di Mariano Sabatini
La storia di
una ragazzino e poi ragazzo e poi uomo che, seguendo l’istinto e senza
particolare sostegno della famiglia, con ostinazione è impegnato nella
difficile costruzione di sé e della propria individualità. Fino a diventare un
artista di vocazione e di mestiere. Un romanzo di formazione in cui si cade
senza quasi accorgersene, per la soavità di una narrazione in cui la
delicatezza, sostenuta da una piacevole esattezza della lingua (con accenni
vernacolari), non inficia minimamente l’inesorabilità della vicenda. Ci si
appassiona, si empatizza, si soffre con lui, con il giovane Franco, al quale si
vorrebbe dare una pacca sulla spalla, un incoraggiamento. Da Taranto, passando
per Roma, per approdare a Milano, Giuliano Pavone – romanziere di ormai riconosciuto
talento – ci regala un gioiellino la cui trama s’intreccia alla reale vita di
quel gigante del teatro che fu Eduardo De Filippo: Per diventare Eduardo (Laurana editore), che segue Gli scorpioni, sempre per lo stesso
marchio. “Qualche anno fa mi è venuta voglia di approfondire la vita di
Eduardo, e man mano che andavo avanti la trovavo sempre più interessante. Ho
così iniziato a riflettere su un modo inedito per raccontare le sue vicende
biografiche, e ho presto capito che un romanzo si sarebbe prestato più di un
saggio, proprio come a volte il teatro riesce a rappresentare la realtà meglio
del giornalismo. Immaginando l'incontro di un anziano Eduardo con un ragazzo
che ha ancora tutta la vita davanti, ho provato a proiettare la lezione del
grande autore napoletano fino ai giorni nostri. Ma se Franco, il giovane
protagonista, "fa un favore" a Eduardo, quest'ultimo glielo ricambia:
la presenza di Eduardo è funzionale al racconto della storia di Franco.
"Per diventare Eduardo", infatti, non è una biografia romanzata di
Eduardo, ma un romanzo di formazione in cui Eduardo svolge il ruolo di mentore”
dichiara Pavone.
Per quanto sia attuale il suo pensiero, il suo teatro,
Eduardo non è un personaggio oggi così ricordato e citato. Non temevi potesse
inficiare la forza del tuo romanzo?
Uno degli
scopi di "Per diventare Eduardo" è proprio tenere viva la lezione di
questo grande artista, oggi più attuale che mai. Devo però dire che intorno a
Eduardo negli ultimi anni si assiste a un risveglio di interesse: due uomini di
cinema di primo piano come Martone e Rubini hanno dedicato un film alla
famiglia Scarpetta-De Filippo, la Rai ogni anno produce e trasmette una fiction
ispirata a un suo lavoro e molti attori e registi - da ultimo Vincenzo Salemme,
che ha destato interesse e discussioni - continuano a mettere in scena le sue
opere.
È stato facile reperire le fonti di ricerca, video e
interviste scritte?
Fortunatamente
fra piattaforme di streaming, archivi online, librerie e biblioteche, il
materiale è abbondante e relativamente facile da reperire. Certo, studiare le
fonti è stato un lavoro lungo e faticoso, ma anche molto piacevole e
affascinante.
Hai visto anche tutte le opere teatrali?
Eduardo è
stato un autore molto prolifico che, sacrificando tutta la sua vita per il
teatro, ci ha lasciato oltre cinquanta opere. Sono ben lunghi dall'averle viste
tutte, e devo dire che il pensiero di avere ancora tanto da scoprire su di lui
mi rende felice!
Quali delle sue preferisci?
Difficile
dirlo, ma forse "Napoli milionaria!" è quella che più di tutte
racchiude le molteplici sfaccettature della sua arte.
I testi drammatici più di quelli umoristici o comici?
Sì,
preferisco le opere inserite nella "Cantata dei giorni dispari", cioè
quelle dal secondo dopoguerra in poi, in cui i toni drammatici prevalgono su
quelli comici. Anche se in tutta la sua produzione comico e drammatico
coesistono: si pensi a "Natale in casa Cupiello". Fra le opere più
sbilanciate verso la comicità trovo molto godibili "Non ti pago!" e
"Ditegli sempre di sì"
Il tuo protagonista compie un percorso di formazione
classico, animato da una passione bruciante. Pensi che solo le passioni possano
salvarci?
Credo che
avere una passione, o anche solo la capacità di appassionarsi, magari
fugacemente, a qualcosa, sia una condizione necessaria ma non sufficiente per
salvarci.
Ma bisogna anche incontrare un vecchio generoso come
Eduardo.
Eduardo, che
pure aveva il suo caratterino, in tarda età fu molto generoso con i giovani. Ma
credo che anche oggi ci siano molti anziani generosi. Oggi si parla molto di
"give back". Ai tempi di Eduardo non esisteva ancora un nome per
definire l'attitudine degli anziani a restituire qualcosa ai giovani, il che
dimostra ancora una volta quanto Eduardo fosse avanti rispetto ai suoi tempi.
Oggi non è difficile trovare la generosità di Eduardo, ma il suo talento. Però
non c'è bisogno di avere lo spessore di un Eduardo per essere dei mentori:
chiunque, dando l'esempio giusto al momento giusto, può cambiare la vita di un
giovane.
E serve anche un giovane che sappia e voglia
incuriosirsi di un personaggio tanto distante da sé, dal proprio mondo, che
viva e sopravviva in quella solitudine necessaria a creare…
La
curiosità, l'umiltà e la voglia di imparare sono chiavi per raggiungere, se non
il successo, sicuramente la maturità. Franco in effetti inizialmente percepisce
Eduardo come un personaggio molto distante da sé, anche per la sua età, la sua
notorietà e il suo carisma. Ma ben presto scopre che Eduardo gli è molto
vicino, lo ascolta, gli parla della sua vita. Inizia a sentirlo come un nonno.
Uno dei motivi di grandezza di Eduardo è proprio la sua capacità di empatizzare
e di restare vicino al sentire comune.
Il protagonista ti somiglia? E in cosa?
Franco non è
un personaggio autobiografico: ha età ed estrazione sociale diverse dalla mia.
Però fatalmente ha qualcosa di me. Credo che se fosse capitato a me di incontrare
Eduardo quando avevo sedici anni, mi sarei comportato più o meno come
lui.
C’è una svolta nella storia, non voglio parlare di
colpo di scena, che riguarda Franco, la sua crescita e la sua
autoconsapevolezza in ordine alla disinvoltura e alla libertà sessuale, diciamo
così.
L'aver
introdotto i temi che citi, così come il tema ambientale, ha nel romanzo lo
scopo di dimostrare come la lezione di Eduardo si applichi facilmente anche a
questioni che sono entrate nel dibattito pubblico dopo la sua
morte.
Sei ormai un milanese di adozione, ma il sud e Taranto
– la parte di città più disagiata e ai margini - rimangono nella tua narrativa.
È impossibile liberarsene?
Probabilmente
sì. Mi rendo conto che, anche se non è una mia scelta deliberata, in tutti i
miei romanzi finisco per parlare di Taranto, del sud o dei rapporti fra sud e nord.
Del resto, credo che questa mia "doppia cittadinanza" mi connoti
molto come persona. Ma, al di là di questo, credo che Taranto sia una città
molto letteraria, perché diversa da tutte le altre e ricca di
contraddizioni.
Come scrittore come vedi l’editoria oggi?
Vedo due
fenomeni contrastanti, entrambi problematici. Da un lato si pubblicano sempre
più titoli: non è vero, come si dice spesso, che si vendono meno libri che in
passato, ma si pubblicano più titoli per cui ciascun titolo vende meno copie.
Dall'altro lato, l'attenzione si concentra su pochi autori ed editori, quelli
di più facile successo: basta entrare in una grande libreria per rendersi conto
che la "bibliodiversità" è diminuita molto negli ultimi anni.
E tu sei soddisfatto della tua collocazione?
Cerco sempre
di puntare in alto ma senza dare per scontati gli obiettivi già raggiunti.
Oggi, se non sei un big, i libri non basta scriverli ma devi promuoverli e sì,
è un lavoro molto faticoso. Non so se è giusto, ma è così.