"La natura non fa nulla di inutile." Aristotele
Il poliuretano viene utilizzato in moltissimi prodotti, dalla produzione di mobili, materassi, scarpe e automobili fino agli isolanti negli edifici. A causa della sua composizione chimica complessa, questo materiale tende a persistere per decenni, accumulandosi nelle discariche o disperdendosi nell’ambiente con effetti negativi sulla fauna e sugli ecosistemi. La capacità di Pestalotiopsis microspora di degradare questo polimero anche in assenza di ossigeno rappresenta quindi una svolta significativa, poiché potrebbe essere applicata proprio in quei luoghi dove lo smaltimento tradizionale è più problematico.
L’interesse nei confronti di questo fungo e di altri microrganismi simili è cresciuto rapidamente in tutto il mondo, coinvolgendo laboratori, università e aziende biotech. Si spera di riuscire a sfruttare questa capacità naturale per sviluppare nuovi metodi di biorisanamento, cioè la capacità di ripulire l’ambiente in modo sostenibile, utilizzando la forza di microrganismi che “mangiano” la plastica.
Questi funghi lavorano producendo enzimi specializzati, tra cui esterasi, laccasi e perossidasi, che rompono i lunghi legami chimici che tengono uniti i polimeri del poliuretano. Una volta che il polimero viene “tagliato” in pezzi più piccoli, questi diventano accessibili ai processi metabolici del fungo, che li trasforma in biomassa fungina, anidride carbonica e acqua. È un processo naturale di decomposizione, simile a quello che avviene per i materiali organici, ma applicato a un materiale sintetico.
Questa capacità è ancora in fase di studio, ma si ipotizza che questi funghi possano essere usati in impianti controllati per accelerare la decomposizione dei rifiuti plastici o per il trattamento di rifiuti plastici contaminati in luoghi dove altre tecniche sono poco efficaci o troppo costose.
Non bisogna infatti dimenticare che i funghi sono organismi viventi e possono adattarsi rapidamente. Se un fungo è in grado di degradare materiali plastici, cosa impedirà che, una volta rilasciato in natura, possa attaccare anche altri materiali sintetici, come tessuti, vernici o componenti di strutture costruite dall’uomo? Inoltre, come si smaltirà il fungo stesso una volta terminato il suo compito? Questo solleva un problema ecologico importante: il fungo potrebbe diventare un nuovo tipo di inquinante biologico, colonizzando ambienti in cui non è desiderato e alterando gli equilibri naturali.
Questa situazione ricorda casi di specie introdotte con buone intenzioni ma poi diventate invasive, causando danni all’ecosistema locale. La cautela è quindi d’obbligo e ogni utilizzo pratico di questi funghi deve essere accompagnato da studi approfonditi, piani di gestione e misure di sicurezza.
Inoltre, la produzione di grandi quantità di funghi per scopi di biorisanamento richiede risorse, energia e controllo, e può generare residui che devono essere gestiti in modo corretto. Non basta dunque affidarsi solo a questo metodo, ma è necessario sviluppare una strategia integrata che comprenda riduzione della produzione di plastica, riciclo efficiente, educazione al consumo responsabile e innovazioni nei materiali.
La prevenzione rimane il metodo più efficace per affrontare il problema. Ridurre la produzione di plastica, favorire materiali biodegradabili, implementare sistemi di raccolta e riciclo, sensibilizzare i consumatori sono passi imprescindibili per evitare che la plastica continui a invadere il nostro pianeta.
I funghi plasticofagi possono essere un alleato prezioso, soprattutto nelle fasi di smaltimento e recupero, ma non devono sostituire la responsabilità individuale e collettiva nella gestione dei rifiuti.
Come ricordava un antico proverbio dei nativi americani: “Non ereditiamo la Terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli.” Questa frase riassume tutta la nostra responsabilità verso il pianeta e verso le future generazioni.
Dobbiamo dunque utilizzare in modo saggio e consapevole le scoperte scientifiche, promuovendo un rapporto di rispetto con la natura, perché un fungo che mangia la plastica è solo un pezzo di un puzzle più grande. La vera sfida resta quella di costruire un futuro sostenibile in cui la plastica e chi la degrada siano sotto controllo, senza compromettere l’equilibrio fragile del nostro ecosistema.
Carlo Di Stanislao