Alessandra Macchitella è una autrice televisiva e giornalista de “La Gazzetta del Mezzogiorno”, scrive contenuti editoriali per l’infanzia per “Il Club dei Cerca-cose”, vincitrice dei premi giornalistici Tommaso Francavilla, Premio Melagrana, Donna dei Due Mari.
Paolo in una lettera a Luana, scrive: “avrei voluto essere più
presente, capire quell’enorme lato oscuro che portavi sulle tue spalle di finta
normalità. Avrei dovuto spiegarti che non dovevi averne paura e che tutti
abbiamo una parte che ci spaventa e che ci libera, tutti siamo fatti anche di
Santa.”
Siamo alla fine di questo libro, edito con la prefazione di Aldo
Cazzullo che si presta ad essere portato in scena, come avevo riferito
all’autrice la giornalista Alessandra Macchitella subito dopo averlo letto
alla sua pubblicazione.
Ed è arrivato questo momento, l’evento che ha dato spazio a quest’opera
portandola sulle scene il 27 febbraio, è l’emozionante anniversario dei 110
anni del Teatro Orfeo di Taranto e i 10 anni della sua scuola teatrale.
Pertanto i festeggiamenti iniziano con lo spettacolo “Io sono Santa”
scritto appunto da Alessandra Macchitella con la regia di Clarizio di Ciaula.
Tornando al libro, nelle sue pagine ricorrono sopratutto due nomi:
Santa e Luana che possono far parte di una stessa realtà, come dire, due facce
di una stessa medaglia, due aspetti contrastanti di una stessa persona o anche
di due persone diverse, portati all’estremo in lotta, come il bene (Luana) e il
male (Santa).
A seconda del modo di porsi nell’affrontare la vita e le circostanze da
risolvere giorno dopo giorno.
È presente il dubbio se sia più utile per la propria realizzazione, per
la propria soddisfazione umana, usare la propria persona e gli altri come
oggetti, in modo leggero e facile, usando le scorciatoie e le furbizie, oppure
cercare di fare le cose in modo serio e impegnativo, correndo anche il rischio
di faticare di più e di procrastinare i tempi perché si è sfruttati e poco
riconosciuti.
Ma si è impastati contemporaneamente di questi due aspetti, di queste
due personalità, di Santa e di Luana. E non si è mai del tutto Santa e mai del
tutto Luana.
Appunto, come dice Paolo, il personaggio principale maschile, in una
finta normalità c’è da capire in noi quell’enorme lato oscuro, che fa capo, io
direi, al mistero del bene e del male, presente in ognuno di noi, che ci
portiamo addosso, che ci pesa, che ci spaventa e che ci libera.
Pertanto anche la migliore Luana, non è escluso che possa commettere, da un giorno all’altro un atto estremo per liberarsi definitivamente dal male (Santa), purtroppo con lo stesso male, illudendosi di essersene liberata, ma in effetti finendo essa stessa soggiogata dal male.
È l’illusione di liberarsi dal male con il male.
Ed è quello che succede nel finale del romanzo, che non vogliamo
svelare ed è da brivido. Una conclusione a sorpresa che lascia di stucco e in
confusione il lettore.
La stessa confusione che prende Paolo che fa fatica a rendersi conto
della situazione reale.
Tutto ciò induce a pensare ed approfondire l’aspetto della delusione,
della disperazione, dell’amore umano e infine della misericordia, che nella
storia raccontata nel libro vince e dura come sentimento eterno.
Ciò che è stato non muore mai !!! ….questo non a caso è il titolo
dell’ultimo paragrafo del libro.
“Se qualcuno dovesse chiedermi – scrive Paolo in questa lettera finale
a Luana – che cosa è l’amore credo che lo spiegherei con questo. Pensare a una
persona ogni giorno della tua vita. Sempre. Quando ti svegli, quando guardi il
tramonto, quando leggi un libro bellissimo, quando ti incazzi con il capo…..”
Questo è quello che vince eternamente sulla delusione e disperazione,
l’amore vero, che può mettere fine ad azioni estreme contro la propria ed
altrui esistenza, sperando nella misericordia.
Perché la questione vera è come si esce da questa
disperazione: “Non sono stato abbastanza e tu, tu sei stata troppo.”….è
sempre Paolo che scrive.
Quindi il suo amore non è stato sufficiente, ma nemmeno quello di lei
lo è stato verso di lui e purtroppo la disperazione ha vinto, la battaglia
terrena, vedrete come.
Ma se è vero che ciò che è stato non muore mai, si apre in ultima
conclusione, uno spiraglio a cui non si può non dare somma considerazione.
È una prospettiva di salvezza che abbraccia, salva e riempie tutto e
tutti di significato e che riporta in vita chi la coglie, in una prospettiva
nuova, in questo caso Paolo; e che non esclude nessuno dei personaggi del
libro, gettando una nuova luce su tutte le vicende umane raccontate dalla
penna dell’autrice, che si dimostra particolarmente attenta nel riportare
la descrizione dei particolari e delle circostanze vissute dai personaggi.
E c’è la consapevolezza di una bellezza nuova, completa che mette
assieme il corpo e lo spirito, in una luce nuova.
Ed è ancora Paolo che scrive, rivolgendosi alla donna amata: ”Per colpa
tua ho iniziato ad andare in Chiesa la domenica. Prego a un Dio a cui non
credo..(…)...mi sveglio di buon’ora e mi raccomando di essere clemente con te.
Tanto se esiste, avrà visto quanto sei bella, in tutti i sensi. Ti avrà
perdonata .... Non lo so cosa mi aspetta, so che tu sarai al mio fianco,
come hai sempre fatto, so che ti amerò sempre e so che non voglio una vita a
interruttore spento. Voglio la luce, anche a rischio di bruciarmi la vista.”
E pertanto mi sembra quanto mai appropriato concludere con una
citazione di don Luigi Giussani: ”….non possiamo vivere se non per la fede. Non
come propaganda, ma come passione amorosa, perché in cuor mio penso sempre che
altrimenti un uomo non può amare la sua donna e una donna non può amare suo
figlio, se non con un vuoto disperato. E l’amare con disperazione vuol dire
condannare a morte la persona amata” e anche se stessi.
Vito Piepoli