Declino dell’Occidente: dal primato globale alla marginalità storica

 


"Le civiltà muoiono per suicidio, non per omicidio." – Arnold J. Toynbee

Comprendere perché l’Occidente – inteso come l’asse euro-americano – non guiderà più la storia del mondo non richiede capacità profetiche, ma la volontà di guardare in faccia la realtà. È un logoramento secolare, iniziato quando la fiducia illimitata nel progresso tecnico e nel dominio coloniale ha incontrato i primi limiti storici, economici e morali.

L’egemonia dell’Ottocento e l’apogeo coloniale
Nel XIX secolo, l’Europa dominava il globo. L’Impero britannico controllava quasi un quarto delle terre emerse; Francia, Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Belgio e Germania si spartivano l’Africa, l’Asia e l’Oceania. Il progresso industriale, alimentato da carbone e vapore, dava all’Occidente un vantaggio tecnologico insuperabile, mentre le potenze coloniali imponevano le proprie regole commerciali, culturali e politiche. Ma già in questa fase di apogeo si annidavano i germi della crisi: lo sfruttamento coloniale suscitava resistenze, le economie periferiche si industrializzavano e le rivalità tra potenze europee preparavano la tragedia del Novecento.

Dal trionfo alla catastrofe: le due guerre mondiali
Il XX secolo si aprì con la convinzione di un dominio destinato a durare in eterno, ma le due guerre mondiali trasformarono l’Europa da centro del mondo a campo di battaglia devastato. La Prima Guerra Mondiale (1914-1918) segnò la fine degli imperi centrali e l’inizio del declino europeo come arbitro globale. La Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) completò il processo: le potenze coloniali, esauste, cedettero il primato agli Stati Uniti e all’Unione Sovietica.

La Guerra Fredda (foto wikipedia) e l’illusione della stabilità
Dal 1945 al 1991, il mondo visse diviso in due blocchi. L’Occidente, guidato dagli Stati Uniti e sostenuto dall’Europa occidentale, godeva di un periodo di crescita senza precedenti: Piano Marshall, boom industriale, nascita della Comunità Economica Europea. Era un’epoca in cui consumismo, innovazione tecnologica e welfare sembravano garantire prosperità indefinita. Ma questa stabilità era parziale: la decolonizzazione stava ridisegnando le geografie del potere e i paesi un tempo sottomessi iniziavano a rivendicare un ruolo autonomo.

Il crollo dell’URSS e la globalizzazione
Il 1991, con la caduta dell’Unione Sovietica, sembrò aprire una “nuova era occidentale”: la fine della storia, secondo Francis Fukuyama. L’economia di mercato e la democrazia liberale parevano destinate a imporsi ovunque. Ma la globalizzazione, anziché consolidare il primato occidentale, ne accelerò l’erosione. Delocalizzazione produttiva verso l’Asia, finanziarizzazione dell’economia, dipendenza tecnologica e industriale ridussero progressivamente la centralità europea e americana.

Crisi economiche recenti e accelerazione del declino
Tre grandi shock hanno messo a nudo la vulnerabilità strutturale dell’Occidente:

  • 2008 – crisi finanziaria globale, nata dal collasso della bolla immobiliare statunitense, che travolse banche e mercati, dimostrando la fragilità di un sistema fondato sul debito e sulla speculazione.
  • 2013 – crisi dell’Eurozona, con austerità, disoccupazione di massa e perdita di fiducia nel progetto europeo.
  • 2022 – guerra in Ucraina e instabilità energetica, con inflazione e incertezze economiche aggravate dalla competizione tecnologica globale, che ha visto l’Occidente arrancare dietro a Cina e paesi emergenti.

Debolezze strutturali comuni
L’Occidente condivide fragilità che non possono più essere attribuite a errori locali: invecchiamento demografico, perdita di competitività industriale, dipendenza da forniture strategiche esterne, crescente polarizzazione politica e sociale. Il Rapporto Draghi 2024 prevede che entro il 2040 l’UE perderà due milioni di lavoratori all’anno, con un rapporto attivi/pensionati di 2:1. Nel frattempo, paesi come Cina e India investono massicciamente in infrastrutture, istruzione e tecnologie emergenti.

La visione anticipatrice di Ratzinger
Molto prima che i dati economici confermassero il declino, il futuro Benedetto XVI colse la radice morale della crisi. Nell’omelia pro eligendo Romano Pontifice del 18 aprile 2005, denunciò la “dittatura del relativismo” che “non riconosce nulla come certo e che ha come unico fine il proprio io e i propri desideri”. E nel discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006 ammonì: “La conversione mediante la violenza non è conforme alla natura di Dio”, avvertendo contro una ragione ridotta a pura tecnica, incapace di fondare valori condivisi.

Segnali culturali e artistici del declino
Il declino occidentale non è solo economico e geopolitico: è anche culturaleIl cinema europeo, un tempo laboratorio di avanguardia e introspezione, fatica a competere con le produzioni seriali globalizzate. La letteratura vive più di bestseller momentanei che di opere destinate a durareL’arte contemporanea, spesso piegata alle logiche del mercato e della provocazione fine a sé stessa, fatica a proporre visioni universali radicate nella tradizione. Anche la musica, da Mozart a Beethoven, da Verdi a Stravinskij, ha ceduto il passo a una produzione omologata e transnazionale, priva di centri creativi stabili in Europa. Questo impoverimento simbolico riduce la capacità dell’Occidente di proiettare soft power e di offrire un modello culturale coeso.

Una crisi morale e politica
Il dramma di Gaza e la reazione contraddittoria dei governi occidentali sono l’emblema di una crisi morale che mina la credibilità internazionale dell’Occidente. Da medico, osservo come questa incertezza si rifletta sulla salute pubblica: aumento di depressione, ansia e isolamento sociale, specialmente tra i giovani. Una civiltà che perde coesione interna è più vulnerabile alle pressioni esterne.

Proposte per invertire la rotta – una sfida europea
Il recupero non può essere un affare nazionale, ma un progetto continentale. Serve:

  • Riconquistare sovranità economica e produttiva a livello UE
  • Rilanciare educazione e ricerca come pilastri comuni
  • Dotarsi di una difesa autonoma integrata
  • Sviluppare una politica demografica e migratoria condivisa
  • Riformare le istituzioni europee per renderle più trasparenti e democratiche

Come ricordava Toynbee, le civiltà non vengono uccise: si lasciano morire. L’Europa può ancora scegliere se essere periferia della storia o laboratorio di un nuovo umanesimo. Ma il tempo per decidere sta scadendo.

Carlo Di Stanislao

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