Obey, l'arte di strada di Shefard Fairey entra in galleria

 


di Antonino Muscaglione.

“Obey, the art of Shefard Fairey” è una mostra monografica e immersiva su uno degli street artist più apprezzati del momento: Shefard Fairey. Il suo lavoro è fatto da un percorso complesso e coerente, studia grafica alle scuole superiori, attento alle questioni sociali e ambientali, si esprime inizialmente come street artist, le sue opere sono entrate di diritto nelle gallerie più prestigiose. Ha curato personalmente l'esposizione che si può visitare fino al 27 ottobre alla Fabrica del Vapore a Milano nello spazio definito per conformazione fisica: la cattedrale, un grande spazio a tre navate che ospita per la prima volta in Italia un'esposizione museale interamente dedicata all'artista. Per rendere ancora più credibile l'opera dello street artist il percorso è strutturato come se ci si trovasse in una grande città, al centro una grande piazza rotonda che si apre su diverse strade. Cinque le sezioni: propaganda; pace e giustizia; musica; ambiente e nuove opere.


In una prima strada ci sono le prime opere, quelle del suo esordio, qui si nota come sia predominante l'uso del rosso e del nero che via via si arricchisce di altri colori, l'ocra, l'azzurro. Con il suo lavoro Fairey vuole sottolineare l'importanza della pace, le sue opere grafiche sono un'esplicita protesta al mondo del consumismo, usa gli stessi codici linguistici della propaganda russa per attaccarla. Alla base del suo lavoro c'è attenzione verso la pop art, verso la grafica. È per questo che il percorso espositivo si apre con le celebri immagini della campagna Obey, sulla quale l'artista ha lavorato ininterrottamente per dieci anni. Obey vuol dire obbedienza, quell'obbedienza che porta il consumatore a comprare un certo prodotto commerciale senza rendersene conto, per questo Fairey usa quegli stessi codici linguistici per veicolare però un messaggio di pace. La visita continua con le opere legate alle tematiche sociali: diritti umani, abuso di potere, guerra e pace. Interessante il rapporto tra l'artista e il luogo in cui ha deciso di esporre le sue opere, la Fabbrica del Vapore, oggi sede di prestigiose mostre, un tempo era una fabbrica di rotaie per treni che storicamente ha rifiutato di convertire, durante le due guerre mondiali, la sua attività in produzioni belliche, quindi di per sé luogo di pace. C'è una sezione dedicata alla musica, opere ispirate ai personaggi che sono stati per l'artista fonte d'ispirazione, lui stesso crede che la musica sia un'arte universale e accessibile, all'interno della mostra c'è un Qcode, da lì si accede alla playlist dei brani che l'artista ha selezionato per la festa dei suoi 50 anni. 


Suggestive e potenti le opere legate all'aspetto ambientale. Molto interessante anche l'ultima sezione con i lavori più recenti, alcuni anche inediti ed esposti per la prima volta, grandi tele in cui l'artista tende a sottolineare l'importanza del messaggio di pace già presente nelle prime opere. C'è una coerenza formale che accompagna tutto il suo lavoro, prospettive geometriche, colori piatti e opachi, predominano sempre il nero, il rosso, l'ocra, il blu. Queste le parole dell'artista che spiegano il suo punto di vista: «L’umanità sembra trovarsi in uno stato perpetuo di conflitto. La pace ci richiede di perseguire l’armonia con una vigilanza riflessiva. Io sono un pacifista. Credo nelle soluzioni ai disaccordi che evitano la violenza. Siamo una specie intelligente capace di cooperare e risolvere i problemi senza violenza. Quando guardo l’umanità in generale, la maggior parte delle persone desidera vivere in pace. La maggior parte della mia arte si concentra sulle tematiche di giustizia, e l’esito della giustizia è una società più equa, giusta e pacifica. Attraverso la mia arte, voglio ricordare alle persone l’uguale umanità di tutte le persone, indipendentemente dalla loro razza, religione, nazione o cultura. Non c’è un noi contro di loro; c’è solo un noi

 

Fattitaliani

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