di Angela Casilli
La bufera giudiziaria che si
è abbattuta sulla Liguria in questi giorni, per gravi casi di corruzione, tutti
da accertare, che coinvolgono il Presidente e il suo entourage, ripropone, ancora
una volta, la necessità di risolvere quanto prima la disparità di opinioni e
comportamenti tra politica e magistratura.
Nel rapporto tra politici e
toghe, conclusa l’epoca berlusconiana, occorre scongiurare il rischio di uno
scontro fatto di contrapposte culture del sospetto; sarebbe una svolta per
ripartire e rendere possibile la pace tra politica e magistratura, pace
auspicata fin dagli anni di Mani pulite e mai raggiunta.
Mani pulite non fu nel ’92,
come molti ancora pensano oggi, un golpe dei magistrati perché le inchieste
sulla corruzione ebbero come effetto il crollo del “Palazzo”. Fu, al contrario,
il suicidio di partiti ridotti a barzelletta e di un’economia di cartello che,
protetta dalla concorrenza dalla regola delle tangenti, non riusciva a tenere
il passo con Maastricht: epilogo scontato di una modernizzazione mancata in un
Paese afflitto da assistenzialismo, economia di Stato e debito pubblico alle
stelle.
Da allora la magistratura è
esondata, non perché ci fosse una particolare propensione eversiva dei
magistrati, ma perché il vuoto che si viene a creare tra i poteri,
necessariamente deve essere riempito. Dove la politica non è più stata in grado
di risolvere gravi problemi di corruttela, la magistratura chiamata a
legittimare leader e partiti a corto di credibilità, ha avuto mano libera e la
politica si è precipitosamente ritirata sotto l’incalzare delle proteste di
piazza, utilizzando lo scudo dell’immunità parlamentare, assai abusato al
tramonto della Prima Repubblica.
L’articolo 68 della
Costituzione ha salvato deputati e senatori contro inchieste arbitrarie o
infondate, giacché le Procure sono diventate, questo sì dopo Mani pulite,
titolari di vita e di morte dei politici. Ne è seguito il discredito mediatico
attraverso giornali e televisioni a caccia di notizie, dello scoop fin dal
nascere dell’inchiesta, prima ancora che si giunga al processo e ad una
eventuale sentenza di condanna o di assoluzione, rovinando così la reputazione
dell’indagato di turno. E’ opportuno ricordare
che, secondo la legge italiana, il cittadino è ritenuto colpevole dopo il terzo
grado di giudizio.
Come sempre accade, quando
il potere affascina oltre ogni misura, alcuni pubblici ministeri, soprattutto
quelli impegnati nelle inchieste più scottanti, si sono lasciati attrarre dalla
politica, con risultati disastrosi, come ampiamente dimostrato dallo scandalo Palamara
o dal braccio di ferro tra Berlusconi e le Procure, a caccia di presunte
connivenze tra lo stesso e i mafiosi nella stagione delle stragi di mafia.
Il rischio da scongiurare,
oggi, è lo scontro tra politica e magistratura, fatto di contrapposte culture
del sospetto, dopo una stagione che ha visto i magistrati eccedere nel
protagonismo e, talvolta, chiamati ad orientare o condizionare le scelte
politiche.
La politica ha un solo modo
per scongiurare il rischio di uno scontro: osservare scrupolosamente l’articolo 54 della Costituzione, che
prescrive disciplina e onore
nell’esercizio delle funzioni pubbliche, non chiedendo più alla magistratura
patenti di legittimità o supplenze di potere.
Non sarà facile trovare un
equilibrio dopo decenni di presenzialismo giudiziario che hanno convinto che
non si debba nascondere nulla ma ricercare la verità ad ogni costo.
L’Italia non potrà mai
ripartire se non si sbloccherà il meccanismo perverso del’eccesiva presenza del
potere giudiziario, in ogni ambito della cosa pubblica, dai contratti e appalti
sempre più precari, allo scarso consenso elettorale e alla ridotta stabilità
degli esecutivi.
Non ci sono golpisti con la
toga, come non ci sono politici desiderosi di sottomettere le toghe. Tuttavia,
la riforma del ministro Nordio non avrà un iter parlamentare facile, anche
perché la separazione delle carriere che vuole abolire l’appartenenza ad un
solo ordine giudiziario di giudici e pubblici ministeri, è una “vexata quaestio“ che da tempo si cerca
di risolvere, finora senza risultati apprezzabili.