Con un’adeguata diagnosi, strumenti compensativi e un ambiente educativo comprensivo, il bambino può apprendere efficacemente e sviluppare pienamente le proprie potenzialità.
In che modo è possibile aiutare e sostenere un bambino con dislessia in età scolare?
La dislessia viene di solito riconosciuta nei primi mesi della scuola primaria, quando il bambino inizia a confrontarsi con la lettura e la scrittura. È in questo periodo che emergono le prime difficoltà: la lettura appare lenta, faticosa e imprecisa, con errori frequenti di omissione, inversione o sostituzione di lettere e parole. Il bambino può saltare righe, perdere il segno o confondere lettere simili come b/d o p/q. Spesso la scrittura risulta poco leggibile e la copiatura dalla lavagna estremamente lenta. Le difficoltà non riguardano solo le parole, ma talvolta anche numeri e simboli, indicando una fatica più generale nei processi di simbolizzazione grafica.
Questi segnali non dipendono da scarsa intelligenza o impegno, ma da un diverso modo in cui il cervello elabora il linguaggio scritto. Ricerche pubblicate su PNAS (2023) e Brain Sciences (2024) hanno dimostrato che nei bambini dislessici le aree temporo-parietali sinistre, coinvolte nella decodifica fonologica, mostrano un’attivazione ridotta. Tutti gli studi evidenziano l’importanza di una diagnosi precoce e di un intervento mirato per migliorare le abilità di lettura e prevenire effetti secondari sul piano emotivo e motivazionale.
Dal punto di vista psicologico, la dislessia può essere interpretata come una difficoltà nella simbolizzazione e nella mediazione attraverso il linguaggio. Come osserva Stephen Migden sullo The Psychoanalytic Study of the Child, il linguaggio scritto implica un elevato livello di astrazione: il segno grafico sostituisce l’oggetto reale e richiede la capacità di rappresentazione simbolica. Il bambino dislessico può vivere questa distanza tra segno e significato come una frattura nella propria esperienza di comprensione e controllo, con ripercussioni sull’autostima e sull’immagine di sé. La fatica nella lettura, quindi, non è solo intellettiva, ma anche emotiva: il bambino sperimenta frustrazione, vergogna o senso di inadeguatezza. In questi casi, la funzione contenitiva dei genitori e degli insegnanti assume un ruolo centrale. Un atteggiamento empatico e di sostegno consente al bambino di riconoscere la propria diversità come una particolarità che può gestire e non come un limite personale. L’integrazione tra intervento neuropsicologico e ascolto psicoanalitico può favorire l’elaborazione del disagio e promuovere una crescita equilibrata.
Perché la dislessia può essere definita “evolutiva”?
La dislessia evolutiva è così definita perché si manifesta nel corso dell’età dello sviluppo, in assenza di lesioni cerebrali o deficit sensoriali, e accompagna il bambino durante la crescita, modificandosi nel tempo. È un disturbo che riguarda i processi cognitivi della lettura e della scrittura, e si esprime in modo diverso a seconda dell’età, del livello di apprendimento e delle esperienze scolastiche ed emotive.
Proprio la sua natura “evolutiva” richiede di riconoscere precocemente i segnali di rischio, già nella scuola dell’infanzia o nei primi mesi della primaria per attivare tempestivamente un percorso di valutazione e di intervento. Sebbene la diagnosi formale sia possibile intorno agli 8 anni, i bambini “a rischio” beneficiano in modo significativo di interventi precoci di potenziamento linguistico e fonologico.
Studi recenti su Psychological Science (2023) e Journal of Experimental Child Psychology (2024) confermano che la precocità dell’intervento è il principale fattore predittivo di successo scolastico e di benessere psicologico ed emotivo.
Le ricerche più aggiornate indicano che circa il 20% dei bambini con dislessia può raggiungere un recupero completo, il 45% sviluppa un buon compenso con adeguati strumenti didattici e riabilitativi, mentre il 35% mantiene difficoltà significative nella lettura e nella scrittura. Tuttavia, nella maggior parte dei casi la prognosi è positiva, soprattutto quando il bambino riceve un sostegno precoce, strategie personalizzate e un ambiente familiare e scolastico capace di contenere la frustrazione e valorizzare le sue risorse.
Da un punto di vista psicoanalitico, la dislessia evolutiva può essere compresa come una difficoltà che coinvolge la funzione simbolica e il rapporto del bambino con il linguaggio e l’apprendimento. L’accesso alla parola scritta rappresenta un passaggio cruciale nello sviluppo psichico, poiché implica la capacità di separazione e di rappresentazione dell’oggetto attraverso il segno grafico. Quando questa funzione incontra un ostacolo, il bambino può vivere la difficoltà come una ferita narcisistica, legata al confronto con i coetanei e all’ideale di “essere capace”. Come sottolinea la psicoanalista Joice McDougall, la dislessia può attivare meccanismi difensivi di evitamento, negazione o ipercontrollo, che hanno lo scopo di proteggere il Sé da un senso di fallimento o di perdita di riconoscimento. Un accompagnamento psicologico o psicoanalitico precoce può sostenere il bambino nell’elaborare queste emozioni e integrare la propria diversità cognitiva all’interno di una rappresentazione di sé più solida e accettata.
Qual è l’importanza dell’intervento precoce?
L’intervento precoce è fondamentale per tutti i bambini che manifestano difficoltà, disagi o disturbi dell’apprendimento, poiché la tempestività della diagnosi e del trattamento determina in gran parte l’esito del percorso evolutivo e scolastico. Quanto prima il bambino viene riconosciuto e sostenuto, tanto maggiori sono le ricadute positive sul piano cognitivo, emotivo e relazionale.
Nel caso della dislessia evolutiva, l’avvio tempestivo della riabilitazione specifica, associata a un intervento psicoanalitico o psicologico di sostegno per il bambino e la sua famiglia, permette di ridurre la frustrazione e di rafforzare il senso di competenza. Parallelamente, l’applicazione di un Piano Didattico Personalizzato (PDP) consente di costruire un ambiente educativo protettivo e motivante, capace di sostenere la fiducia del bambino nelle proprie capacità.
Gli interventi precoci, avviabili già nei primi mesi della scuola primaria, aiutano a sviluppare strategie di apprendimento personalizzate e a utilizzare strumenti compensativi (audiolibri, calcolatrice, software di sintesi vocale, correttori ortografici) e dispensativi (riduzione dei tempi di lettura o scrittura, verifiche orali). Questo approccio previene l’accumulo di insuccessi, riduce l’ansia da prestazione e favorisce un apprendimento più sereno e duraturo.
Una recente ricerca pubblicata su Psychological Science (2023) ha dimostrato che gli interventi riabilitativi avviati entro il primo anno di scolarizzazione riducono del 50% la gravità dei disturbi di lettura e migliorano la motivazione e la fiducia dei bambini con dislessia.
Un intervento tempestivo permette di prevenire il ritardo scolastico, sostenere le competenze linguistiche e intellettive e favorire un buon equilibrio emotivo, condizioni essenziali per raggiungere il successo scolastico e formativo fino all’età adulta.
Perché è importante il trattamento psicoanalitico nella dislessia?
Il trattamento psicoanalitico riveste un ruolo cruciale nel percorso di cura del bambino con dislessia, poiché il disturbo, se non riconosciuto e compreso in tempo, può generare vissuti di frustrazione, vergogna e impotenza. Il bambino dislessico si accorge presto delle proprie difficoltà — anche in assenza di confronti diretti con i compagni — e sperimenta un senso di diversità che può minare la fiducia in sé e la motivazione all’apprendimento.
In questa prospettiva, il trattamento psicoanalitico permette al bambino di dare significato simbolico alle proprie difficoltà, trasformando la sofferenza in pensiero e parola. Attraverso la relazione terapeutica, il bambino può riconoscere che la sua difficoltà non coincide con un fallimento personale, ma con una modalità diversa di funzionamento cognitivo ed emotivo. Allo stesso tempo, il lavoro con i genitori aiuta la famiglia a rielaborare il proprio vissuto di impotenza e a costruire un ambiente affettivo più accogliente e meno colpevolizzante.
L’approccio psicoanalitico consente di integrare i processi affettivi con quelli autoriflessivi, migliorando non solo la rappresentazione di sé, ma anche la capacità di apprendimento. Gli autori descrivono il caso di una bambina dislessica in cui il trattamento analitico ha favorito l’emergere di un linguaggio interno più coeso e la riappropriazione della funzione simbolica.
Inoltre, uno studio più recente pubblicato su BMC Psychology (2024) ha evidenziato come i bambini con disturbi specifici dell’apprendimento mostrino livelli più elevati di ansia, stress scolastico e bassa autostima rispetto ai coetanei con sviluppo tipico. Gli autori sottolineano l’importanza di interventi psicodinamici e relazionali, capaci di affrontare le dimensioni emotive e identitarie che accompagnano la difficoltà di apprendimento, prevenendo la cronicizzazione del disagio. La psicoanalisi aiuta il bambino a riattivare la funzione simbolica, ossia la capacità di trasformare l’esperienza in rappresentazione e pensiero, e a ricostruire la fiducia nella propria possibilità di pensare, leggere e imparare. Questo percorso di integrazione psichica ed emotiva è essenziale per evitare che la dislessia diventi non solo un limite cognitivo, ma una ferita identitaria.
Perché è importante che anche i genitori siano coinvolti trattamento psicoanalitico del bambino?
Il trattamento psicoanalitico nella dislessia ha una funzione specifica e complementare rispetto agli interventi riabilitativi e didattici. Esso consente innanzitutto di effettuare una diagnosi differenziale tra le difficoltà emotive e relazionali che possono accompagnare i disturbi della lettura e la dislessia evolutiva vera e propria, in cui il disagio psicologico è una conseguenza secondaria del disturbo e non la sua causa.
Il valore terapeutico della psicoanalisi risiede nel potere trasformativo della relazione: il bambino trova nello spazio analitico un luogo dove essere ascoltato, compreso e aiutato a dare significato alle proprie difficoltà. Sapere che esiste un tempo e una persona “tutta per sé” è già di per sé curativo, perché ristabilisce fiducia e senso di continuità del Sé. Attraverso il gioco, il dialogo e la simbolizzazione, l’analista aiuta il bambino a riconoscere e regolare le emozioni legate alla frustrazione, al senso di diversità e al fallimento scolastico, trasformandole in pensiero e creatività.
Un aspetto centrale del trattamento riguarda il coinvolgimento dei genitori. Gli incontri periodici con l’analista permettono di lavorare sui sentimenti di colpa, impotenza o eccessiva protezione che spesso emergono nella famiglia. Il bambino, percependo che anche i genitori vengono aiutati a comprendere, si sente sostenuto e valorizzato.
La psicoanalisi funge anche da contenitore simbolico per la fatica del percorso riabilitativo, spesso lungo e impegnativo. Dopo giornate dense di impegni scolastici e sedute di logopedia o potenziamento, lo spazio analitico diventa un momento di rielaborazione e di scarico dell’ansia. Col tempo, il bambino impara a trovare le proprie modalità di compenso e di resilienza, a costruire un’immagine di sé più integra e a vivere con maggiore serenità il rapporto con la scuola, la famiglia e i pari.
Quali consigli si sente di dare al riguardo?
-Intervenire il prima possibile. Se emergono difficoltà nella lettura o scrittura, rivolgersi subito a uno specialista: la diagnosi precoce è la chiave dell’apprendimento scolastico e formativo;
-Sostenere il bambino senza sostituirsi a lui. Avere fiducia e incoraggiarlo, apprezzare l’impegno più che il risultato;
-Valorizzare le sue competenze trasversali. Favorire attività in cui il bambino riesce (sport, musica, arte) per rinforzare autostima e fiducia;
-Parlare apertamente della dislessia. Spiegare che non è una malattia, ma un modo diverso di imparare, aiutandolo a guardare al futuro con serenità;
-Partecipare al percorso terapeutico nel suo insieme. Incontrare periodicamente l’analista per comprendere meglio i vissuti del bambino e sostenere il percorso familiare;
-Collaborare con la scuola. Chiedere di attivare un Piano Didattico Personalizzato (PDP) e mantenere un dialogo costante con gli insegnanti per garantire strumenti compensativi e dispensativi previsti dalla legge.


