NOVE - LA GIORNALISTA CECILIA SALA A CHE TEMPO CHE FA: “Sono stata fortunatissima a stare lì dentro soltanto 21 giorni”; “...quando qualcuno ti interroga sei incappucciato faccia al muro e la persona ti parla e ti fa le domande da dietro, le guardie sono mascherate; “Nessuno della mia famiglia ha parlato con Elon Musk, ma Daniele Raineri contatta il referente di Elon Musk in Italia, Andrea Stroppa, e gli chiede se può far arrivare questa notizia dalla famiglia… L’unica risposta che ha avuto Daniele da Andrea Stroppa è stata ‘è informato’; “L’isolamento è una condizione in cui si trovano ancora tantissime iraniane che non hanno la forza che ho io di avere un Paese alle spalle che si muove per te e ti protegge”; “Non tornerò in Iran finchè c’è la Repubblica Islamica”
“Sono stata fortunatissima a stare lì dentro soltanto 21 giorni, non me lo sarei mai aspettata mentre ero lì, quindi diciamo che il recupero è più rapido rispetto a tante persone che sono state nella mia condizione 544 giorni, penso a un giornalista del Washington Post nel 2014.” così Cecilia Sala ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa su NOVE “Ero sicura [che sarei rimasta più a lungo], perché questa è l’operazione per salvare, per liberare, un ostaggio preso in Iran più rapida dagli anni Ottanta. Io seguo l’Iran da giornalista ed ero già stata in Iran da giornalista con un visto giornalistico, quindi conoscevo gli altri casi e sapevo che 21 giorni non erano un’ipotesi appunto. Le ultime sere è arrivata una compagna di cella, è arrivato un libro e le lenti a contatto quindi la possibilità per me di vedere perché senza non vedevo nulla e mi hanno tolto gli occhiali perché sono pericolosi, puoi spezzare le lenti e usarle come un’arma contro te stessa, ma dicevo ‘almeno le lenti a contatto datemele’… Fa parte dell’isolamento toglierti anche le lenti a contatto: non puoi fare niente, non puoi vedere niente, non puoi vedere nessuno. Però quando è arrivato il libro, quando sono arrivate le lenti, quando è arrivata una compagna di cella ho pensato ‘va bene, posso stare qui altri due anni, tranquillamente’. Il libro era ‘Kafka on the shore’ di Murakami, un libro che hanno scelto loro. La prima sera ho chiesto il Corano in inglese perché avevo capito che sarei stata in una cella di 2 metri per 3 vuota, senza niente, e che sarebbe stato molto complicato passare le ore, e pensavo che in un carcere di massima sicurezza della Repubblica Islamica dell’Iran l’avessero e anche un po’ che non me lo potessero negare. Invece è stato negato quindi ho passato il tempo a contarmi le dita, a leggere gli ingredienti sulla busta del pane, ho ripassato le tabelline…”
Sulle notizie scambiate durante la prigionia: “Non sapevo nulla, le telefonate con Daniele sono state le più lunghe perché insomma, viviamo insieme e abbiamo un linguaggio in codice che mi permetteva di parlare. Nella prima telefonata ho potuto dire soltanto che ero stata arrestata e che non ero ferita, poi le telefonate sono diventate un po’ più lunghe e con Daniele riuscivo a passare delle informazioni nonostante la regola ‘non puoi parlare del tuo caso e non puoi parlare della prigione’, che è anche il motivo per cui che non avevo un materasso e un cuscino -come tutte le detenute del carcere di massima sicurezza del carcere di Teheran - si è capito soltanto tardi, perché ero controllata durante queste telefonate, non erano libere. Non potevo parlare degli interrogatori che sono stati per i primi 15 giorni tutti i giorni, incappucciata perché l’isolamento non è soltanto ‘tu sei in una cella da sola’, è ‘non devi avere nessuna distrazione’, deve costruire una condizione psicologica per cui tu crolli o per cui ti possono accusare ad esempio di spionaggio o di altri reati assolutamente inventati ma che servono a farti pesare, te ostaggio, quanto pesano le accuse della persona che eventualmente vogliono liberare. Sei sempre solo anche quando non sei solo, anche quando qualcuno ti interroga sei incappucciato faccia al muro e la persona ti parla e ti fa le domande da dietro, le guardie sono mascherate. L’ultimo interrogatorio prima della mia liberazione, che viene annunciata alle 9 di mattina dell’8 gennaio e io non ci credo la prima volta che me lo dicono, [è stato] il giorno prima e mi hanno interrogata per 10 ore. Ci sono state delle brevi pause, è stato un interrogatorio in cui io sono crollata e mi hanno dato una pasticca per calmarmi e l’ho presa perché ne avevo bisogno, e a quel punto si è interrotto perché non ero in grado di continuare a rispondere. Mi interrogava sempre la stessa persona che parlava un perfetto inglese e dalle domande che faceva capivo che conosceva anche bene l’Italia. ”
Sul rapporto con i carcerieri e il rilascio: “[la persona che mi interrogava] era bravissima nel fare il suo lavoro spaventoso. Io non credo alle 9:00 di mattina dell’8 gennaio quando mi dicono ‘sei libera’: mi portano via delle persone della loro intelligence e penso che siano i pasdaran, questo potentissimo -sempre più potente- corpo dei guardiani della rivoluzione in Iran che agisce anche indipendentemente dal Governo. Avevo paura che l’Italia contattasse il Ministero degli Esteri e che quasi dessimo noi a loro la notizia, che questo apparato si muovesse per conto suo, e pensavo mi stessero portando in una loro base militare, che non si fidassero del carcere ufficiale. Che magari le altre istituzioni potessero fare uno scambio senza consultarli e quindi mi stessero portando in un altro posto. Quando arrivo all’aeroporto militare e mi tolgono la benda vedo un primo volto ‘italianissimo’, poteva essere solo italiano, in un abito grigio, faccio il sorriso più bello della mia vita ed effettivamente poche ore dopo ero a Roma.
Sugli interrogatori: “Negli interrogatori ci sono dei momenti in cui ti fanno rilassare, ti danno anche un ‘premio’ e dei momenti in cui cercano di spezzarti e ti danno una ‘cattiva notizia’. Il premio è il dattero, una sigaretta o semplicemente una conversazione che si rilassa apparentemente, è funzionale alla ‘bastonata’. Ci sono stati momenti in cui [la persona che mi interrogava] mi ha chiesto se io preferissi la pizza con l’impasto alla romana o alla napoletana, che è una cosa che soltanto a una persona che è stata in Italia più volte può venire in mente. Era un modo per dirti in un linguaggio in codice ‘conosciamo bene il tuo Paese’. La mia impressione è stata che loro volessero cercare di tirare fuori qualcosa da me che dimostrasse che non ero una giornalista, che potevo essere scambiata in un caso per cui per la controparte è una questione di sicurezza nazionale. È una cosa che è stata fatta in tutti i casi simili al mio, io sono stata liberata in tempi straordinariamente veloci rispetto alle circostanze. C’è stato un cittadino svizzero che si è suicidato nello stesso carcere in cui ero io di recente, c’è una cittadina iraniano-tedesca 70enne che è stata liberata dopo 4 anni… è stato un lavoro che non si vedeva in tempi così rapidi dagli anni Ottanta.
Sul presunto ruolo di Elon Musk nella liberazione: “Nessuno della mia famiglia e neanche Daniele Raineri hanno mai parlato con Elon Musk. Innanzitutto, diciamo che la mia famiglia prova a contattare chiunque in quei momenti e l’unica priorità dal loro punto di vista era liberarmi. Nessuno di loro ha mai parlato con Elon Musk ma Daniele Raineri contatta il referente di Elon Musk in Italia, Andrea Stroppa, e gli chiede se può far arrivare questa notizia dalla famiglia perché non la scopra dai giornali. I rapporti diplomatici tra gli Stati Uniti e l’Iran sono interrotti dal ’79, dalla rivoluzione islamica quando i rivoluzionari islamici iraniani rapiscono tutti quelli che trovano dentro l’Ambasciata degli Stati Uniti, che da allora è chiusa, però esce sul New York Times due mesi prima del mio rapimento che Elon Musk aveva incontrato l’Ambasciatore iraniano presso le Nazioni Unite che è a New York. Una notizia enorme perché non si parlano direttamente gli americani e gli iraniani. Quindi ovviamente nel momento in cui lui sa molto più di me, perché ha accesso alle notizie e io no da dentro l’isolamento, però si capisce che è un caso che riguarda sia l’Iran, sia l’Italia, sia gli Stati Uniti, Elon Musk diventa una persona fondamentale. L’unica risposta che ha avuto Daniele da Andrea Stroppa è stata ‘è informato’, quindi lo sapeva dalla famiglia. Se Donald Trump fosse uscito sulla stampa dicendo pubblicamente che voleva delle particolari ritorsioni contro qualche iraniano, la mia situazione si poteva complicare moltissimo. Io ero sicura di stare dentro molto di più, perché tutti gli altri sono stati dentro molto di più. Avevo paura per i miei nervi se fossi rimasta in isolamento. Quando è arrivata la compagna di cella e il libro avrei potuto stare dentro molto di più. Ma io sapevo che c’era un conto alla rovescia che era l’insediamento di Trump che mi spaventava moltissimo… Se si fosse insediato Trump e fosse cominciata una guerra aperta tra Israele e l’Iran la mia situazione sarebbe stata molto complicata da sciogliere.
Sulle condizioni in isolamento: “c’erano questi fari al neon accesi 24 ore, perdi la fiducia nella tua testa quando non parli da giorni, non ti fidi della tua memoria e anche rispondere agli interrogatori diventa un gioco psicologico abbastanza pesante.”
Quando ha capito di essere un ostaggio: “Ho capito di essere un ostaggio nel momento in cui mi hanno detto che era morto il Presidente Carter e per gli iraniani Carter è il Presidente della crisi degli ostaggi, della rivoluzione del 79 quando quelli che diventeranno nuovo regime in Iran prendono in ostaggio tutti gli americani. È l’unica notizia che mi hanno dato dall’esterno, io non sapevo nulla di quello che stava succedendo fuori. Lì ho capito che il messaggio era ‘sei un ostaggio’.
Sulla permanenza in carcere: “Quando la fessura della porta blindata della cella è chiusa non senti nulla, sei completamente isolato da ogni punto di vista. Quando è aperta senti i rumori delle altre detenute e c’era una ragazza che prendeva la rincorsa per quanto possibile per sbattere la testa il più forte possibile contro la porta blindata. I rumori che arrivavano dal corridoio erano spesso strazianti, spesso pianto, spesso vomito, a volte tentativi di farsi del male. L’isolamento è una condizione in cui si trovano ancora tantissime iraniane che non hanno la forza che ho io di avere un Paese alle spalle che si muove per te e ti protegge. Sono ancora in queste condizioni e credo che la telefonata che ha fatto capire alla mia famiglia come stessi è stata quella in cui ho detto a Daniele che avevo paura per la mia testa, che avevo paura di perdere il controllo dei miei nervi. Ci sono tantissime donne iraniane che sono ancora in questa condizione e incredibilmente tengono il controllo dei nervi.
Sul senso di colpa dei più fortunati: “è un qualcosa che ti porti dietro, il giorno prima di essere arrestata avevo raccontato Zeinab Mousavì, la comica più famosa in Iran che è stata anche lei in isolamento nel 2022 per una cosa che non ha nemmeno detto lei ma una sua maschera in uno sketch nell’anno della grande protesta dopo la morte di una 22enne che è stata catturata nella stazione della metropolitana dalla polizia morale perché non indossava bene il velo. E lei era finita in isolamento allora. Erano già nella mia testa queste persone e nei miei racconti prima di questa esperienza personale e ora c’è un’emotività ulteriore rispetto alle loro storie.”
Sulla liberazione degli ostaggi israeliani: “…non c’è notizia più importante che potessi sperare di leggere una volta tornata a casa del cessate il fuoco a Gaza e dell’inizio della liberazione parziale degli ostaggi israeliani che sono lì dal 7 ottobre.
Sul motivo che ha causato il suo arresto: “Ci ho pensato moltissimo, ho preso in considerazione l’ipotesi di essere un ostaggio, che fosse una detenzione illegittima non soltanto per me ma anche per loro, che sapessero benissimo che fosse fasulla l’indagine preliminare, che fosse tutto finto. Ho provato a pensare a cosa li avesse indotti a questo. Sicuramente l’intervista a Zeinab Mousavì che è una donna, una comica che è stata in carcere per il suo lavoro non è piaciuta alle istituzioni della Repubblica Islamica però era annunciata dal principio, da quando ho chiesto il mio visto giornalistico. Ho intervistato autorità iraniane, Kananì, uno dei fondatori dei pasdaran, un uomo che è stato comandate di Qasem Soleimani generale iraniano più famoso della storia recente. C’era qualcosa che non tornava evidentemente nel mio arresto. Mi hanno presa nella mia camera d’albergo, stavo lavorando e hanno bussato… da quel momento non ho potuto più toccare il mio telefono o fare nulla, una telefonata all’ambasciata o a un avvocato iraniano che avrei voluto chiamare e con cui sono in contatto. Il giorno dopo, per giustificare la mia sparizione, che non ero scivolata in un burrone[ho fatto una telefonata]. Sapevo dove mi stavano portando, conosco il carcere che è dentro la città e ho capito perché pur essendo bendata e con la faccia schiacciata contro il sedile anteriore, dal traffico e dalla strada che abbiamo fatto ho immaginato che il carcere potesse essere solo quello.”
Sulla compagna di cella: “il primo discorso che abbiamo fatto era sul come capire che ora fosse, in alcuni momenti non è possibile e in inverno fa buio molto presto però c’era una piccolissima finestra sbarrata in alto che per qualche ora al giorno ci permetteva con il riflesso di intuire che ora fosse. Quindi abbiamo giocato a dare un nome a questo riflesso che era la nostra terza compagna di cella.”
Quali pensieri l’hanno confortata durante la prigionia: “Ho pensato alle cose belle, bellissime della mia vita e all’idea che le avrei riavute, perchè avevo in testo il sorriso di Evan Gershkovich, giornalista del Wall Street Journal che è stato più di un anno in un carcere russo e che è sceso dall’aereo con il sorriso, che al processo aveva il sorriso e che sapevo essere libero. Al corrispondente del Washington Post a Teheran che è un iraniano-americano che ha passato 544 giorni dentro lo stesso carcere in cui ero io e che poi ha fatto un podcast che si chiama 544, una persona che conosco che so avere una famiglia, dei figli fantastici, un lavoro bellissimo, che è tornata a vivere bene nonostante abbia passato un tempo lungo che ti spezza lì dentro. L’idea che c’è un dopo e che si può vivere bene.
Tornerà in Iran? “No. Finché c’è la Repubblica Islamica direi proprio di no.”
Ha paura in questi giorni? “Ho dei momenti, dei picchi di euforia bellissimi e dei momenti di grande ansia che imparerò a gestire e che sono nuovi.”