Intervista ad Androgynus: il viaggio creativo di “L’eterno è solo un attimo”

In occasione dell’uscita di “L’eterno è solo un attimo”, il nuovo album degli Androgynus, lo abbiamo intervistato per scoprire il percorso creativo dietro questo progetto. Il disco, frutto di un lungo processo creativo, unisce tradizione e innovazione. Androgynus, insieme alla band e al produttore Manuele Fusaroli, ha plasmato un lavoro ricco di emozioni e suoni autentici. Con un approccio che evita basi elettroniche a favore di basso e batteria suonati dal vivo, e l’uso di strumenti vintage come il Farfisa Louvre, l’album offre un sound caldo e organico.

Il violino, suonato da Androgynus, dona profondità emotiva alle tracce, intrecciando melodia e armonia. Registrato nello studio NHQ, questo lavoro rappresenta un equilibrio tra passato e futuro, destinato a lasciare un segno nella scena musicale contemporanea.

 

Il titolo del tuo nuovo album, “L’eterno è solo un attimo”, è molto evocativo. Cosa significa per te questa frase?

“L’Eterno è solo un attimo” è arrivato un po’ come arrivano di solito i titoli altisonanti che poi finiscono ad essere titoli per progetti, brani o album: senza grossi ragionamenti, è arrivato e basta!

Dopo ho capito che questo era il mio modo per dire che la vita è un continuo cambiamento, ci sono  alti e bassi, momenti in cui si vorrebbe mollare tutto, in cui non si ha neanche voglia di svegliarsi la mattina e di continuare a costruire qualcosa o semplicemente andare avanti…

In quei momenti è stato importantissimo capire che esiste un modo per evadere dalla propria situazione, basta guardarsi un po’ dal di fuori, guardare se stessi dalla giusta prospettiva, prenderla con filosofia, e già fisicamente si sta meglio e si trovano le energie per rispondere alla vita.

Ci sono delle esperienze personali o filosofie di vita che ti hanno ispirato nella creazione di questo lavoro?

Tutta l’esperienza che ho fatto finora, le sfide, le delusioni, le cose che leggo mi hanno portato a scrivere queste cose, a collaborare con determinate persone.

Detto ciò però penso che una buona opera nasce nel momento in cui ti lasci andare, in cui riesci a divertirti, magari dopo aver fatto uno sforzo, e allora nasce qualcosa che è forse l’espressione più genuina di te stesso.

Il singolo “Inseparabili” sembra esplorare una dimensione profonda dell’amore. Come è nata l’idea per questa canzone?

Questa canzone secondo me è una raccolta di frasi che durante un rapporto significativo con un persona affiorano alla bocca senza neanche pensarci, e sigillano un legame che diventa emblematico attraverso quelle parole.

Nessuno è libero ma inseparabile, siamo tutti molto legati, e anche in senso negativo perché ci facciamo molto male a vicenda. Però questa frase “liberi ma inseparabili” fa da monito: ci ricorda a cosa dobbiamo tendere, volerci bene rispettando gli spazi e la sensibilità dell’altra persona.

Il videoclip tocca temi cosmici e universali. Puoi raccontarci come è stato concepito?

C’è un'idea estetica alla base, che devo molto ad Erica Vitulano, come del resto gran parte dell’estetica dell’album, e varie idee registiche nate insieme a Margherita Castoldi.

È una celebrazione dell’amore, dell’amore che da carnale diventa cosmico!

L’album ha richiesto una lunga gestazione, con brani scritti in anni e altri composti in soli due giorni. Come hai gestito questo equilibrio creativo.

Non l’ho gestito troppo, l’ho subito e vissuto.. So soltanto che non bisogna attaccarsi troppo alle proprie idee, bisogna farsi contaminare dagli altri, se si reputano validi aiutanti, e vedere che viene fuori. E poi avere la forza anche di rimanere dritti con le proprie idee per il bene del progetto se si vede che si sta andando verso una deriva che non si voleva avere, che non c’è più quella fragranza che si sentiva all’inizio.. questo in tutto, per un testo, una musica o un video.

Hai scelto strumenti e metodi tradizionali, come il Farfisa Louvre e il violino orchestrato. Cosa ti ha spinto a questa scelta in un’epoca dominata dall’elettronica?

Molto semplicemente i miei gusti, amo l’organo, suono il violino da una vita, volevo dare un sapore organico al progetto, senza però rinunciare ai suoni taglienti dell’elettronica e del sintetizzatore.

Ci sono artisti o periodi musicali specifici che hanno influenzato il tuo percorso artistico?

Quello che ascolto da sempre è Battiato, Battisti, il cantautorato in genere, specie degli anni 70, ma anche molta musica elettronica dance francese come i Justice e i Daft Punk, le sperimentazioni psichedeliche di Tame Impala, MGMT etc. che si riallacciano ad artisti del passato come Beatles e David Bowie.

Questa è un po’ la mia mappa!

Con una laurea magistrale in violino e un percorso musicale così variegato, come bilanci la tecnica con la creatività?

Penso che il corpo deve imparare a fare le note, il cuore poi sceglie quali note fare, è lui il padrone indiscusso!

E questo riguarda anche tutta la serie di nozioni che ti impartiscono al conservatorio o nelle varie scuole! È il tuo cuore poi che deve decidere quanto e come utilizzarle quando ti metti a fare musica.

Cosa vorresti che il pubblico portasse con sé ascoltando il tuo nuovo album?

Vorrei che si lasciasse travolgere, magari mentre va a prendere il pullman con gli auricolari.

Quando ascoltavo i Verdena con le cuffiette al liceo trovavo la forza di essere me stesso, strano, incompreso ma comunque fiero di ciò che ero, in una città molto provinciale che tende ad essere opprimente.

Dopo l’uscita di “L’eterno è solo un attimo”, quali sono i tuoi prossimi progetti?

Sto creando nuovo materiale per gli ultimi due singoli, ma il mio cuore sta già andando verso il nuovo disco, per creare qualcosa da zero che possa essere più a fuoco, più essenziale, più necessario.

Tutto questo cercando di avere un certo distacco, perché la musica ma soprattutto l’aspettativa sociale di essere artisti affermati ha il potere di distruggerti emotivamente…

 

 

Fattitaliani

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