Nel secondo EP di Buonarroti, l’ombra diventa linguaggio, e ogni brano è un’istantanea sonora che rifrange la luce senza mai mostrarla direttamente. “Komorebi” non impone una visione, ma invita a uno sguardo laterale, intimo, dove il non detto vibra forte quanto ciò che si ascolta.
Intro apre le danze in punta di piedi, giocando con
l’assenza più che con la presenza. L’architettura sonora è costruita su
sottrazione, spingendo l’ascoltatore a rallentare il ritmo interiore,
preparandolo a una percezione alterata del tempo.
Komorebi gioca con la poesia. È una carezza elettronica, un
brano che si apre con un lirismo inaspettato grazie all’introduzione del
glockenspiel, strumento qui usato in modo antinostalgico: la luce che filtra
tra le fronde è un’epifania minima, mai retorica.
Age of paranoia è il contraltare necessario: se l’EP fosse solo
bellezza, sarebbe incompleto. Questo brano aggredisce, disorienta, e proprio
per questo svela il suo senso. È il cuore dell’inquietudine moderna: il loop
mentale e sociale, le stratificazioni caotiche, l’impossibilità di respirare.
Homesick si muove tra presente e passato, facendo convivere
due immaginari: il delay della chitarra evoca i Mogwai, mentre il synth anni
’80 sembra dialogare con i Boards of Canada. Il brano ha la qualità delle
fotografie sbiadite: non racconta la nostalgia, la fa vivere.
Don’t worry…you’re dead! è il momento di maggiore ambiguità
emotiva. Il titolo ironico cela un viaggio che tocca il subconscio:
l’introduzione classicheggiante è un’esca, subito smentita da groove ruvidi e
synth dissonanti. Il brano, però, non cerca il caos: lo attraversa per uscirne
purificato.
What are you running from? è una
chiusura brillante. I beat tornano
protagonisti, ma stavolta con un ritmo più disteso, quasi giocoso. Non è una
soluzione, ma una possibilità: forse ciò da cui scappiamo non è così terribile,
forse possiamo fermarci, danzare un attimo, e respirare.
“Komorebi” è un EP ambizioso, coerente e sensibile, che si distingue per una ricerca
timbrica mai fine a sé stessa. Buonarroti dimostra che la forma breve può
contenere un mondo, se la si cura con attenzione e sincerità. Qui ogni suono ha
un peso, ogni scelta è meditata. E l’ascoltatore, se si concede il giusto
silenzio, lo percepirà.