Ladan Boroumand: “L’Occidente non capisce che combatte la stessa guerra del popolo iraniano”

 


“Laddove si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli esseri umani.”  Heinrich Heine

Nel 2022, il mondo ha assistito a uno dei più grandi movimenti di protesta della storia contemporanea iraniana: milioni di donne e giovani hanno invaso le strade al grido di “Donna, Vita, Libertà”, dopo la morte della giovane Mahsa Amini. Un urlo collettivo che chiedeva libertà, dignità, fine della repressione. Ma, ancora una volta, il mondo libero ha assistito con ammirazione e impotenza. Dopo qualche settimana, il silenzio è tornato a calare su Teheran, mentre le carceri si riempivano di dissidenti e il regime rialzava la testa.

Per Ladan Boroumand, storica e attivista iraniana per i diritti umani, quel silenzio non è neutrale. È parte del problema.

Una voce della diaspora che smaschera l’illusione dell’Occidente

Ladan Boroumand è un’autorità morale e intellettuale nella denuncia del totalitarismo islamico iraniano. Figlia di un esponente liberale assassinato dal regime negli anni '90, è co-fondatrice dell’Abdorrahman Boroumand Center, una fondazione che raccoglie testimonianze e prove sulle violazioni sistematiche dei diritti umani in Iran.

Oggi insegna all’Università di Parma come professoressa ad honorem, ma la sua vera cattedra è il mondo. La sua voce si leva per ricordare che la tragedia iraniana non è una crisi isolata: è parte integrante di una guerra globale tra democrazia e teocrazia.

“L’Occidente non ha mai riconosciuto che la repressione a cui è sottoposto il popolo iraniano è parte della stessa guerra del terrore che il regime iraniano sta conducendo contro le democrazie liberali”, afferma. “E finché non si correggerà questa percezione sbagliata, ogni strategia occidentale fallirà.”

Una guerra a geometria variabile: l'Iran tra controllo interno e sabotaggio esterno

Il cuore del messaggio di Boroumand è questo: il regime iraniano non è un attore politico come gli altri. Non si tratta di uno Stato autoritario con cui si possa scendere a compromessi pragmatici. La Repubblica Islamica è fondata su una visione messianica del potere, dove la sovranità appartiene al “giureconsulto supremo” (velayat-e faqih), non al popolo.

Questa ideologia non si limita a controllare l’Iran. Ha una vocazione espansionista, rivoluzionaria e destabilizzante. Finanziando milizie sciite, movimenti terroristici e regimi autoritari, il governo iraniano esporta il proprio modello. Le repressioni interne — impiccagioni, torture, censura — non sono semplici atti di violenza. Sono parte integrante di una strategia globale contro il pluralismo, la libertà individuale e la democrazia.

L’errore strategico dell’Occidente

In questo quadro, l’Occidente sbaglia a trattare il regime come un interlocutore razionale. Ogni negoziato sul nucleare, ogni trattativa commerciale, ogni apertura diplomatica che non include condizioni sui diritti umani rafforza il potere dei carnefici e indebolisce quello delle vittime.

Boroumand denuncia questo con lucidità: “Gli iraniani vogliono un cambiamento. Il regime è ideologicamente morto. Ma l’Occidente continua a guardare a Teheran come se lì esistesse ancora un potere legittimo da contenere, e non una teocrazia da contrastare.”

In altre parole, finché l’Occidente non riconoscerà che la sua stessa sicurezza, la sua libertà e la sua identità democratica sono minacciate dalla sopravvivenza del regime iraniano, continuerà a perdere. Non solo sul piano geopolitico, ma anche morale.

L’opposizione interna esiste. Ma viene ignorata.

Ladan Boroumand sottolinea un punto cruciale: in Iran non c’è solo repressione, c’è anche resistenza. Una resistenza diffusa, silenziosa, ostinata. Non solo tra attivisti e intellettuali, ma tra donne che si rifiutano di portare il velo obbligatorio, tra studenti che organizzano manifestazioni nelle università, tra lavoratori che scioperano nonostante le minacce.

Tuttavia, questa società civile non riceve il sostegno che merita. Mentre i diplomatici occidentali negoziano con gli emissari di Khamenei, milioni di iraniani vengono lasciati soli. La diaspora prova a fare da ponte, ma è ancora troppo marginalizzata.

Boroumand non chiede guerre o invasioni. Chiede coerenza, coraggio politico, chiarezza morale. Chiede che le democrazie smettano di cercare equilibri con chi fonda il proprio potere sull’odio verso la libertà.

Un Occidente smarrito tra distopia e complicità

“Siamo sprofondati nel futuro distopico dei filmacci di serie B,” mi ha detto con tono sconsolato un amico che ha sempre creduto nella promessa americana. Non ho saputo rispondergli. È difficile reagire diversamente ai primi sei mesi dell’Amministrazione Trump: le grottesche pretese imperiali, la parata militare per il compleanno, la guerra ideologica contro università e immigrazione, gli arresti di politici e attivisti, fino all’omicidio di una deputata democratica per mano di un fanatico.

Con poche eccezioni, l’opposizione appare spaventata, e ci si chiede che fine abbia fatto la land of the freeHo risposto al mio amico di avere un debole per i paranoid thrillers come I tre giorni del Condor e The Parallax View, perché pur mostrando poteri deviati, non negano mai la possibilità morale dello Stato. Ma oggi, quella certezza vacilla.

Il cinema, salvo rare eccezioni come l’inquietante Civil War, non ha ancora raccontato davvero questo clima. Lo hanno fatto invece alcuni grandi romanzi: Il racconto dell’ancellaLa svastica sul soleIl complotto contro l’America. Tutti ci mettono in guardia su una verità scomoda: l’eccezionalismo americano può fallire, e quando accade, è perché i suoi principi vengono traditi proprio da chi li invoca a gran voce.

Come scriveva Sinclair Lewis già nel 1935 in It Can’t Happen Here, la democrazia può trasformarsi in una dittatura quando la paura e la demagogia prendono il sopravvento. E oggi, il paradosso è evidente: l’Occidente non si accorge che il fuoco dell’autoritarismo che divampa altrove può incendiare anche le sue fondamenta.

Conclusione: La libertà è indivisibile

“La libertà è indivisibile,” scriveva Franklin D. Roosevelt, “e quando un uomo è ridotto in schiavitù, nessuno è libero.” Ladan Boroumand ci ricorda che non può esserci libertà a Parigi o Roma se accettiamo che venga negata a Teheran. Non può esserci sicurezza in Europa se ignoriamo che la guerra del terrore inizia — ogni giorno — con una ragazza arrestata per un ciuffo di capelli fuori posto.

O l’Occidente apre finalmente gli occhi, o continuerà a trattare la tirannide come una variabile geopolitica. Con il risultato che il terrorismo crescerà, la democrazia arretrerà, e milioni di voci continueranno a gridare nel vuoto.

Forse scopriremo troppo tardi — come canta De André — che “abortisce l’America per poi guardarla con dolcezza.”

Carlo Di Stanislao

Fattitaliani

#buttons=(Accetta) #days=(20)

"Questo sito utilizza cookie di Google per erogare i propri servizi e per analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo agente utente sono condivisi con Google, unitamente alle metriche sulle prestazioni e sulla sicurezza, per garantire la qualità del servizio, generare statistiche di utilizzo e rilevare e contrastare eventuali abusi." Per saperne di più
Accept !
To Top