Diretta, schietta, empatica, Lara sceglie ancora una volta di esporsi senza filtri, portando in musica un’esperienza personale spesso taciuta: una malattia invisibile e invalidante, vissuta in giovane età, che diventa metafora di solitudine, fragilità ma anche resistenza. Infezione non è solo una canzone, ma un atto politico, nel senso più umano del termine: ridare spazio, parole e dignità a ciò che la società tende a ignorare.
A Fattitaliani Lara Dei racconta il processo creativo e doloroso che ha portato alla nascita del brano, il suo sguardo ironico sulla quotidianità, l’urgenza di scrivere canzoni come fossero dialoghi tra amici. Con una poetica che rompe stereotipi e abbraccia l’imperfetto, l’artista ci accompagna dentro un mondo fatto di ferite esposte e speranza autentica. Perché cantare il proprio dolore può diventare, a volte, il modo più coraggioso per guarire.
1.
“Infezione” è un titolo fortissimo e
inusuale per una canzone. Cosa ti ha spinta a trasformare un’esperienza così
personale in un brano?
Tutto quello che mi accade nella vita si ripercuote
inevitabilmente nella mia musica e quindi nelle canzoni che scrivo. Mi è sempre
venuto naturale riportare ogni aspetto della mia vita quotidiana nelle canzoni
e, in questo caso, la scelta non è stata frutto di un ragionamento, ma una vera
esigenza di raccontare il mio vissuto, aprirmi completamente all’ascoltatore
senza paura, coinvolgendolo anche in momenti che sono stati per me molto
dolorosi e difficili.
2.
Hai detto che scrivere questa canzone è
stato “dolorosissimo”. Come si convive con il dolore quando diventa musica?
Per me scrivere è catarsi e attraverso “Infezione” una
parte di me è riuscita ad andare avanti e superare ciò che ho vissuto. Non posso
negare che non sia stato semplice ascoltare la canzone pronta prima
dell’uscita, ma sono molto orgogliosa di
quello che ho scritto. La mia speranza è che le persone possano sentirsi meno
sole con questo brano, possano sentirsi confortate, capite e aiutate.
3.
Il brano parla di corpo, malattia,
solitudine… Temi spesso taciuti nella musica pop. Ti sei mai sentita
scoraggiata dal timore che fosse “troppo”?
Non mi sono mai sentita scoraggiata, ma sicuramente ho
avuto il timore di non essere compresa. Il tema è complesso e c’è purtroppo il
rischio che venga trattato con superficialità e poco tatto. Ho avuto riscontro
di ciò: i commenti ricevuti che mostravano solo la poca sensibilità delle
persone. Quando accadono queste cose non
è facile gestire le proprie emozioni, ma non possiamo neanche pretendere di
piacere ed essere compresi da tutti.
4.
Dietro l’ironia e i dettagli del
quotidiano si percepisce una vulnerabilità potente. Quanto è stato difficile
trovare il tono giusto per raccontare questa storia?
Infezione racconta
la storia di una persona che non solo è stata male per via di una malattia, ma
che ha deciso di accettarla e ha voluto riappropriarsi del proprio corpo e
della propria vita. Descrivere questo momento da una prospettiva diversa, più
propositiva, per me è stato molto naturale: è bastato assecondare il mio essere
positiva ed ironica. Cerco sempre nella vita di vedere il bicchiere mezzo
pieno.
5.
La produzione musicale accompagna il
testo con un ritmo leggero, quasi estivo. È stata una scelta consapevole per
creare contrasto?
Il brano ha un testo complesso, apparentemente ironico e
smorzare tutto con un ritmo leggero, sonorità allegre e fresche è stata una
scelta pensata per valorizzare l’intento: lasciare la possibilità
all’ascoltatore di distaccarsi dal testo, provare a immedesimarsi e vivere la
musica in qualsiasi momento e contesto, adattandola al proprio stato d’animo e
all’ambiente in cui si trova.
6.
Nei tuoi brani precedenti, come “Ex” e
“Milano Paris”, emerge già una scrittura diretta, a volte spiazzante. Come
definiresti oggi la tua poetica?
Nella vita, come nella musica, sono una persona molto diretta e pragmatica e questo si rispecchia anche nelle mie canzoni: adoro prendere di petto i concetti, urlarli senza vergogna ma sempre con grande orgoglio. E così anche la mia scrittura, molto semplice e basata su esperienze comuni. Mi piace immaginare le mie canzoni come un dialogo tra amici: un racconto, consigli rassicuranti, ma anche qualche rimprovero paternalistico.
7.
Ti sei formata in contesti prestigiosi,
dal CET di Mogol all’Officina delle Arti di Pasolini. In che modo questi
percorsi hanno influenzato il tuo modo di scrivere?
Studiare in questi contesti mi ha aiutata a confrontarmi
con tanti artisti che riescono a trasformare la vita in arte, come cerco di
fare anche io. È stata un’esperienza importante e formativa, che mi ha fatto
capire dove migliorarmi e quali sono i miei punti di forza.
8.
La tua è una voce fuori dal coro, che rompe stereotipi e racconta l’imperfetto. C’è qualcuno nella musica italiana o internazionale che senti vicino alla tua sensibilità?
Viviamo in un’epoca in cui finalmente stiamo provando
tutti a rompere gli stereotipi, in musica come in ogni altra forma di arte e
soprattutto nella vita di tutti giorni. Io mi sento legata ad alcune artiste
che hanno iniziato questo processo: Anna Castiglia, Giulia Mei, Ginevra e la Niña.
9.
Hai calcato palchi importanti e vinto
premi rilevanti, ma sei ancora in una fase di crescita. Come stai vivendo
questo momento di passaggio tra “promessa” e “presenza”?
In questo momento cerco di non farmi troppe domande,
trasformo la possibile paura e pressione in una spinta che mi permetta di dare
sempre il massimo. Poter fare questo mestiere è un privilegio, sono fortunata e
ho tanta voglia di mettere a disposizione di tutti ciò che ho da offrire e che
vivo, con la speranza di poter far emozionare con la mia musica.
10.
Cosa ci dobbiamo aspettare dal tuo primo
album? Sarà un disco altrettanto autobiografico e coraggioso?
Non posso dire molto sul primo album, posso definirlo
decisamente coraggioso: ci saranno brani molto complessi, momenti di quotidianità
in cui nulla sarà edulcorato, la vita con le sue sofferenze, gioie e dolori,
raccontati senza veli. Sarà un bel
viaggio, se fosse un’immagine sarebbe
quella di un sabato sera in un bar con un’amica a raccontare tutto ciò che ci
accade ogni giorno, magari con uno spritz davanti.
11.
Il tuo percorso sembra un atto di
resistenza creativa. Quanto è difficile oggi, per una cantautrice giovane,
mantenere la propria voce autentica nel mercato musicale?
In tutta sincerità non è facile mantenere la propria voce
autentica nel mercato musicale di oggi. Si ha sempre l’impressione di dover
fare dei compromessi con quello che può andare, sia in quanto donna, per il
modo di cantare, il ruolo fondamentale dell’estetica e l’attenzione per ogni
singola parola che può scatenare un’onda mediatica ingestibile. Sia anche per
quanto riguarda il ruolo, la cantautrice, che è sempre più raro. Nel mio
piccolo cerco sempre di seguire l’istinto e di non assecondare le politiche di
mercato che inevitabilmente si manifestano.
12.
“Infezione” è anche una canzone politica, nel
senso più profondo: dà voce all’invisibile. Se potessi dire una cosa a chi oggi
si sente come ti sei sentita tu, quale sarebbe?
Con il mio brano vorrei semplicemente non far sentire
solo/a chi sta vivendo la situazione che ho vissuto io. Quel senso di
solitudine non è reale, non ci si deve chiudere in se stessi ma parlare con le
persone vicine per esplicitare ciò che si prova e si sente, che siano paure o
rabbia per quello che è accaduto. E da amica, consiglierei di non fermarsi al
primo parere medico, magari di avere quella determinazione e perseveranza di
andare a fondo al problema per capire e scegliere il passo successivo da compiere.