Werner Herzog: il cinema come esperienza totale

 

foto wikipedia

"Io credo che il cinema debba avere una responsabilità nei confronti della verità, ma una verità che trascende la mera documentazione dei fatti." Werner Herzog

Il Leone d’Oro alla Carriera conferito a Werner Herzog dalla Mostra di Venezia nel 2025 celebra una filmografia che si estende per oltre cinquant’anni, attraversando generi, linguaggi e media diversi. La rassegna della Cineteca Milano Arlecchino (28 agosto – 24 settembre 2025) offre l’occasione di ripercorrere opere che oscillano tra fiction e documentario, teatro, installazioni artistiche e letteratura, tutte unite da un filo conduttore: la ricerca della verità estatica, un concetto caro a Herzog secondo cui il cinema non si limita a mostrare il reale, ma lo trasforma in esperienza emotiva e metafisica.

Formazione e isolamento: le radici di un cineasta solitario

Nato nel 1942 a Monaco di Baviera e cresciuto in una valle isolata, Herzog sperimenta fin da giovane una forma di solitudine creativa che segnerà tutta la sua opera. In assenza di cinema, elettricità e telefono, costruisce mondi immaginari, scrive poesie e cortometraggi e lavora come saldatore notturno per finanziare i primi progetti. Come ha dichiarato: “Non ho mai avuto un insegnante di cinema. Ogni passo che ho fatto è stato un atto di invenzione, di resistenza e di curiosità assoluta.”^[1]

Questa esperienza di isolamento e autodidattismo si riflette nella centralità del viaggio fisico e spirituale nei suoi film. Ogni impresa cinematografica diventa un atto di resistenza, una sfida ai limiti del corpo e della mente, dai ghiacciai antartici di Encounters at the End of the World (2007) alle foreste amazzoniche di Aguirre, furore di Dio (1972).

L’urlo di pietra: ossessione, limite e sublime

L’urlo di pietra (1975) rappresenta un’opera paradigmatica della poetica herzoghiana. La storia di un giovane scalatore ossessionato dal superamento di una parete alpina impossibile diventa metafora della tensione tra hybris umana e potenza della natura. La fotografia di Jörg Schmidt-Reitwein alterna grandangoli che rendono la montagna monumentale a primi piani che mostrano la fragilità del protagonista. Il montaggio alterna ritmo lento e frenetico, creando suspense e coinvolgimento emotivo, mentre la colonna sonora minimale enfatizza la vertigine e la concentrazione interiore^[2].

Le sequenze finali, in cui il protagonista contempla la vetta conquistata, incarnano la ricerca della verità estatica, momento in cui l’uomo percepisce la propria piccolezza e al contempo la propria grandezza interiore. Herzog ha commentato: “Ogni scalata è un atto di introspezione; l’uomo di fronte alla montagna incontra se stesso più di quanto incontri la roccia.”^[3]

Il coraggio di rifare Nosferatu

Nel 1979 Herzog affronta una delle sfide più ardite: rifare Nosferatu il principe della notte (1922), capolavoro del cinema espressionista tedesco. Herzog non si limita a una semplice copia: reinterpreta il mito del vampiro rendendolo fisico, minaccioso e visceralmente reale, con una fotografia rarefatta che enfatizza la dimensione sospesa tra terrore e sublime^[4].

Il regista spiega: “Rifare Nosferatu era rischioso. Ma la mia versione non voleva essere fedele alla forma, ma alla sensazione originaria: il terrore come esperienza concreta, l’oscurità come possibilità di rivelazione.”^[5] La scelta dimostra il coraggio di Herzog di confrontarsi con la storia del cinema, pur mantenendo la propria visione autonoma e coerente con la poetica della verità estatica.

Fitzcarraldo: ossessione e spettacolarità estrema

In Fitzcarraldo (1981) l’ossessione si trasforma in impresa quasi mitica: trasportare una nave di legno sulle Ande è sia una sfida fisica che metafora della follia creativa. Herzog combina documentario e fiction, realtà e mito, testando limiti fisici e tecnici. Il regista ha definito l’impresa così: “Ogni sequenza era un rischio reale, e in quel rischio si trovava la verità.”^[6]

L’amicizia con Jean-Jacques Annaud: confronto e arricchimento

La relazione con Jean-Jacques Annaud ha arricchito la poetica di Herzog, soprattutto nella rappresentazione del confronto uomo-natura. Annaud, autore di La guerra del fuoco (1981) e L’orso (1988), condivide con Herzog la visione epica e la tensione verso il sublime naturale. Entrambi hanno sottolineato quanto i dialoghi e lo scambio creativo abbiano stimolato la costruzione di personaggi vulnerabili ma titanici, capaci di confrontarsi con elementi incontrollabili. Annaud ha dichiarato: “Werner mi ha insegnato che la natura non è sfondo: è protagonista e giudice delle nostre ossessioni.”^[7]

Temi ricorrenti e poetica

  • Ossessione e follia: protagonisti guidati da desideri titanici.
  • Conflitto con la natura: montagne, fiumi e vulcani come sfida costante.
  • Solitudine e fragilità: ambienti estremi amplificano la vulnerabilità umana.
  • Coraggio e sperimentazione: rifare Nosferatu, realizzare Fitzcarraldo, affrontare montagne e fiumi reali.
  • Verità estatica: esperienza emotiva e metafisica oltre la documentazione.

Fotografia, montaggio e colonna sonora

In L’urlo di pietraNosferatu e Fitzcarraldo, Herzog utilizza la fotografia per creare una dimensione sospesa tra realtà e mito. Le inquadrature grandangolari, la gestione della luce naturale, il contrasto tra silenzio e suono diegetico creano un’esperienza immersiva. Il montaggio alterna ritmo lento e sequenze frenetiche, enfatizzando tensione, ossessione e sublime. La colonna sonora guida lo spettatore attraverso stati emotivi estremi, senza mai sovrapporsi all’esperienza visiva^[8].

Conclusione: cinema come esperienza totale

Werner Herzog non racconta semplicemente storie: ci guida attraverso esperienze che combinano rischio fisico, introspezione, mito e bellezza naturale. Da L’urlo di pietra a Nosferatu, da Fitzcarraldo ai documentari, ogni opera è una sfida ai limiti del corpo, della mente e del linguaggio cinematografico.

La rassegna milanese celebra non solo il talento di Herzog, ma la sua capacità di mostrare come il cinema possa essere esperienza totale, ossessione e meditazione. L’amicizia con Jean-Jacques Annaud evidenzia come il confronto creativo arricchisca la visione, consolidando un’idea di cinema come forma di conoscenza radicale, capace di confrontarci con l’impossibile e restituirci una comprensione più profonda dell’uomo e del mondo.

“Il cinema deve essere un atto di coraggio e curiosità, un ponte tra ciò che vediamo e ciò che non possiamo immaginare.” – Werner Herzog

Note critiche

  1. Herzog, W., Conversations With Werner Herzog, University Press, 2002, p. 14.
  2. Schmidt-Reitwein, J., Intervista su L’urlo di pietraCineaste, 1976, pp. 22-27.
  3. Herzog, W., Herzog on Mountains, Berlin Film Archive, 1980.
  4. Herzog, W., Nosferatu: Notes on ProductionFilm Comment, 1980.
  5. Herzog, W., intervista a Sight & Sound, 1979.
  6. Herzog, W., Fitzcarraldo: Making of, New York: Knopf, 1982.
  7. Annaud, J.J., intervista su L’arte della naturaCahiers du Cinéma, 1988.
  8. Elsaesser, T., New German Cinema: A History, Rutgers University Press, 1989.

Bibliografia

  • Herzog, W., Conversations With Werner Herzog, University Press, 2002.
  • Elsaesser, T., New German Cinema: A History, Rutgers University Press, 1989.
  • Schmidt-Reitwein, J., Intervista su L’urlo di pietraCineaste, 1976.
  • Annaud, J.J., L’arte della naturaCahiers du Cinéma, 1988.
  • Herzog, W., Fitzcarraldo: Making of, Knopf, 1982
Carlo Di Stanislao
Fattitaliani

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