Il fungo mangia-plastica: alleato o nuovo invasore?

 

Foto da Facebook

"La natura non fa nulla di inutile."  Aristotele

La scoperta che potrebbe rivoluzionare la lotta alla plastica
Nel cuore della foresta amazzonica, durante una spedizione scientifica, è stato scoperto un fungo con una capacità davvero sorprendente: Pestalotiopsis microspora è in grado di degradare il poliuretano, uno dei materiali plastici più difficili da smaltire e più diffusi nell’industria e nella vita quotidiana. Questa scoperta ha aperto una nuova frontiera nella ricerca di soluzioni biologiche per combattere l’inquinamento da plastica, una delle grandi piaghe ambientali del nostro tempo.

Il poliuretano viene utilizzato in moltissimi prodotti, dalla produzione di mobili, materassi, scarpe e automobili fino agli isolanti negli edifici. A causa della sua composizione chimica complessa, questo materiale tende a persistere per decenni, accumulandosi nelle discariche o disperdendosi nell’ambiente con effetti negativi sulla fauna e sugli ecosistemi. La capacità di Pestalotiopsis microspora di degradare questo polimero anche in assenza di ossigeno rappresenta quindi una svolta significativa, poiché potrebbe essere applicata proprio in quei luoghi dove lo smaltimento tradizionale è più problematico.

L’interesse nei confronti di questo fungo e di altri microrganismi simili è cresciuto rapidamente in tutto il mondo, coinvolgendo laboratori, università e aziende biotech. Si spera di riuscire a sfruttare questa capacità naturale per sviluppare nuovi metodi di biorisanamento, cioè la capacità di ripulire l’ambiente in modo sostenibile, utilizzando la forza di microrganismi che “mangiano” la plastica.

Un esercito silenzioso sotto i nostri piedi
Pestalotiopsis microspora non è l’unica specie fungina capace di degradare il poliuretano. Diverse altre specie sono state individuate in contesti differenti, dalla terra ai mari, dimostrando quanto sia diffusa questa abilità nel regno dei funghi. Ad esempio, Pleurotus ostreatus (il fungo ostrica), comunemente conosciuto e usato anche in cucina, è in grado di attaccare e degradare alcuni tipi di poliuretano. Altri funghi, come Aspergillus tubingensis e Curvularia senegalensis, hanno mostrato un’efficacia simile in laboratorio, ampliando così il ventaglio di potenziali alleati nella lotta alla plastica.

Questi funghi lavorano producendo enzimi specializzati, tra cui esterasi, laccasi e perossidasi, che rompono i lunghi legami chimici che tengono uniti i polimeri del poliuretano. Una volta che il polimero viene “tagliato” in pezzi più piccoli, questi diventano accessibili ai processi metabolici del fungo, che li trasforma in biomassa fungina, anidride carbonica e acqua. È un processo naturale di decomposizione, simile a quello che avviene per i materiali organici, ma applicato a un materiale sintetico.

Questa capacità è ancora in fase di studio, ma si ipotizza che questi funghi possano essere usati in impianti controllati per accelerare la decomposizione dei rifiuti plastici o per il trattamento di rifiuti plastici contaminati in luoghi dove altre tecniche sono poco efficaci o troppo costose.

Soluzione miracolosa o rischio sottovalutato?
L’entusiasmo intorno ai funghi mangia-plastica è comprensibile, ma la realtà è più complessa. Da un lato, queste specie potrebbero ridurre enormemente la quantità di plastica che finisce nelle discariche o nei mari. Dall’altro, la loro introduzione nell’ambiente naturale senza un controllo rigoroso potrebbe causare effetti imprevisti.

Non bisogna infatti dimenticare che i funghi sono organismi viventi e possono adattarsi rapidamente. Se un fungo è in grado di degradare materiali plastici, cosa impedirà che, una volta rilasciato in natura, possa attaccare anche altri materiali sintetici, come tessuti, vernici o componenti di strutture costruite dall’uomo? Inoltre, come si smaltirà il fungo stesso una volta terminato il suo compito? Questo solleva un problema ecologico importante: il fungo potrebbe diventare un nuovo tipo di inquinante biologico, colonizzando ambienti in cui non è desiderato e alterando gli equilibri naturali.

Questa situazione ricorda casi di specie introdotte con buone intenzioni ma poi diventate invasive, causando danni all’ecosistema locale. La cautela è quindi d’obbligo e ogni utilizzo pratico di questi funghi deve essere accompagnato da studi approfonditi, piani di gestione e misure di sicurezza.

Un fungo che pulisce, ma non risolve tutto
Anche se i funghi plasticofagi si rivelassero efficaci su larga scala, non rappresentano una soluzione definitiva al problema dei rifiuti plastici. Il processo di degradazione del poliuretano, infatti, produce anidride carbonica, un gas serra che contribuisce al cambiamento climatico. Come ha sottolineato il microbiologo Hans-Peter Grossart, "La plastica è fatta di carbonio fossile e se i funghi la degradano, è come bruciare petrolio." In altre parole, anche se la plastica non è più visibile, la CO₂ rilasciata entra nel ciclo atmosferico, contribuendo a un altro problema ambientale.

Inoltre, la produzione di grandi quantità di funghi per scopi di biorisanamento richiede risorse, energia e controllo, e può generare residui che devono essere gestiti in modo corretto. Non basta dunque affidarsi solo a questo metodo, ma è necessario sviluppare una strategia integrata che comprenda riduzione della produzione di plastica, riciclo efficiente, educazione al consumo responsabile e innovazioni nei materiali.

Un’arma in più, non l’unica risposta
La scoperta dei funghi plasticofagi è affascinante e rappresenta una potente risorsa da utilizzare in modo responsabile. Tuttavia, il vero cambiamento richiede un approccio più ampio e sistemico. Non si tratta di affidare all’uomo o alla natura un’unica soluzione “miracolosa”, ma di lavorare su più fronti per ridurre l’impatto ambientale.

La prevenzione rimane il metodo più efficace per affrontare il problema. Ridurre la produzione di plastica, favorire materiali biodegradabili, implementare sistemi di raccolta e riciclo, sensibilizzare i consumatori sono passi imprescindibili per evitare che la plastica continui a invadere il nostro pianeta.

I funghi plasticofagi possono essere un alleato prezioso, soprattutto nelle fasi di smaltimento e recupero, ma non devono sostituire la responsabilità individuale e collettiva nella gestione dei rifiuti.

Conclusione: la responsabilità è ancora nostra
Affidarsi alla natura per riparare i danni causati dall’uomo è un atto di umiltà, ma anche un impegno a non esaurire questa opportunità. Se i funghi mangia-plastica ci offrono un modo per smaltire ciò che non sappiamo più gestire, noi dobbiamo fare la nostra parte per evitare di creare nuovo inquinamento e nuove emergenze ambientali.

Come ricordava un antico proverbio dei nativi americani: “Non ereditiamo la Terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli.” Questa frase riassume tutta la nostra responsabilità verso il pianeta e verso le future generazioni.

Dobbiamo dunque utilizzare in modo saggio e consapevole le scoperte scientifiche, promuovendo un rapporto di rispetto con la natura, perché un fungo che mangia la plastica è solo un pezzo di un puzzle più grande. La vera sfida resta quella di costruire un futuro sostenibile in cui la plastica e chi la degrada siano sotto controllo, senza compromettere l’equilibrio fragile del nostro ecosistema.

Carlo Di Stanislao

Fattitaliani

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