Cristina Pacinotti, con il suo nuovo romanzo Il vero senso dei suoi passi incerti, ci conduce in un viaggio emozionante e profondo che esplora la ricerca di significato e autenticità nella vita. Edito da Morellini, il libro si presenta come una riflessione toccante e ispirata su come le scelte personali possano trasformare l’esistenza in qualcosa di più vero e appagante.
La protagonista, Maria, è una donna che, a quasi quarant’anni e accompagnata dal figlio di quattro, intraprende il più simbolico dei viaggi: l’esplorazione di sé stessa e del mondo attraverso l’India. Ambientato nel 1995, il romanzo ci catapulta in un’epoca non così lontana, ma in cui il desiderio di cambiamento e il bisogno di alternative alla “normalità” erano già urgenti.
L’autrice delinea un ritratto intimo e universale, dove il percorso di Maria riflette il desiderio collettivo di evadere da una quotidianità vuota e ritrovare una connessione con la natura e con l’essenza della vita. I passaggi che descrivono gli ecovillaggi e le comunità alternative offrono una finestra su modi di vivere che, anche oggi, continuano ad affascinare chi sogna una rottura con il ritmo frenetico e alienante della società moderna.
Uno degli aspetti più toccanti del romanzo è il modo in cui affronta il tema dell’amore. Maria, che in India incontra e subito perde l’amore, scopre che la vita sa restituire ciò che sembrava perduto. La relazione con Enrico, che si trasforma in un progetto rurale e comunitario, è un invito a credere nella possibilità di realizzare i propri sogni e a immaginare una vita fondata sull’armonia con la natura.
Lo stile di Cristina Pacinotti è delicato e incisivo, capace di trasmettere emozioni profonde senza mai cadere nella retorica. La scrittura si nutre di immagini evocative e dialoghi sinceri, che rendono Maria e i personaggi che incontra vivi e reali. La narrazione, pur affrontando temi complessi, si mantiene accessibile, avvincente e piena di speranza.
Il vero senso dei suoi passi incerti è più di un romanzo: è un manifesto per chi cerca un’alternativa, per chi desidera credere che la felicità e l’utopia non siano solo sogni irraggiungibili, ma traguardi realizzabili. Pacinotti ci invita a credere che il cambiamento, individuale e collettivo, sia possibile e che, anche in tempi difficili, sia importante raccontarlo.
Un libro
consigliato a chi ama le storie di rinascita, a chi cerca ispirazione per
rinnovare il proprio cammino e a chi desidera perdersi in un viaggio che, come
quello di Maria, parla di coraggio, trasformazione e speranza.
L'INTERVISTA ALLA SCRITTRICE
Il
romanzo parla di diversi tipi di amore: materno, romantico, per la natura e per
la vita. Quale di questi crede sia il più difficile da coltivare nella società
di oggi?
L’ Amore è amore, non credo si possa distinguere in tipi diversi. L’amore è innanzitutto la propria capacità di amare, ovvero di aprirsi all’altro. L’amore è innanzitutto rispetto: da un filo d’erba a un animale, da un figlio fino a un partner. Oggi siamo tutti molto prigionieri di una visione egoista, narcisista della vita. Ma senza apertura all’altro, a chi è diverso da noi non si può dare né ricevere amore. Credo comunque che l’amore per la Natura sia quello più falsato. Amare la natura non vuol dire fotografare un bel tramonto sul mare, ma magari raccogliere la plastica sparsa in giro sulla spiaggia e non fingere di non vedere che cosa la razza umana ha fatto e sta facendo alla madre Terra. Amare la Natura significa iniziare a rimboccarsi le maniche, agire concretamente; purtroppo in una società individualista, egoista, come la nostra, questa forma di amore è forse la più ardua da mettere in campo.
La
felicità è il motore del romanzo, ma anche un concetto che il potere tende a
sopprimere. Come possiamo, nel quotidiano, resistere alla tristezza?
Come
scriveva Deleuze “la gioia è rivoluzionaria”; il potere per meglio dominarci ci
vuole tristi. Chi non ha speranza è facile preda di false illusioni e
compensazioni fallaci come il consumismo che saziano soltanto apparentemente la
fame di bellezza e felicità insite nell’animo umano. Per resistere alla
tristezza bisogna aprirsi alla possibilità di farsi sorprendere dalla vita. Il
mondo è brutto, per tanti aspetti, in questo periodo di devastazione
ambientale, violenza, guerre e minacce nucleari, è forse ancora più brutto di
sempre, ma nel mondo c’è anche tanta bellezza; a volte basta osservare un
paesaggio, alzare gli occhi al cielo, o abbassarli a osservare un fiore, per
rendersene conto.
Comunque per me la chiave di volta, per quello che ho potuto sperimentare nella mia vita, le pratiche che mi hanno aiutato a tenere lontano tristezza e depressione sono state essenzialmente: il cammino a contatto con la Natura e lo Yoga, inteso non come ginnastica ma come preludio alla pratica della Meditazione. La meditazione è la vera porta per la vera serenità. Attraverso la meditazione possiamo conoscere noi stessi, diventare autentici, liberarci dal velo di Maya e, a quel punto, essere felici grazie a Santosha: l’accontentarsi di cose semplici. Inoltre credo che la meditazione, pur essendo un cammino individuale, quando viene praticata in gruppo, può avere un effetto di grande risonanza a livello sottile. Grazie al Cerchio meditativo si può sperimentare, in modo silenzioso e profondo, l’unione con gli altri esseri e in tal modo curare e liberarsi dal senso di insensatezza e solitudine.
Gli
ecovillaggi rappresentano un rifugio e una forma di resistenza. Quali sono, a
suo avviso, le loro principali fragilità e punti di forza?
I punti
positivi sono sicuramente quelli racchiusi nel detto “l’unione fa la forza”.
Vivendo vicino a persone affini si possono ottimizzare tante iniziative,
pratiche, percorsi di cambiamento.
Le
criticità sono quelle legate alla natura dell’essere umano: la competizione, la
sfiducia, il narcisismo, il voler prevalere sull’altro….
Ecco
perché un ecovillaggio senza pratiche di crescita spirituale e consapevolezza
politica (intendendo questa parola nel suo significato originario) secondo me
non può funzionare.
Soltanto
se cambiamo noi stessi possiamo cambiare il mondo...
E sicuramente il Cerchio, la sociocrazia, la comunicazione empatica, la CNV, e molte altre pratiche ormai sperimentate, codificate e in uso negli ecovillaggi, possono aiutare i singoli a mettere da parte il proprio Ego e aprirsi al NOI, alla forza trasformatrice del gruppo.
La
natura nel romanzo non è solo uno sfondo, ma una protagonista. Qual è il suo
rapporto personale con la natura e come si riflette nel suo stile narrativo?
Noi siamo
Natura, anche se molto spesso ce ne dimentichiamo. Personalmente, anche se ho
vissuto parecchi anni in metropoli come Parigi, Amsterdam e Berlino, non potrei
più vivere lontano dalla Natura. Difatti abbiamo scelto di andare a abitare in
Lunigiana, in una zona particolarmente ricca di boschi, aria pura, acque
sorgive…
Il
respiro è alla base della vita, della qualità della vita. E come si fa a
respirare “veramente” nelle nostre città inquinate, caotiche? Per cui sì,
l’immersione nella Natura per me è stata ed è … la salvezza.
Il mio stile narrativo credo dia voce e rispecchi il ritmo del respiro, la bellezza del paesaggio, la voce degli alberi, lo scorrere delle acque del torrente che ho sotto casa…Nei miei romanzi la Natura non è solo un contorno ma un vero e proprio personaggio il cui ruolo è centrale anche per lo sviluppo della storia e delle scelte dei protagonisti. Infatti uno dei leit motiv della trilogia di cui Il vero senso dei suoi passi incerti è il primo volume è proprio la difesa, la salvaguardia della Natura e le pratiche di resistenza dei territori e delle comunità attive e consapevoli come gli ecovillaggi.
Maria
riesce a “raccontare la felicità”. Quali sono le sfide narrative più grandi nel
descrivere un sentimento così ineffabile?
E’ vero,
nei miei romanzi si parla molto dell’aspirazione alla felicità. Il rischio è di
diventare retorici, forse sdolcinati… per evitare queste derive è importante
trovare il modo di esprimere questa aspirazione che, quando non è puro
edonismo, è il motore che dà un senso ai propri passi incerti… Felicità vuol
dire realizzazione, coerenza, vuol dire Prana, respiro, energia vitale, vuol
dire entusiasmo e gratitudine per il dono meraviglioso della vita… Non è sempre
facile ma la sfida narrativa, per quanto mi concerne, è trovare le parole per
raccontare questa spinta che non è un traguardo, ma un andare verso, passo dopo
passo, nonostante le incertezze, le cadute…