Immersi nell’inutilità del nostro giardino.
Leggendo il
Giardino dei Ciliegi di Anton Čechov mi è sempre sembrato palese – e magari ho
sempre sbagliato – che il nostro giardino è sinonimo di nostro teatro.
Ed avendo avuto il progetto Čechov una validità politica dal suo principio,
dal rientro post pandemico con Gabbiano per interrogarci sul come ripartire
nell’incontro con il pubblico, mi sembra stimolante chiudere il cerchio con
questo testo così profondo nelle sue domande. Un testo, l’ultimo di Čechov,
che presenta a tratti monologhi più concettuali e smaccatamente filosofici
rispetto ai precedenti, ma che continua a sballottarci da un personaggio
all’altro, spostando la “ragione” su più punti e facendoci letteralmente girare
la testa. Termineremo il viaggio confusi, pieni di domande e con pochissime
risposte. Ecco, forse, cosa vuol dire drammaturgia. Ecco perché Čechov,
sopravvissuto al tempo, dovrebbe essere il maestro di riferimento del teatro
del domani: un simpatico individuo che prendendosi un po’ in giro immette
generosamente una riflessione nell’altro. Con la cura verso l’altro e la
noncuranza del proprio io. In un teatro dove bisogna autodefinirsi pedagoghi e
maestri per salvarsi dalla mediocrità, Čechov ci rassicura nel dubbio, citando
Amleto attraverso le mani troppo in movimento di Lopachin e ci ricorda che il
dubbio fa parte del nostro mestiere e che senza di quello non potremmo
sopravvivere, che senza il dubbio la creatività perde appetito. In un Italia
che cerca sempre di più sintetiche risposte sbertucciando la complessità, il progetto
Čechov rischia di non sapere. Si potrebbe scomodare il paradosso socratico del
“allora capii che veramente io ero il più sapiente perché ero l’unico che non
sa né pensa di sapere” ma sono certo di poter esprimere lo stesso concetto con
qualche canzoncina da Festivalbar nella prossima messa in
scena.
Per chi
conosce il testo: se inizialmente ci sembra normale parteggiare per il monologo
di Trofimov e il suo concetto di essere consapevolmente un eterno studente,
colui che comprende che per avanzare nella vita non bisogna mai smettere di
lavorare e di far lavorare la propria mente, non posso non saltare sulla sedia
ogni volta che leggo che l’unico ad andare a teatro in questo copione è
Lopachin. Lopachin, che si sveglia alle cinque del mattino, figlio di
contadini, Lopachin che ha fatto i soldi e che pensa a come farne sempre di
più, ieri sera è stato a teatro a differenza di tutti gli intellettuali
presenti in quella casa. Ecco, tutto qui. Ecco che, per l’ennesima
volta, non possiamo accomodarci sulla lettura spiccia dei buoni e dei cattivi,
ma che per raccontare la complessità umana divertendoci dobbiamo ricercare i
paradossi della gente.
Lopachin e
Trofimov, semplificando, sono una mano destra e una mano sinistra che si
stringono solo nell’incapacità di dichiararsi alla donna amata nel loro
infantilismo relazionale. Ed ecco che le donne Ljubov', Dunja, Varja e Anja,
che hanno creduto nell’amore, si ritrovano sistematicamente sconfitte e deluse
dai loro uomini, troppo distratti dai pensieri del proprio ombelico. Ed ecco
Charlotta, sola da sempre e per sempre, che simula un infanticidio per divertimento,
sbarazzandosi così di un fantoccio bambino e della retorica del ruolo teatrale
donna/mamma. Un calcio nelle palle al capocomicato con i suoi personaggi
femminili così semplificati. Che grande Čechov! Che bello il Giardino dei
Ciliegi! Che non si può incasellare, che non può essere fatto in nessun modo se
non in quello più difficile, che necessita di un credo radicale nell’atto
creativo. La richiesta alla nobiltà d’animo, alla generosità come più grande
forma d’arte.
Un luogo,
un giardino/teatro, che aveva trovato la sua utilità cento anni fa e che adesso
vive solo nel ricordo dei suoi interpreti. Che adesso non produce più la
marmellata di cui i nostri nonni erano tanto ghiotti e che per questo si può
tranquillamente buttare giù in favore di un parcheggio. “Bisognerebbe buttarlo
giù questo teatro” tuonava il maestro del Gabbiano. Eccoci ancora qui. Sarà un
piacere vederli tutti di fila. E va bene inorridire pensando alla ruspa che
distruggerà i nostri alberi ma forse dovremmo coraggiosamente prendere per il
bavero anche lo zio Gaev che, colpevolmente, parla di caramelle e si protegge
nel ciò che è stato e che, per paura della morte e dello scorrere del
tempo, si facilita l’esistenza associando il presente e il denaro alla
volgarità. Senza prendere il toro per le corna, decidendo di non essere
incisivo. E di perdere. Ma in questo tempo la testa va lasciata fuori dalla
sabbia, in questo tempo è importante ribadire a gran voce che il nostro inutile
giardino, il nostro teatro pubblico, non si può basare solo sui numeri, non si
può valutare solo contando quante ciliegie produce di anno in anno. Altrimenti,
ieri come oggi, tanto vale privatizzarlo e farci tante villette per i turisti.
Se non c’è rischio di impresa non è Pubblico e non merita di essere sostenuto
dalle persone. E non fate i furbi su questo: non nascondetevi dietro il
sipario se non amate il teatro. Se volete più ciliegie in maniera dozzinale
solo per produrre fiumi di marmellata non è un grande giardino - citato anche
nel dizionario enciclopedico - il posto adatto a voi. Se l’unico pensiero
è avere sempre di più, accumulare in maniera autolesionista e spremere le
persone accanto a noi, se crediamo in questa forma di schiavismo del nuovo
millennio, se smettiamo di occuparci della qualità delle nostre vite attraverso
la qualità della vita degli altri allora mi chiedo che cosa stiamo facendo,
ancora, su un palcoscenico. E se lo chiedono anche gli attori, abbandonati nel
tempo a dover elemosinare attenzione con lunghi monologhi emotivi ed effimeri,
su armadi di cento anni fa. A dover auto affermare il valore del proprio
lavoro. Ci siamo dimenticati di loro, abbiamo chiuso la porta a doppia mandata
e li abbiamo lasciati agonizzanti dopo aver sfruttato il loro
servizio.
Ecco
l’ultima immagine che Čechov ci lascia nel finale di Giardino, nel finale di
una vita spesa per il teatro. Una persona che ha servito altre persone per
tutta la vita, senza se e senza ma, dimenticato. Dice a se stesso, o al teatro
che sta occupando “… Non hai più forze, non ti è rimasto proprio niente,
niente... Eh, buono a nulla …”. Poi una corda tragica di violino a riempire
la scena. Anche Čechov, dopo tutta questa buona marmellata regalata, ci lascia
con una nota triste, come se non avesse più voglia di ridere. E infatti c’è da
piangere. O, forse, da reagire.
Leonardo
Lidi
dal 3 all’8 dicembre dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
IL GIARDINO DEI CILIEGI
PROGETTO ČECHOV – terza tappa
di Anton Čechov
traduzione Fausto Malcovati
regia Leonardo Lidi
con (in o.a.): Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Alfonso De Vreese, Ilaria Falini, Sara Gedeone, Christian La Rosa, Angela Malfitano, Francesca Mazza, Orietta Notari, Mario Pirrello, Tino Rossi, Massimiliano Speziani, Giuliana Vigogna
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Aurora Damanti
suono Franco Visioli
assistente alla regia Alba Porto
produzione Teatro Stabile dell’Umbria
in coproduzione con Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Spoleto Festival dei Due Mondi
durata 1 ora e 40 minuti - guarda il trailer https://www.youtube.com/watch?v=SfwDHI8Z-DQ
Personaggi
e interpreti
Ljubov' Andreevna – Francesca Mazza
Anja, sua figlia – Giuliana Vigogna/Sara
Gedeone
Varja, sua figlia adottiva – Ilaria Falini
Lenja Andreevna, sorella di Ljubov’ –
Orietta Notari
Ermolaj Alekseevic Lopachin – Mario
Pirrello
Peter Sergeevic Trofimov – Christian La
Rosa
Boris Borisovic Simeonov-Piscik – Giordano
Agrusta
Charlotta Ivanovna – Maurizio Cardillo
Semen Panteleevic Epichodov – Massimiliano
Speziani
Dunja – Angela Malfitano
Firs – Tino Rossi
Jasa – Alfonso De Vreese
INFO
ORARI
dal
martedì al venerdì h 21
sabato
h.19
domenica
h.17
lunedì
h 21
Circo
El Grito h.19
Emma
Dante Il Canto della Sirena Vascello dei Piccoli sab. 16,30 dom.11,30
BIGLIETTERIA
intero
€ 25
over
65 € 20
cral
e convenzioni € 18
studenti
€ 16
Vascello
dei piccoli € 15 / € 12 (bambini)
Concerti
€ 15 / € 12 (studenti e anziani)
Abbonamenti
Zefiro
(8 titoli) € 120
Eolo
(9 titoli) € 135
Card
libera (6 spettacoli a scelta su tutta la programmazione) € 108
Card
love a 2 spettacoli a scelta su tutta la programmazione per 2 persone (4
ingressi) € 72