L’Italia, nella sua politica estera, continua a mostrare un volto sempre più ambiguo e contraddittorio, soprattutto sul conflitto israelo-palestinese, un terreno estremamente scivoloso in cui si intrecciano interessi geopolitici, economici e morali di portata globale, che sembrano prevalere su ogni altra considerazione umanitaria o etica. Da decenni, il nostro governo si allinea senza esitazioni con quello israeliano, definito in modo quasi dogmatico e ripetuto come un mantra come “l’unica democrazia del Medio Oriente”. Tuttavia, questa definizione – più retorica che sostanza – si scontra violentemente con i fatti concreti e con le politiche di occupazione militare, repressione sistematica e violenza indiscriminata portate avanti dal governo Netanyahu.
Dal lontano 16 giugno 2003, durante il secondo governo Berlusconi, l’Italia ha sottoscritto a Parigi un memorandum d’intesa in materia di cooperazione militare e della difesa con Israele. Da allora, questa collaborazione non solo non si è mai interrotta, ma si è anzi consolidata e rafforzata nel tempo, includendo forniture costanti e crescenti di armamenti, componenti militari e tecnologie destinate all’uso bellico. Tra questi armamenti, un ruolo chiave è svolto dalle spolette prodotte nello stabilimento di Viterbo, destinate a munizioni e bombe che finiscono per attivarsi durante le operazioni militari israeliane, causando sofferenze indicibili alla popolazione palestinese, soprattutto nella striscia di Gaza e in Cisgiordania.
I dati ufficiali, incontestabili e certificati da fonti affidabili, dimostrano che nel solo 2024 l’Italia ha esportato in Israele armi per un valore di circa 5,2 milioni di euro. Queste non sono semplici forniture tecniche, bensì strumenti di morte utilizzati in operazioni che hanno causato migliaia di morti e feriti, in larghissima parte civili, con donne e bambini che pagano il prezzo più alto. Eppure, nonostante la gravità della situazione, il flusso di queste forniture non si è mai fermato, nemmeno dopo la tragica escalation del 7 ottobre 2023, che ha portato il conflitto a livelli drammatici e devastanti sotto gli occhi del mondo.
Solo recentemente, il governo italiano ha ammesso pubblicamente, attraverso le parole del sottosegretario Giorgio Silli, che le forniture di armi italiane sono proseguite anche dopo quella data. La giustificazione ufficiale è stata che il contratto prevedeva che Israele fosse responsabile della distruzione delle spolette prima del loro utilizzo, ma questa risposta appare un mero espediente retorico, un tentativo di scaricare le responsabilità politiche e morali. Di fatto, questa posizione viola apertamente l’articolo 11 della Costituzione italiana, che recita: “L’Italia ripudia la guerra”, trasformando così la politica estera in una contraddizione insanabile, e rendendo paradossale e ipocrita l’intera strategia nazionale.
Nel frattempo, il governo Meloni ha cercato di adottare una strategia che, almeno in apparenza, possa smorzare le accuse di complicità e riabilitare la propria immagine agli occhi dell’opinione pubblica internazionale. Ha così promosso e annunciato l’invio di aiuti umanitari sotto forma di “lanci di cibo” su Gaza, effettuati tramite aerei militari. Questo gesto, che avrebbe dovuto essere umanitario e simbolico, è stato accolto da molte voci critiche con scetticismo, indignazione e sconcerto, poiché il cibo lanciato dall’alto spesso si schianta al suolo con violenza, rischiando di ferire o addirittura uccidere le persone affamate che si trovano nei punti di impatto. Questa operazione appare quindi più come un’azione mediatica studiata per fare immagine, piuttosto che una concreta politica di aiuti efficaci e solidali.
La contraddizione politica e morale è quindi palese, profonda e stridente. Da un lato, l’Italia vende armi che contribuiscono direttamente alle sofferenze e alle morti di civili palestinesi; dall’altro, cerca di mostrare un volto “buono” attraverso iniziative di solidarietà limitate, marginali e spesso inefficaci. La visita e il ricovero in Italia di alcuni bambini palestinesi gravemente feriti, accompagnati da pochi familiari, rappresentano soltanto una piccola goccia nel mare di tragedie che si consumano quotidianamente a Gaza. Sebbene questa operazione umanitaria sia certamente necessaria e umanamente significativa, non può e non deve essere utilizzata come una “foglia di fico” per coprire politiche di sostegno militare e diplomatico a un governo accusato da molti osservatori e organismi internazionali di orchestrare una vera e propria strategia di genocidio e pulizia etnica.
Il governo italiano si è mostrato pronto a chiedere la liberazione degli ostaggi palestinesi detenuti in Israele, ma tace o minimizza il fatto che, agli occhi del governo Netanyahu, questi ostaggi siano considerati sacrificabili, pedine in un crudele gioco politico che non ammette compromessi o clemenze. In questo contesto, la legge internazionale e i diritti umani vengono sistematicamente calpestati, mentre i media israeliani, spesso controllati o influenzati dal potere politico, contribuiscono a costruire una narrazione che legittima la repressione e la pulizia etnica, normalizzando la violenza e l’ingiustizia.
Anche in Italia, purtroppo, assistiamo a una regressione etica e politica preoccupante. L’interesse economico, rappresentato dagli affari legati alla vendita di armi e allo sviluppo dell’industria militare, prevale su ogni altro principio etico e umano. La politica estera si piega a logiche di alleanza, di convenienza e di interessi strategici, ignorando deliberatamente le gravi conseguenze umanitarie e morali. La retorica della “democrazia” e della “moderazione” si è svuotata di senso, trasformandosi in un involucro vuoto dietro cui si nasconde una complicità implicita e pericolosa con la violenza e l’oppressione sistematica.
Il gesto di lanciare cibo dall’alto su Gaza, tanto propagandato e pubblicizzato, diventa così il simbolo plastico di questa ipocrisia. “Mamma Meloni”, che si proclama paladina dei valori tradizionali, della famiglia e dell’amore per i bambini, getta tonnellate di cibo come se fossero bombe, senza alcuna reale considerazione per il destino dei più fragili, alcuni dei quali rischiano di essere schiacciati o uccisi da questi stessi aiuti “umanitari”. È un gesto cinico, crudele e profondamente disumano, che si aggiunge tristemente alla lunga lista di sofferenze inflitte a una popolazione già duramente provata da anni di occupazione e conflitti.
Questo modo di fare politica, che si nasconde dietro parole di pace e solidarietà ma alimenta la guerra con la complicità di armi e interessi economici, non può più essere tollerato. La verità deve essere detta, anche quando è scomoda, perché solo la verità può rappresentare il primo passo verso un cambiamento reale e necessario.
In conclusione, la politica italiana in Medio Oriente oggi si configura come un gioco di potere e di interessi in cui la dignità umana, la giustizia e il rispetto dei diritti fondamentali vengono sacrificati sull’altare degli interessi strategici ed economici. Il “dopo” che il governo Meloni immagina e cerca di costruire rischia di essere soltanto un’ulteriore pagina nera in una storia già troppo dolorosa. Finché si continuerà a fornire armi, a nascondersi dietro ipocrisie e a gestire la politica estera come un affare di facciata, il prezzo da pagare sarà sempre quello di vite innocenti spezzate e di una pace che si allontana sempre più.
È giunto il momento di smettere di gettare il cibo come bombe e di iniziare a fermare davvero la produzione e la vendita di armi. È tempo di dire basta a questa politica di menzogne, ipocrisie e complicità. Solo così si potrà davvero sperare in un futuro di pace e giustizia per tutti.
Carlo Di Stanislao