Nancy, il M° Giulio Cilona dirige "La Cenerentola" di Rossini "il più difficile di tutti". L'intervista di Fattitaliani.

 


All'Opéra National de Lorraine, è l'ora del debutto de "La Cenerentola": da stasera fino al 22 dicembre l'opera buffa di Rossini sarà in scena a Nancy con la regia di Fabrice Murgia e la direzione musicale del Maestro Giulio Cilona, intervistato da Fattitaliani.

Maestro, de "La Cenerentola" quali sono le principali sfide tecniche?
Per me la musica di Rossini, come quella di Offenbach, appartiene ai due compositori più difficili e ingrati per il direttore d'orchestra. Il belcanto è solitamente difficile: dipende molto dai cantanti e noi non siamo sempre maestri della situazione e guidare la musica come si fa in Mozart e Wagner. Per questo, il lavoro in prova coi cantanti è molto importante per il successo di queste opere belcantistiche. Nel caso di Rossini, si tratta di una scrittura trasparente ed estremamente delicata, e si avverte se nell'insieme c'è qualcosa che non va, come in Offenbach: tutto sembra così facile e invece è complesso. Per me Rossini è il più difficile di tutti: è una musica che ha bisogno di tanti colori, di diversità; è un repertorio nelle cui note è scritto poco. Ci sono tante tradizioni nel modo di cantare e fraseggiare che risalgono agli stessi tempi di Rossini che trovo interessanti e che cerco sempre di includere nel mio lavoro. Anche nella prefazione della partitura è utile cogliere spunti utili: cerco sempre di aggiungere tutto questo alla mia interpretazione e come direttore d'orchestra fare la differenza. E' una grande sfida anche in strumentale: ci sono cose velocissime da suonare per l'orchestra, e con i musicisti dell'Orchestra de l'Opéra national de Lorraine è davvero bello lavorare, con loro riesco ad ottenere molte cose.


L’orchestra in Rossini è spesso vista come un protagonista. Quale approccio ha adottato per bilanciare la brillantezza orchestrale con la necessità di sostenere i cantanti?
Nel belcanto l'orchestra non è mai protagonista al 100%, anche se ha la responsabilità di creare un certo carattere, perché l'accompagnamento belcantistico prevede sempre un'atmosfera ed è importante che l'orchestra non si annoi mai. Per quanto riguarda la brillantezza, il direttore deve sempre un po' insistere: che il suono sia sempre asciutto e brillante, che i tempi siano sempre un po' veloci, perché in Rossini se si va sotto un certo tempo, si muore. Importante dunque che ci sia questa vivacità, questo suono chiaro ma bisogna fare anche un lavoro di equilibrio, perché Rossini per la maggior parte scrive pianissimo e poi fortissimo, a tutta forza. Quando in un'aria si ha fortissimo e un solo cantante, questo si deve ridurre a un mezzo forte, e forse anche per gli ottoni a un mezzo piano, senza perdere il carattere: si fanno questi aggiustamenti suonando sempre con l'intensità e l'articolazione di un forte: anche questo è una sfida. 

Come ha collaborato con il regista Fabrice Murgia per unire la componente musicale alla messa in scena? Ci sono stati momenti di sinergia particolarmente significativi?
Oltre al fatto che siamo entrambi belgi, il lavoro di preparazione con il regista si fa sempre con molto anticipo: ci siamo parlati e incontrati più volte. Fabrice ha un approccio interessante perché è riuscito a usare l'umore rossiniano e a dargli una coloritura più buia, e sulla scena il tutto funziona bene. Ha trovato una maniera per andare al di là delle strade già percorse e tradizionali. Anche nel caso di don Magnifico (Gyula Nagy), non ha preso la solita figura buffa: è un carattere particolare che fa anche ridere ma in modo completamente diverso, e anche vocalmente il cantante non è il tipico buffo. Insomma, pur rispettando il testo di Rossini, siamo riusciti a trovare dei colori diversi: un gran piacere lavorare con Fabrice. 

Quali qualità vocali e interpretative ritiene essenziali per i ruoli principali, in particolare per Angelina e Don Ramiro?
Oltre alle qualifiche tecniche per interpretare questi ruoli, gli acuti e le colorature, il timbro e la musicalità, io dico sempre che il belcanto è "emozioni", la sua essenza è la trasmissione di emozioni vere e umane tramite la voce. Per me l'elemento più importante è che i cantanti siano capaci di esprimere la genuinità e l'amore che come nel caso del primo incontro fra don Ramiro (Dave Monaco) e Cenerentola (Beth Taylor)  nasce in maniera timida e segreta. Esprimere tutto questo con il colore della voce, con il fraseggio un'agitazione nel cuore, utilizzare insomma gli artifici del belcanto per comunicare le emozioni: per me è questo il segreto. E poi c'è un lavoro di compromesso fra le intenzioni del direttore e le intenzioni del cantante perché è un repertorio estremamente difficile da cantare, e quindi il direttore deve essere "amico" del cantante e, pur facendo passare le sue idee musicali, deve farlo sentire a suo agio: è una mia filosofia soprattutto quando dirigo questo repertorio.


Che rapporto personale ha con la musica di Rossini? Ci sono aspetti della sua scrittura musicale che trova particolarmente stimolanti o ispiratori?

Per me Rossini è un genio senza paragoni, probabilmente la figura più importante dell'opera italiana. Non c'è altro compositore al mondo che ha potuto scrivere opere cosi diverse: se si paragonano Il barbiere di Siviglia, l'Ermione, La donna del lago, il Guillaume Tell, siamo in mondi completamente diversi: le cose che crea in Ermione non si trovano in nessun altro compositore; il Guillaume Tell e le opere scritte in Francia certamente si avvicinano alle cose del Grand Opéra Français, ma Rossini sicuramente ha spinto l'evoluzione dell'opera in una maniera straordinaria. E' incredibile come certe formule rossiniane possano funzionare per tantissimi caratteri diversi; anche alla musica si possono dare colori diversi. Se si paragona la musica della famosa calunnia del Barbiere, lui utilizza la stessa musica nell'Otello nel momento in cui ammazza Desdemona: ci fa pensare come due situazioni sulla stessa musica possono essere completamente diverse. Eppure, questo gran genio riesce a comunicare due emozioni del tutto diverso con la stessa musica. Beethoven, incontrandolo, gli aveva suggerito di dedicarsi solo all'opera buffa, ma su questo si sbagliava: l'opera seria di Rossini è ancora più interessante, bella e più sconosciuta: c'è cosi tanta diversità dentro. Perciò sono grato a manifestazioni come il Rossini Opera Festival che permettono di riscoprire questi capolavori, che non si suonano più.

Come crede che Rossini e opere come La Cenerentola possano contribuire a educare nuove generazioni di spettatori e musicisti?

Sicuramente, è chiaro che c'è una preoccupazione generale quando si vedono tante persone anziane tra il pubblico. Le opere buffe sono un eccellente inizio per i giovani, mettono tutti di buonumore, la musica è accessibile a tanti pubblici diversi. Uno deve anche sapere utilizzare musicalmente l'umore rossiniano: per me tante messe in scene sono come una torta su cui si aggiungono altre diecimila ingredienti e risulta eccessivo. Questo non funziona: c'è già tutto lì dentro, bisogna solo ricercare. Ci sono argomenti tuttora moderni e situazioni che possono essere immaginate al giorno d'oggi. Giovanni Zambito.
Foto di Barbara Rigon

Fattitaliani

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