
Nicola Samorì, Lucrezia Romana (2022; olio su onice, 40 x 30 x 2 cm)
"La tradizione non è l’adorazione delle ceneri, ma la custodia del fuoco." Gustav Mahler
L’Italia si prepara ad accogliere una delle mostre più ambiziose e radicali degli ultimi anni: Classical Collapse, grande progetto di Nicola Samorì, che unisce simbolicamente Milano e Napoli, la Pinacoteca Ambrosiana e il Museo e Real Bosco di Capodimonte. Non due mostre parallele, ma un unico percorso sdoppiato, pensato per vivere in due luoghi distinti e complementari, dal 28 novembre 2025 al 13 gennaio 2026 a Milano, e dal 29 novembre 2025 al 1° marzo 2026 a Napoli.
La frattura fertile tra classico e contemporaneo
Samorì non imita il passato, né lo distrugge: lo mette in tensione, ne rivela le incrinature e i segreti nascosti. Il progetto mette in scena oltre cinquanta opere dell’artista, collocate in dialogo diretto con i capolavori custoditi dai due musei. È un confronto serrato, quasi drammatico, tra la stabilità apparente del classico e la sua vulnerabilità, tra la promessa di eternità delle opere antiche e la fragilità della materia che le compone.
Il cuore della riflessione è chiaro: la tradizione non è un simulacro immobile, ma un corpo vivo che può essere ferito, scorticato, trasformato. Samorì ne fa emergere l’anima attraverso tagli, abrasioni, cancellazioni e stratificazioni, restituendo un senso di vertigine che sfida lo sguardo.
Milano: tra Raffaello e i “marmi svuotati”
Alla Pinacoteca Ambrosiana, Samorì colloca un dipinto monumentale di dieci metri accanto al celebre cartone preparatorio della Scuola di Atene di Raffaello. È il simbolo della mostra: la classicità rinascimentale e la sua riscrittura contemporanea si affrontano in una dialettica di forza e fragilità.
La Biblioteca Ambrosiana ospita poi nature morte dipinte su marmo e rame, vanitas che evocano i fiori di Jan Brueghel il Vecchio e i disegni di Leonardo dal Codice Atlantico. A fare da contrappunto, le sculture rinascimentali di Agostino Busti, detto il Bambaia, la cui influenza attraversa i secoli fino a Fontana e alla pittura materica di Samorì.
Nella Cripta del Santo Sepolcro, lo spazio sacro si popola di sculture lignee verticali: corpi e reliquie che dialogano con la pietra romanica, in una dimensione che mescola devozione, morte e resurrezione.
Napoli: il barocco e la pelle della pittura
Se Milano è il luogo del dialogo con il Rinascimento, Napoli diventa il teatro di una vertigine barocca. A Capodimonte, Samorì mette in scena quasi quaranta opere in un allestimento che alterna luci e oscurità: dai chiarori che introducono la Madonna del velo di Sebastiano del Piombo fino al buio assoluto che avvolge la Parabola dei ciechi di Bruegel, affiancata da una sua perturbante riscrittura realizzata anche con strumenti di intelligenza artificiale.
Il filo conduttore è la pelle: superficie e confine, pittura e corpo. Le opere di Samorì dialogano con Ribera, Giordano e Parmigianino, fino all’Antea. Nel Classical Collapse, la pittura stessa viene scorticata, come Marsia nel mito, mostrando le viscere dell’immagine e la verità che si cela sotto l’apparenza.
Una sfida al nostro sguardo
La mostra non si limita a un confronto estetico, ma diventa una meditazione sull’arte e sull’esistenza. Come sottolinea Demetrio Paparoni, curatore insieme ad Alberto Rocca ed Eike Schmidt, Samorì trasforma la tradizione in campo di tensione, luogo di conflitto creativo e critica visiva. Non nostalgia, non rottura, ma un corpo a corpo con la storia.
In tempi in cui il classico rischia di essere ridotto a decorazione consolatoria o rifiutato come fardello del passato, Classical Collapse propone un’alternativa radicale: guardare al patrimonio non come un peso, ma come una ferita aperta da cui continua a sgorgare linfa vitale.
Un’Italia unita dall’arte
La mostra ha anche un valore simbolico: unisce Nord e Sud in un percorso comune, intrecciando Rinascimento e Barocco, Milano e Napoli. È un gesto politico e culturale, un invito a riconoscere nella diversità delle radici italiane la forza di un’eredità condivisa.
Samorì, con la sua arte che scava e riscrive, ci ricorda che la bellezza non è mai intatta: è sempre una lotta tra ciò che resta e ciò che scompare, tra la memoria e l’oblio, tra la carne e lo spirito.
Carlo Di Stanislao

