Crisi istituzionale in 24 ore: il Quirinale ferma due decreti del governo Meloni

 

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“In democrazia, anche il potere ha bisogno di legittimazione ogni giorno.” Norberto Bobbio

In appena ventiquattro ore si è consumato un inedito scontro istituzionale ai vertici della Repubblica. Due decreti-legge approvati dal governo Meloni sono stati bloccati, corretti o rinviati per volontà del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il primo è tornato indietro con la richiesta di correzioni immediate, il secondo è rimasto senza firma, in attesa di modifiche sostanziali. Una doppia mossa che ha sorpreso il mondo politico, ma che rivela una preoccupazione crescente del Quirinale per l’uso disinvolto dello strumento del decreto-legge, e soprattutto per la qualità normativa delle misure adottate.

Il Capo dello Stato, nella sua funzione di garante della Costituzione, ha deciso di intervenire in modo netto, ricordando che l’urgenza politica non può mai travalicare i limiti imposti dall’ordinamento. Il risultato è un episodio che mette a nudo una tensione sempre più visibile tra l’esecutivo e il Colle.

Cosa contenevano i due decreti

I dettagli non sono ancora ufficiali, ma secondo ricostruzioni attendibili il primo decreto, approvato nel Consiglio dei ministri e inviato al Quirinale, presentava vizi formali e giuridici evidenti. Fonti vicine al Colle parlano di errori tecniciformule in contrasto con precedenti normeambiguità nelle disposizioni, e soprattutto di assenza dei requisiti di “necessità e urgenza”, condizioni imprescindibili per i decreti-legge secondo l’articolo 77 della Costituzione. Mattarella ha quindi rimandato indietro il provvedimento, chiedendo una riformulazione completa. Il testo è stato riscritto in poche ore e sottoposto a una nuova approvazione da parte del Consiglio dei ministri.

Il secondo decreto, ancora più problematico, avrebbe previsto interventi di forte impatto istituzionale. Le indiscrezioni parlano di norme che interferivano con l’autonomia della magistratura o con l’equilibrio tra i poteri dello Stato, elementi che avrebbero sollevato riserve costituzionali gravissime. In questo caso, Mattarella non ha firmato il testo, lasciando intendere che senza modifiche non avrebbe dato il via libera. Le opzioni possibili sono due: o il governo accetta di riscrivere ampie parti del decreto, oppure il Presidente esercita il potere previsto dall’articolo 74 della Costituzione, rimandando il testo alle Camere con messaggio motivato.

È mai accaduto prima?

Episodi di questo tipo sono rarissimi, soprattutto in tempi così stretti. Sergio Mattarella ha già espresso perplessità in passato su decreti-legge troppo estesi o poco coerenti, ma non si ricordano episodi di doppio richiamo consecutivo nello stesso arco di 24 ore.

Tra i precedenti più noti c’è il decreto “Milleproroghe”, firmato solo dopo che Mattarella inviò una lettera durissima al governo, in cui segnalava l’accumulo disordinato di norme, la scarsa coerenza interna e la mancanza di chiarezza. In quel caso, il decreto fu firmato, ma accompagnato da un ammonimento formale. Altri esempi sono i casi del decreto “Paesi sicuri” sull’immigrazione o del decreto sulla riforma della giustizia tributaria, entrambi modificati dopo pressioni del Quirinale.

Tuttavia, ciò che distingue il caso attuale è la doppia censura nel giro di poche ore, sintomo di una rottura del dialogo tecnico-politico tra Palazzo Chigi e il Colle. Il messaggio è inequivocabile: il Presidente non intende avallare più testi frettolosi, incoerenti o borderline sul piano costituzionale.

Uno scontro istituzionale o una difesa della legalità?

L’interrogativo è legittimo. C’è chi parla di scontro tra poteri, ma la realtà potrebbe essere più profonda e più grave. Da tempo si registra un uso crescente e discutibile del decreto-legge come strumento ordinario di governo, bypassando il confronto parlamentare, le audizioni tecniche, l’analisi degli impatti e la consultazione delle autorità competenti.

Il Presidente della Repubblica, per mandato costituzionale, non può modificare i testi che gli vengono sottoposti, ma può rifiutarsi di firmarli se ritiene che manchino i presupposti fondamentali. E negli ultimi tempi — complici le tensioni politiche, le campagne elettorali permanenti, e il desiderio del governo di mostrarsi efficiente — si è fatto un uso eccessivo della decretazione d’urgenza, spesso accompagnata da norme scritte male, senza relazione tecnica, e con errori evidenti.

Mattarella ha quindi scelto di non restare in silenzio. Il suo doppio intervento non è un atto ostile verso il governo, ma una difesa del metodo democratico. Ricorda che non tutto ciò che è politicamente utile è costituzionalmente lecito. La legalità non è una formalità: è la condizione stessa di legittimità dell’azione politica.

Le reazioni politiche

Nel centrodestra si tende a minimizzare l’accaduto, definendolo un semplice “normale scambio” tra poteri. Ma nei retroscena emerge irritazione per quello che viene percepito come un intervento inusuale del Colle. Alcuni esponenti della maggioranza parlano di “invasione di campo”, anche se ufficialmente tutti riconoscono il ruolo costituzionale del Presidente.

Dall’opposizione, invece, si alzano voci che chiedono al governo maggiore serietà e responsabilità legislativa. I leader di PD, M5S e AVS hanno sottolineato che l’episodio dimostra la debolezza tecnica dei provvedimenti e l’urgenza di restituire centralità al Parlamento.

Nel frattempo, giuristi e costituzionalisti esprimono solidarietà al Presidente, definendo l’accaduto un “atto di coraggio istituzionale” e una “lezione di democrazia sostanziale”.

Conclusione

Il doppio altolà di Sergio Mattarella in un solo giorno rappresenta una soglia critica nel rapporto tra poteri dello Stato. È il segno che, di fronte a una legislazione sempre più frettolosa, politicizzata e tecnicamente debole, il Presidente ha deciso di alzare il livello di attenzione costituzionale.

In democrazia, la forma è sostanza. E quando il governo dimentica questa lezione, il Quirinale è chiamato a ricordarla, anche a costo di creare frizioni. Il gesto di Mattarella non è un atto di ostilità, ma una difesa dei fondamenti democratici. Difendere la legalità, richiamare al rispetto delle regole, vigilare sulla coerenza giuridica dei testi normativi: tutto ciò non è ostacolo all’azione politica, ma suo presupposto essenziale.

In tempi in cui la decretazione d’urgenza rischia di diventare la regola, e il Parlamento sempre più un passaggio formale, il ruolo del Presidente della Repubblica si rivela decisivo. Perché la Costituzione non è un’opzione, è la struttura portante della nostra democrazia. E nessuno, neanche un governo forte e legittimato dal voto, può agire come se ne fosse al di sopra.

Il messaggio è chiaro, forte e pubblico: la Costituzione non si interpreta a piacimento. Si rispetta. Sempre.

Carlo Di Stanislao

Fattitaliani

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