L’Europa in ginocchio: sudditanza agli Stati Uniti, impotenza diplomatica e il nuovo asse che la sfida

 

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"La libertà non si insegna, si conquista." Albert Camus

Introduzione: un continente senza bussola

L’Unione Europea, nata come sogno di autonomia politica, di indipendenza economica e di pace duratura dopo le tragedie del Novecento, oggi appare sempre più come un organismo debole, diviso, incapace di esprimere una propria voce autonoma. A distanza di oltre settant’anni dai Trattati di Roma, il Vecchio Continente sembra essersi trasformato da laboratorio di sovranità condivisa a periferia strategica di Washington, incapace di concepire un futuro che non sia dettato dall’Atlantico.

Gli avvenimenti degli ultimi mesi ne sono la prova: la guerra in Ucraina ha messo a nudo non soltanto la fragilità militare dell’Europa, ma soprattutto la sua totale mancanza di iniziativa politica. Mentre le cancellerie europee rincorrono le linee decise dalla Casa Bianca, la Russia mostra i muscoli sul campo e la Cina si candida apertamente a costruire un nuovo ordine mondiale insieme a Mosca e Pyongyang. In mezzo, l’Europa è spettatrice più che protagonista.

Roma smentisce: niente soldati italiani in Ucraina

In Italia, la polemica sull’ipotetico invio di soldati in Ucraina ha acceso il dibattito politico e mediatico. Un’ipotesi che ha trovato subito la netta opposizione della maggioranza e che è stata ufficialmente smentita nel vertice a Palazzo Chigi tra Giorgia Meloni, Antonio Tajani e Matteo Salvini.

La premier ha ribadito che il sostegno di Roma a Kyiv resta “politico e militare”, ma senza un coinvolgimento diretto di truppe sul terreno. Una posizione che, pur confermando la fedeltà dell’Italia alla linea atlantica, segnala anche la consapevolezza dei rischi enormi che deriverebbero da un passo di questo tipo: trascinare l’Italia in un conflitto aperto significherebbe non solo compromettere la sicurezza nazionale, ma anche spaccare un’opinione pubblica già profondamente divisa.

La smentita italiana, tuttavia, non basta a dissipare l’impressione che l’Europa stia vivendo una stagione di sudditanza assoluta. Roma, Parigi, Berlino e Bruxelles oscillano tra annunci e marce indietro, senza mai definire una strategia coerente, affidandosi di volta in volta alle pressioni americane o agli interessi particolari dei singoli governi.

La risposta di Mosca: missili e droni su Kyiv

Mentre in Europa si discute, la Russia risponde con la forza. Alla prospettiva di trattative di pace, Vladimir Putin ha replicato lanciando missili e droni contro Kyiv, colpendo non soltanto infrastrutture strategiche ma anche sedi legate all’Unione Europea. Un gesto dal forte valore simbolico: Mosca non intende negoziare se non da una posizione di superiorità militare.

Questo episodio mette a nudo un’altra fragilità dell’Europa: la convinzione che il conflitto possa essere “gestito” con dichiarazioni e pacche sulle spalle a Washington. In realtà, mentre Bruxelles annaspa, la guerra continua a ridefinire equilibri di forza, e la Russia, nonostante le sanzioni, dimostra di avere ancora risorse e volontà per dettare il ritmo dello scontro.

14 settembre: Pechino ospita Putin e Kim Jong-un

Ma lo scenario più inquietante per l’Europa si prepara a oriente. Il 14 settembre, Xi Jinping ospiterà a Pechino Vladimir Putin e Kim Jong-un per una grande parata militare in occasione dell’80° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale nel Pacifico.

Non sarà soltanto una cerimonia celebrativa: sarà un messaggio politico globale. Davanti a oltre 10mila soldati, 26 capi di Stato e nuove armi ipersoniche mai mostrate prima, la Cina intende dimostrare che l’asse con Mosca e Pyongyang non è un’alleanza improvvisata, ma un progetto strutturale per costruire un contrappeso all’egemonia americana.

Il simbolo più potente di questo evento sarà il missile Dong Feng 41, capace di raggiungere Mach 16 e di effettuare manovre estreme, praticamente impossibili da intercettare anche dai più sofisticati sistemi di difesa occidentali. Non si tratta soltanto di tecnologia militare: è una dichiarazione di indipendenza e sfida.

E mentre Putin e Kim siedono accanto a Xi, l’Europa sarà assente. Nessuna presenza occidentale di rilievo, a conferma di una distanza diplomatica sempre più profonda.

L’Europa divisa: tra paura e inerzia

Il paradosso è evidente: mentre a Oriente prende forma un nuovo blocco politico-militare, l’Unione Europea continua a dividersi. Da un lato i Paesi baltici e la Polonia, che chiedono un coinvolgimento diretto della NATO e spingono per un’escalation. Dall’altro, nazioni come l’Ungheria o la Slovacchia, che mettono in discussione l’intera strategia delle sanzioni e invocano un ritorno al dialogo con Mosca.

In mezzo, le grandi capitali — Parigi, Berlino, Roma — oscillano tra prudenza e obbedienza agli Stati Uniti. Friedrich Merz, cancelliere tedesco dal maggio 2025, ha dichiarato che sembra ormai chiaro che non ci sarà un incontro tra Vladimir Putin e Volodymyr Zelenskyy, evidenziando una posizione di realismo geopolitico che riflette la crescente distanza tra l’Europa e le dinamiche del conflitto.

Tutti gli Stati UE ora sono allenati secondo le richieste USA, con l’obiettivo di portare la spesa militare dal 2% al 5% del PIL in favore della NATO. L’unica eccezione significativa rimane la Spagna, che registra una vera crescita del PIL e non la stagnazione che caratterizza la maggior parte degli altri Paesi.

L’Italia in difficoltà

L’Italia, invece, mostra segnali di stagnazione: l’industria cresce di un irrisorio 0,3%, eppure il governo emette peana di gloria celebrando risultati economici minimi, senza affrontare la realtà dei fatti. La povertà crescente, i salari fermi, la classe media decimata e un welfare ridotto come non mai restano questioni ignorate. L’illusione di prosperità contrastata da dati concreti sottolinea la distanza tra retorica politica e realtà sociale, mentre l’Italia continua a seguire passivamente la linea americana.

La sudditanza agli Stati Uniti

Il cuore del problema resta sempre lo stesso: la sudditanza agli Stati Uniti. L’UE non è capace di elaborare una politica estera autonoma, né tantomeno di sviluppare una difesa comune credibile. Ogni tentativo in questa direzione si è scontrato con i veti incrociati, le gelosie nazionali e la paura di rompere con Washington.

Il risultato è che l’Europa continua a finanziare la guerra in Ucraina, ad applicare sanzioni che danneggiano soprattutto le sue economie, a comprare gas e armi americane a prezzi maggiorati, e intanto assiste impotente all’espansione del fronte alternativo guidato da Pechino e Mosca.

Verso un nuovo ordine mondiale?

Il 14 settembre a Pechino non si consumerà soltanto una parata militare, ma una vera e propria dichiarazione di intenti. Cina, Russia e Corea del Nord — tutte sottoposte a sanzioni e isolate dall’Occidente — mostreranno che è possibile costruire un sistema alternativo, fondato sulla sfida diretta all’egemonia americana.

Non si tratta di un “asse del male”, come fu definito in passato: si tratta di un blocco che raccoglie frustrazioni e ambizioni di una parte crescente del pianeta, dal Sud-Est asiatico al Medio Oriente, dall’Africa all’America Latina. L’assenza dell’Europa da questo tavolo non è un dettaglio: è la prova che Bruxelles non viene percepita come attore indipendente, ma soltanto come appendice di Washington.

Conclusione: il rischio di un’Europa irrilevante e possibili soluzioni

La verità è che l’Unione Europea rischia di diventare irrilevante. Non ha un esercito comune, non ha una diplomazia autonoma, non ha una strategia energetica. È divisa al suo interno e dipendente dall’esterno.

Per tornare a essere un attore globale credibile, l’Europa dovrebbe:

  • Costruire una difesa comune reale, con capacità autonome di deterrenza e non solo dipendenti dagli USA.
  • Promuovere coesione economica interna, sostenendo i settori industriali strategici e affrontando la povertà e i salari stagnanti.
  • Riformare il welfare, per evitare che i cittadini siano le vittime del ridimensionamento dello Stato sociale.
  • Sviluppare una diplomazia indipendente, capace di dialogare con tutti i blocchi senza subire diktat esterni.

Se non saprà recuperare autonomia e visione, l’Europa sarà condannata a un ruolo marginale, un gigante economico con i piedi d’argilla. Il 14 settembre, quando Xi, Putin e Kim sfileranno a Pechino, l’Europa non sarà sul palco. E forse è questa l’immagine più eloquente di tutte: un continente che ha smarrito la propria voce, incapace di scegliere se vuole essere protagonista della storia o semplice spettatore della potenza altrui.

Carlo Di Stanislao

Fattitaliani

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