Dopo settimane di tensioni fuori dal campo, il numero uno al mondo conquista New York con una solidità mentale che gli avversari possono solo invidiare.
La vittoria di Jannik Sinner agli US Open di New York non è solo
un momento da incorniciare nella storia del tennis italiano. È la sublimazione
di un tratto che distingue il campione in modo quasi inquietante da ogni altro
giocatore: la sua impenetrabilità mentale. Mentre il mondo si agita, Sinner
rimane immobile, inafferrabile, come un guerriero stoico che affronta tempeste
con il solo potere della sua mente. Non è solo il fatto che abbia battuto
l’americano Taylor Fritz in tre set secchi, con un punteggio che sembrava quasi
ineluttabile – 6-3, 6-4, 7-5 – a renderlo speciale. No, quello che rende
straordinario Jannik Sinner non è ciò che ha fatto, ma come lo ha fatto.
Quando il fuoriclasse altoatesino ha alzato le braccia al cielo
al termine del match aveva raggiunto il culmine di una battaglia interiore, una
dimostrazione di come la forza mentale possa resistere anche alle tempeste più
impetuose. Mentre altri giocatori avrebbero potuto cedere alla pressione,
Jannik ha dimostrato di possedere qualcosa di più prezioso: una calma
inviolabile, un’autodisciplina di ferro. Perché, se c’è una cosa che distingue
Sinner da qualsiasi altro tennista, è la sua capacità di restare immobile anche
quando tutto intorno a lui si sgretola. E di cose che si sgretolano, Jannik ne
sa qualcosa, per non parlare della pressione. I commenti della stampa, le
opinioni dei colleghi, gli hater sui social, l’ombra costante di un errore che
non era stato neanche suo. Qualcun altro si sarebbe spezzato, ma Jannik no. E
qui entra in gioco il suo vero valore, quello che nessuna statistica può
catturare.
La sua forza mentale è la qualità che lo rende diverso da
chiunque altro. Quando il mondo si è stretto contro di lui, quando le domande
erano troppe e le risposte troppo poche, Sinner ha fatto ciò che sa fare
meglio: ha messo tutto a tacere e ha giocato. Il campo da tennis è diventato il
suo rifugio, il luogo dove le distrazioni non esistono e ogni colpo è un atto
di concentrazione purissima. Non ha lasciato che quella nube nera del caso
Clostebol influisse sul suo gioco. “Chi mi conosce bene sa che non farei mai
nulla contro le regole” ha ribadito con forza all’inizio del torneo di New
York. Quella dichiarazione, pronunciata con semplicità, è la sintesi della sua
natura: una forza inesorabile che non ha bisogno di urlare per farsi sentire e
che presuppone la maturità di chi ha la consapevolezza che la vita sia qualcosa
che va ben oltre il rettangolo di gioco.
Come ben testimoniato dalle sue dichiarazioni al termine della
finale con Fritz, il richiamo agli affetti familiari e il primo pensiero per la
zia gravemente malata. “Il complimento più bello che ho ricevuto – ha affermato
– forse è stato quello poco prima della finale che mi ha detto Darren (Cahill,
il coach australiano di Sinner, ndr) riguardo a come ho gestito tutta questa
situazione, dell’essere arrivato in finale e di dover giocare un match così
importante. Mi ha fatto una domanda ‘Chi credi siano le due persone che sono
più fiere e felici di te?’. L’ho guardato e gli ho detto ‘Non lo so’. E lui mi
ha detto: ‘I tuoi genitori…’. Questo mi ha fatto sentire molto bene, mi sono
venuti i brividi perché lui – essendo padre e sapendo tutto ciò che ho passato
in questi quattro mesi – mi ha fatto capire che tutto questo va oltre il
tennis”.
Durante la finale con Fritz, lo si è visto chiaramente. Il
pubblico newyorkese dell’Arthur Ashe, l’impianto di tennis all’aperto più
grande del mondo, era tutto per il suo beniamino, sperando in una vittoria che
avrebbe posto fine a due decenni di astinenza da un titolo americano agli US
Open. Ma non è stato così. Sinner è entrato in campo come una macchina
perfettamente oliata, ma con l’anima di un combattente. Ha controllato il gioco
dall’inizio alla fine, ma lo ha fatto senza l’arroganza di chi sa di essere più
forte, con la sicurezza silenziosa di chi ha imparato, attraverso le
difficoltà, a dominare ogni situazione.
La partita, seppur dura, sembrava quasi una formalità per
Jannik. Fritz ha provato a rompere il dominio dell’avversario, ma ogni suo
tentativo, soprattutto nel terzo set quando si è trovato con un break di
vantaggio, è stato disinnescato con la calma e la precisione di chi non si
lascia scalfire. Ogni volta che l’americano trovava uno spiraglio, Sinner lo
chiudeva senza fare una piega, come se la pressione fosse qualcosa che gli
altri sentivano, ma che non lo sfiorava neanche. Fritz, che nei giorni migliori
serve come una mitragliatrice, sembrava aver smarrito il proprio miglior colpo.
Ma sarebbe stato davvero sufficiente contro un Sinner che non si lascia mai
condizionare dalle circostanze?
Mentre il californiano lottava con il suo servizio e con il peso
del pubblico, Jannik sembrava quasi osservare dall’alto. Ogni colpo era
calcolato, ogni scelta attentamente bilanciata. Se Fritz tentava l’affondo,
Sinner lo attendeva con una calma serafica, come se il tempo rallentasse per
lui. E questa calma, questo zen in movimento, è il vero segreto del ragazzo di
San Candido. Ed è qui che si svela l’enorme differenza tra Sinner e quasi tutti
gli altri. Non è solo una questione di colpi perfetti o di velocità sul campo.
È che Sinner ha la capacità di entrare in una zona mentale dove il rumore del
mondo – le aspettative, i commenti, i dubbi, le paure – scompare. Quando le
cose si complicano, quando il gioco si fa duro, lui diventa ancora più stabile.
È come guardare un funambolo che, anziché vacillare, danza sopra l’abisso.
Sinner non si esalta mai, non si lascia mai distrarre dalle sue
stesse vittorie, ed è proprio questa qualità che lo rende tanto pericoloso per
i suoi avversari. Le sue partite non sono battaglie di pura potenza o atletismo
– sono guerre psicologiche. Lui ti scava dentro, ti logora. In campo, sei solo
tu e la tua mente. E contro Jannik, prima o poi, sei tu che vacilli. Fritz,
alla fine della partita, era visibilmente turbato. “Avrei voluto giocare
meglio, darmi una chance migliore,” ha ammesso. Ma la verità è che contro uno
come il campione italiano, non basta giocare bene. Devi essere all’altezza
mentalmente. E nessuno, tranne forse Djokovic, sembra avvicinarsi a quel
livello di lucidità glaciale. Sinner, con la sua freddezza imperturbabile,
trasforma ogni partita in un esame di resistenza mentale.
Sebastiano Catte