Senko Karuza, "Isola" le storie di un filosofo-chef dal cuore dell'Adriatico



UDINE - Arriva in libreria il 5 giugno "Isola. Storie di un filosofo-chef" dello scrittore Senko Karuza, tradotto da Ginevra Pugliese ed edito da Bottega Errante Edizioni.


In "Isola. Storie di un filosofo-chef dal cuore dell'Adriatico
Senko Karuza racconta di un lembo di terra troppo affollato d’estate e semideserto nelle altre stagioni dell’anno. L'isola è abitata dai pochi che hanno deciso di rimanere a coltivare la terra, gli ulivi e le vigne; circondata da un mare sempre più povero di pesce, solcato da sparuti traghetti che portano in terraferma dal dentista, a scuola, ad approvvigionarsi e che riversano sull’Isola curiose figure in fuga dalla frenesia delle città.
Senko Karuza ci conduce in un viaggio dentro la comunità dell'isola e la natura mediterranea, negli odori della macchia e del mare, dentro la vita dei pescatori e il lavoro dei contadini, al riparo dalle gelide raffiche di bora e con il profumo della torta marmorizzata della zia Anka di cui nessun altro conosce la ricetta…
L’Isola è Vis, Lissa, ed è tutte le isole dell’Adriatico e del Mediterraneo, accomunate dal medesimo destino: essere un universo a sé, un equilibrio di privazioni e piaceri della tavola, ritmi di vita lenti e pensiero profondo.

Senko Karuza è un uomo dalla biografia insolita. Come ci racconta Ginevra Pugliese, traduttrice di "Isola", Karuza è «scrittore, poeta, filosofo, si può definire un esponente della “letteratura insulare” in quanto l’isola è una presenza costante nella sua prosa. Non descrive l’isola dall’esterno, con uno sguardo distaccato di chi la osserva dalla terraferma; al contrario, la racconta dall’interno, vivendola e cogliendone ogni sfumatura e peculiarità. Senko Karuza è nato a Spalato nel 1957, ha frequentato i primi anni di scuola nell’isola di Vis (Lissa) per poi proseguire gli studi a Spalato e Zagabria presso la Facoltà di Filosofia. Contrariamente a molti suoi colleghi che hanno lasciato la periferia per stabilirsi e lavorare in città, per lo più a Zagabria o Spalato, Karuza ha fatto la scelta opposta: ha lasciato la città per ritirarsi ai margini, tornando giù, nella sua isola. Questo percorso di vita si riflette profondamente nella sua scrittura che non è parallela a una carriera come insegnante, redattore o professore universitario. Karuza è uno scrittore-lavoratore: pianta, annaffia, ara, diserba, pesca, approvvigiona, ospita, cucina, vivendo immerso nella natura e con la natura. Per questo Karuza è una figura unica nel panorama culturale croato. Anche la lingua dei suoi racconti è peculiare: autentica, vibrante e arricchita da venetismi tipici del dialetto dalmata che riflette i lunghi e intensi scambi culturali tra le due sponde dell’Adriatico e che aggiunge ulteriore profondità e autenticità alle sue opere».

"Isola" di Karuza ci porta a immergerci nelle bellezze e nella pace di un'isola della Dalmazia, ma come ci spiega la traduttrice Ginevra Pugliese, «allo stesso tempo ci mostra quanto sia dura la sopravvivenza degli isolani che devono trascorrere tutto l’anno la loro vita sull’isola. Siamo abituati a guardare l’isola dall’esterno per cui ci sembra facile dire che l’isola è bella, ma bisogna sopravvivere anche al di fuori dei mesi estivi che passano velocemente. Facile far tintinnare il bicchiere e svuotare la bottiglia del miglior vino rosso, ma l’uva deve essere coltivata e il vino deve essere prodotto. È divertente passeggiare sul molo della città o farsi fotografare con l’asino, ma solo chi sopporta il deserto invernale e le raffiche di bora sa cosa sia veramente l’isola. Non c’è nulla di esemplare in questo, perché l’isola, come tutto ciò che ci circonda, ha il suo volto più attraente e più amaro. Sono molti i problemi degli isolani, soprattutto lo spopolamento. I giovani se ne vanno a studiare e poi a vivere e a lavorare nella terraferma, nel continente, all’estero e l’isola diviene così solo un luogo temporaneo per le vacanze.
Sull’isola restano gli anziani e c’è bisogno di forza per lavorare la terra. Anche la sopravvivenza dei pescatori è messa a dura prova perché il mare è sempre più povero di pesci. Fuori stagione turistica i traghetti e i collegamenti con la terraferma sono radi, a volte nulli se ci si mette di mezzo il meteo con il vento forte e il mare mosso. Il traghetto non solo permette agli isolani di raggiungere “il continente”, per andare dal dentista, dal medico specialista e di prendere tutto ciò che non si può trovare sull’isola, ma anche per rifornirsi di generi di prima necessità, tra cui l’acqua (in certe isole l’acqua potabile manca e arriva la nave cisterna per l’approvvigionamento). 
A causa di queste difficoltà molti isolani hanno scelto di andarsene altrove, nella terraferma, nelle città e anche all’estero dove “si sta meglio” anche se nell’isola “è più bello”. La scelta è sempre sofferta sia per chi decide di restare sia per chi decide di partire e comunque il dubbio della scelta presa li accompagna per l’intera esistenza. 
L’isola non è però solo un luogo di difficoltà, privazioni e limitazioni condizionate dalla natura, che in parte fa degli isolani dei moderni Robinson, ma anche un luogo di bellezza, di fusione con la natura e di piacere. I piaceri della tavola, cibi semplici, genuini, i pomodori dell’orto e la pasta al pomodoro, il pesce appena pescato e cotto sulle gradele, la peka dove si cucina la carne, le erbe selvatiche come prelibatezze da raccogliere e cucinare. E poi c’è la bevanda, il vino annacquato che ricorre spesso nei racconti, la siesta pomeridiana, la gioia di mangiare in compagnia degli amici, di andare in barca con la moglie e i figli in qualche piccola baia più isolata per fare il bagno e mangiare i peperoni ripieni, l’andare a caccia quando il mare diventa minaccioso… ».


L'isola di Vis si distingue dalle altre isole della regione perché, continua Ginevra Pugliese, «è stata aperta al turismo molto più tardi. Fino al 1989 non vi era permesso l’accesso agli stranieri. Nel corso della seconda guerra mondiale Vis era sede del comando del movimento partigiano capeggiato da Tito e fino al 1992 era rimasta base militare dell’Armata jugoslava. Vi si trovavano diverse caserme e rifugi militari, alcuni anche nelle grotte marine. Il turismo a Vis esiste solo da 30 anni, mentre sull’isola di Hvar esiste da 130 anni. Senko Karuza quindi è stato testimone diretto dei primi cambiamenti portati dal turismo con i suoi aspetti positivi ma anche negativi che vengono trattati in molti dei suoi racconti. Senko ha voluto cogliere il senso di perdita della collettività, i cambiamenti che la collettività deve fare per sopravvivere, come ad esempio trasformare le stalle in appartamenti per i turisti rinunciando così ai propri animali e alla vita della campagna diventata poco redditizia e faticosa»

Nelle pagine "Isola" c'è molta ironia, che sembra utilizzata per sdrammatizare una visione cupa del futuro. Un aspetto che si può rivelare anche in altri autori croati, come Robert Perišić
. Ginevra Pugliese spiega come «l’ironia serva come meccanismo di difesa per affrontare traumi e incertezze e per non cadere nel pessimismo totale. La Croazia ha vissuto un passato turbolento, caratterizzato da guerre, transizioni politiche e cambiamenti socio-economici. Durante il periodo della Jugoslavia socialista, l’autocensura e la rigidità monopartitica spingevano gli autori a usare l’ironia come mezzo per esprimere dissenso e critica sociale in maniera più velata e sicura. Questo ha lasciato un’impronta duratura sulla letteratura croata, anche dopo la dissoluzione della Jugoslavia e come necessità di critica anche nei riguardi delle politiche del nuovo Stato talvolta caratterizzate dal rigido nazionalismo. L’ironia è usata da molti autori non solo croati ma anche dai serbi e dai bosniaci, compresi quelli che hanno lasciato il proprio paese natale durante la guerra degli anni ’90 e si sono messi a scrivere nella lingua del paese d’adozione, come Velibor Čolić che scrive in francese, Aleksandar Hemon in inglese, Elvira Mujčić in italiano. Dunque, l’ironia nella letteratura croata contemporanea è radicata sia in motivazioni culturali che in antecedenti letterari come Le ballate di Petrica Kerempuh di Miroslav Krleža, pubblicate nel 1936 o il romanzo Mirisi, zlato i tamjan (Oro, incenso e mirra) di Slobodan Novak, pubblicato nel 1968 e ambientato sull’isola di Rab. E attraverso l’ironia si esplora e commenta la complessità della vita moderna. Nei racconti di Senko Karuza sono molte le situazioni comiche, ironiche, della quotidianità. Karuza concentra la sua attenzione su una famiglia di isolani e inizia le sue storie con il ritratto di questa famiglia il cui rappresentante, che parla in prima persona plurale, può essere un bambino, un adulto, o un anziano a seconda del racconto. L’ironia è più evidente nel racconto Navi spaziali nel nostro porto con il ribaltamento delle sorti tra passato e presente: sull’isola ora attraccano yacht di lusso di proprietà di cechi e slovacchi, un tempo considerati poveri dagli jugoslavi, ma ora sono i croati a essere oggetto di compassione». 

Fattitaliani

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