di Giovanni Zambito - Mercoledì 23 luglio, la suggestiva cornice di Villa De Capitani a Osnago (LC) accoglie un evento musicale dal carattere intimo e raffinato: il concerto “Love Songs”, affidato all’incontro sonoro tra la cantante, compositrice e arpista tedesca Agnes Verano e il vibrafonista Gabriele Boggio Ferraris, uno dei protagonisti più interessanti della scena jazz italiana.
Il duo propone un viaggio emozionale che attraversa le canzoni d’amore in tutte le loro sfumature, da quelle scritte da icone della musica come Bob Dylan, Joni Mitchell e Tim Buckley, fino a composizioni originali della stessa Verano, impregnate di nostalgia, malinconia e una poetica sospesa tra delicatezza e introspezione. Un progetto che non solo esplora la dimensione dell’amore, ma si apre a riflessioni più ampie sull’empatia, il rispetto e la bellezza della fragilità umana.
Tra vibrazioni morbide e tessiture leggere, il dialogo musicale tra voce, arpa e vibrafono si trasforma in un racconto sonoro sospeso nel tempo. A pochi giorni dal debutto del progetto, Fattitaliani ha intervistato Gabriele Boggio Ferraris per farci raccontare com’è nato questo connubio inedito, come si costruisce un’intimità musicale così profonda… e cosa rende davvero speciali queste “Love Songs”.
Come nasce la collaborazione con Agnes Verano? Cosa vi ha spinto a costruire insieme questo progetto così intimo?
La collaborazione con l’arpista e cantautrice Agnes Verano è nata, come molto spesso avviene, grazie ai social network. Mi ha sempre intrigato la possibilità di unire il suono del mio vibrafono a quello dell’arpa, uno strumento estremamente affascinante e sui generis, e nella mia ricerca mi sono imbattuto in Agnes, artista raffinata. Dopo uno scambio di mail in cui esprimevamo reciproco apprezzamento per il lavoro dell’altro, ci siamo detti che sarebbe stato carino un giorno fare qualcosa insieme.
E, come spesso capita senza troppo preavviso, il caso ha voluto che lo scorso anno Agnes fosse di passaggio in Italia per una breve vacanza e perciò abbiamo subito colto la palla al balzo per incontrarci di persona e fare musica insieme.
“Love Songs” è un titolo semplice ma evocativo. Qual è per te il filo rosso che unisce le canzoni scelte per questo concerto?
L’idea è andata subito verso 'Love Songs’, una serie di brani che trattano l’amore in tutte le sue forme, non necessariamente nella relazione tra due individui, ma come sentimento più ampio legato all’empatia degli esseri viventi tra di loro e alla pietosa, intesa come necessità di ritrovarsi nel segno del rispetto, dell’educazione, ed anche della tenerezza.
Come avete lavorato sugli arrangiamenti? Il repertorio spazia da Bob Dylan a Joni Mitchell: che tipo di libertà vi siete concessi nella rilettura dei brani?
La musica, che spazia nel repertorio di autori prevalentemente provenienti dagli anni 60/70 è caratterizzata da una certa libertà di interpretazione sia dal punto di vista melodico che armonico, mantenendo però intatte le radici della folk song americana.
Ci sono canzoni che ti hanno sorpreso per la loro resa in questo nuovo contesto, con voce, arpa e vibrafono?
Alcuni brani sembrano nati apposta per questa singolare formazione, in particolare la musica del compianto Tim Buckley nella sua intensità e semplicità risulta a mio modo di vedere addirittura valorizzata dai suoni dell’arpa e del vibrafono.
Il vibrafono ha un suono avvolgente e unico, spesso associato a un’atmosfera sognante. Come hai trovato il giusto equilibrio tra la tua voce musicale e quella dell’arpa di Agnes?
Il vibrafono è uno strumento un po’ particolare, che può risultare al contempo ammaliante ma anche piuttosto fastidioso e “scomodo” se gestito senza la dovuta attenzione: in questo caso ho cercato di fare in modo che la sottrazione fosse l’elemento chiave per far risaltare al meglio sia la fitta rete sonora dell’arpa di Agnes, sia la sua stessa voce , così intima e raffinata.
In questo concerto sei anche “interprete” di emozioni molto intime. Quanto del tuo vissuto entra nel modo in cui suoni questi brani?
Ovviamente il titolo “Love Songs” ha anche una forte caratterizzazione emotiva e personale, ed ognuno può interpretare la suggestione che questi brani evocano a proprio piacimento: indubbiamente però, come in tutta la musica che faccio, in particolare quando si tratta di brani di mia composizione, l’elemento legato al proprio vissuto, emotivo e esperienziale, è indubbiamente estremamente significativo.
Che ruolo ha l’improvvisazione in “Love Songs”? È presente anche in un contesto così “cantautorale”?
Quello che più mi piace, quando si tratta di collaborare con bravissime cantautrici come Agnes o come Simona Severini, è la massima libertà di espressione che musiciste di questo livello mi concedono sia dal punto di vista dell’improvvisazione sia da quello dell’accompagnamento. Anche se non si tratta di progetti prettamente jazzistici nel senso più stretto del termine, l’improvvisazione e load ricerca sonora la fanno comunque da padrone; questo mi permette sia di cercare di valorizzare al meglio la loro arte, sia allo stesso tempo di poter essere comunque me stesso, e cioè un musicista che ha una formazione di stampo jazzistico.
Che tipo di pubblico immaginate per questo concerto? Più appassionati di jazz o ascoltatori curiosi di lasciarsi emozionare?
Penso che questo concerto sia davvero adatto a qualsiasi tipo di pubblico, dall’intenditore nostalgico dei grandi autori del passato al semplice amatore appassionato di musica, ma anche a chi è semplicemente curioso di ascoltare una formazione così insolita ed ha voglia di lasciarsi cullare e trasportare dalla suadente arpa di Agnes e dalle linee oniriche del vibrafono.
C’è una “love song” che per te ha un significato particolare, magari legato a un ricordo personale?
Ad oggi non c’è una canzone tra quelle del repertorio che ha nella mia vita un significato particolare…mi riservo di avere un’idea più precisa dopo i primi concerti che faremo, visto che il progetto è praticamente al debutto!
Come cambia la tua percezione della musica quando sei in duo, con uno scambio così diretto e continuo?
Avendo ormai, ahimè, una certa esperienza, posso dire che la dimensione del duo è una delle mie preferite e quella che più rappresenta un mistero ancora oggi per me. E’ in assoluto la forma più dialogica che esista all’interno delle formazioni jazzistiche perché è del tutto democratica e al tempo stesso basato su sottilissimi equilibri di dialogo, rispetto e soprattutto ascolto profondo e reciproco. La cosa bella è che, indipendentemente dal numero di prove che sono state fatte, ogni sera, ogni concerto, non sai mai cosa aspettarti perché il tuo umore, il tuo stato d’animo e quelli del tuo partner musicale possono variare come normale che sia e questo influenza del tutto la musica che nasce e viene prodotta in quel momento. Questa è una delle cosa che più mi affascinano del jazz, una continua e potenzialmente infinita forma dialogica profonda.
Cosa ti piacerebbe che il pubblico portasse a casa dopo aver ascoltato “Love Songs”?
Sarei già più che soddisfatto se, al termine del nostro concerto, il pubblico tornasse a casa con un senso di pace interiore, con la gioia di aver ascoltato della buona musica. E che il bello si può davvero trovare dappertutto, non per forza nei circuiti mainstream. Può sembrare scontato ma non lo è affatto!