Essere o non essere? Per secoli l’interrogativo di Amleto ha rappresentato il vertice del dubbio esistenziale. Ma oggi, grazie alla fisica contemporanea, la risposta sembra sorprendentemente chiara: essere è non essere.
In L’eleganza del vuoto. Di cosa è fatto l’universo (Feltrinelli, 2023), il fisico Guido Tonelli – protagonista della scoperta del bosone di Higgs – racconta con limpidezza e passione come la fisica abbia ribaltato le nostre convinzioni sul vuoto. L’universo, ci dice, non è uno spazio inerte che ospita le cose: è il vuoto stesso, in uno stato particolare, strutturato, attivo.
Il vuoto quantistico, lungi dall’essere il nulla, è un campo vibrante, pieno di fluttuazioni, un brodo ribollente da cui nascono particelle e, in casi eccezionali, persino un intero universo. È accaduto una volta, 13,8 miliardi di anni fa, e potenzialmente potrebbe accadere ancora. Quel “vuoto” è la vera sostanza del cosmo, ed è proprio grazie al campo di Higgs – un campo che permea tutto lo spazio – che le particelle acquistano massa e che la materia può organizzarsi in strutture permanenti: atomi, molecole, stelle, pianeti, esseri umani.
Tonelli paragona il vuoto a due concetti che tutti possiamo intuire: lo zero matematico, che rappresenta apparentemente il nulla ma contiene potenzialmente tutti i numeri, e il silenzio, che può essere prodotto dalla perfetta somma di due suoni opposti in fase. Così il vuoto quantistico è la sovrapposizione di tutti i campi, ridotti al minimo ma ancora vitali, come un oceano apparentemente calmo la cui superficie in realtà brulica di energia.
Un’idea che non è nuova. Anzi, è sorprendente quanto questa visione coincida con la sapienza più antica: quella del Taoismo. Laozi, nel Tao Te Ching, scrive che "trenta raggi convergono nel mozzo di una ruota, ma è il vuoto al centro che permette il movimento". Il vuoto, nel Tao, non è assenza ma condizione di possibilità. È il Tao stesso che non si può nominare, l'origine di tutte le cose.
Nel pensiero taoista, il vuoto è la matrice dell’essere. Tutto emerge dal non-manifesto e vi ritorna. Il Tao – principio ineffabile che permea ogni cosa – è vuoto eppure inesauribile. “Il Tao è vuoto, eppure in uso non è mai colmo”, recita un altro celebre passo del Tao Te Ching. È un vuoto creatore, non un’assenza sterile. Come la valle è utile perché è cava, come la porta funziona perché ha un'apertura, così tutto ciò che è utile deriva da ciò che non è.
L’ideogramma cinese che indica il “wu” (无), il non-essere, è complementare a quello dell’“you” (有), l’essere. La coppia vuoto-pieno è alla base dell’equilibrio cosmico, la danza incessante dello yin e dello yang. Nella medicina tradizionale cinese, nella pittura, nell’arte della guerra, nell’architettura del giardino o del tempio, l’elemento vuoto è sempre funzionale, dinamico, fondamentale. È ciò che consente il mutamento, il divenire, la spontaneità (ziran), la “via senza sforzo” (wu wei), in cui si realizza l’armonia tra l’individuo e il cosmo.
La modernità ha privilegiato l’essere, la costruzione, il pieno. Ma il Taoismo ci ricorda da tremila anni che è nel vuoto che risiedono l’equilibrio e la potenza. Anche un musicista lo sa: sono le pause a dare ritmo alla melodia. E lo sapeva anche Einstein, che affermava: "Lo spazio vuoto non è vuoto: è il luogo dove avviene la fisica."
Anche lo Zen, nato come ramificazione del Buddhismo Mahayana, ha fatto del Vuoto (śūnyatā) un principio cardine. Il maestro giapponese Dōgen affermava che “forma è vuoto, vuoto è forma”, riprendendo direttamente il Sutra del Cuore, l’unico sutra tradizionalmente attribuito allo stesso Buddha storico. In esso, Avalokiteshvara – il bodhisattva della compassione – contempla i cinque aggregati dell’esistenza e ne riconosce la vacuità: non come negazione, ma come interconnessione profonda. Il vuoto, nel buddhismo, è ciò che libera dalle illusioni e consente l’illuminazione. Tutto è privo di esistenza intrinseca, perché tutto è in relazione.
Il Sutra del Cuore è un condensato straordinario: appena 260 caratteri in sanscrito, eppure una delle più potenti sintesi del pensiero buddhista. La sua affermazione centrale – “Forma è vuoto, vuoto è forma” – ha ispirato secoli di meditazione, pittura, poesia e pratica zen.
Filosofi come Spinoza, nel Seicento, hanno intuito che tutto ciò che esiste è parte di una sostanza unica, infinita, che è sia Dio che Natura. In questa prospettiva, non esiste un vuoto “fuori” dalla realtà: esiste solo un Tutto che si esprime in infiniti modi.
Pascal, già nel Seicento, sentiva l’angoscia dell’infinito silenzio degli spazi vuoti. Ma in quello stesso vuoto intravedeva una grandezza divina. Per lui, il cuore ha ragioni che la ragione non conosce: e forse è proprio nel cuore del Vuoto che si annida il senso.
Nel Novecento, Heidegger ha tentato di ridare profondità al concetto di Essere, introducendo il “nulla” come condizione stessa per pensare e agire. Senza la possibilità del nulla, dell’assenza, l’essere sarebbe chiuso, bloccato, sterile.
E poi Borges, poeta del labirinto e dell’assurdo, ha scritto che "il nulla non è vuoto, ma forma che si trasforma." Nei suoi racconti, il vuoto diventa vertigine metafisica, specchio dell’infinito, biblioteca totale, universo che si riflette in ogni punto.
Oggi, la scienza ci dice che l’energia totale dell’universo è zero: all’energia positiva della materia corrisponde l’energia negativa dello spazio-tempo. È questo equilibrio che ha permesso la nascita dell’universo da una fluttuazione casuale del vuoto, una microscopica bollicina che, invece di richiudersi, ha continuato a espandersi, diventando tutto ciò che conosciamo.
Il vuoto, dunque, non è il contrario del pieno: è la sua condizione. Materia e antimateria, energia e spazio-tempo, sono polarità che si bilanciano come lo yin e lo yang. Come dice Tonelli, “bisogna togliere la ‘o’ dal dilemma di Amleto: essere è non essere.”
E questo, sorprendentemente, i filosofi taoisti e buddhisti lo avevano già capito trenta secoli fa.
Consigli di lettura
- Tao Te Ching di Laozi – per entrare nella poetica sapienza del vuoto taoista
- Sutra del Cuore – il testo buddhista essenziale sulla vacuità
- I versi del mezzo (Mūlamadhyamakakārikā) di Nagarjuna – sulla vacuità come interconnessione
- Etica di Baruch Spinoza – per un'ontologia unitaria e necessaria
- Pensieri di Blaise Pascal – per l’inquietudine del vuoto e la ricerca di Dio
- Essere e Tempo di Martin Heidegger – per il nulla come apertura dell’essere
- Finzioni di Jorge Luis Borges – per esplorare il vuoto come paradosso e infinito
- L’eleganza del vuoto di Guido Tonelli – per capire il vuoto oggi, tra bosoni, quanti e universo
Dedicato al prof Ettore Montese, maestro di Fisica Quantistica e non solo.
Carlo Di Stanislao