Dirige Giampaolo Bisanti. Diretta streaming il 26 aprile su LaScalaTV.
Il ritorno in scena dal 16
aprile al 5 maggio del dittico formato dagli atti unici Cavalleria rusticana di Piero Mascagni e Pagliacci di Ruggero Leoncavallo,
nella produzione ormai classica firmata da Mario Martone nel 2011 e già
ripresa nel 2014 (solo Cavalleria insieme a Le spectre de la rose)
e 2015, si avvale di una spettacolare sfilata di grandi voci nelle parti
principali. Il direttore Giampaolo Bisanti avrà a disposizione in Cavalleria
rusticana Elīna
Garanča
e Saioa Hernández come Santuzza, Brian Jagde
e Yusif Eyvazov come Turiddu, Amartuvshin Enkhbat e Roman
Burdenko come Alfio, oltre a Francesca Di Sauro come Lola ed Elena
Zilio come Mamma Lucia. In Pagliacci canteranno Irina Lungu
come Nedda, Fabio Sartori come Canio, Mattia Olivieri come
Silvio, Amartuvshin Enkhbat e Roman Burdenko come Tonio e
Jinxu Xiahou come Peppe.
La rappresentazione del 26 aprile sarà trasmessa in
live streaming sulla piattaforma LaScalaTv. Prosegue la
collaborazione fra Teatro alla Scala e Corriere della Sera/7 con la conduzione
congiunta di Mario Acampa e Gian Luca Bauzano durante l’intervallo. Dopo la
diretta, il video resterà disponibile on demand fino al 3 maggio.
Un’ora prima dell’inizio di ogni
recita, presso il Ridotto dei Palchi, si terrà una conferenza introduttiva
all’opera tenuta da Liana Püschel.
Il dittico Cavalleria
rusticana e Pagliacci fa parte del progetto inclusivo del
Teatro: saranno disponibili servizi per persone con disabilità uditiva il 26
aprile alle ore 20; per persone con disabilità visiva il 28 aprile alle ore 14.30.
Il
dittico probabilmente più famoso della storia dello spettacolo calca nuovamente
le scene scaligere dopo l’ultima ripresa in occasione dell’Expo. In quel
frangente si proponeva come uno dei volti più rappresentativi del teatro
musicale italiano. Analogamente, nel breve giro di due anni e quattro giorni
(maggio 1890 - maggio 1892), fra il Teatro Costanzi (l’attuale Teatro
dell’Opera) di Roma e il Teatro Dal Verme di Milano quei due titoli avevano
rappresentato l’apertura di una via nuova dell’opera italiana, con cui una
nuova generazione di compositori nati nel decennio attorno all’Unità d’Italia
archiviava di prepotenza, aggirando qualsiasi costruzione teorica, la stagione
del Romanticismo. Lo faceva, peraltro non senza ambiguità né astuzie, in nome
della realtà, di un vero assai meno poetico e più brutale di quello perseguito
da Verdi o da Manzoni.
Titoli
come Cavalleria rusticana e Pagliacci, più che non un episodio
fortunato, hanno costituito storicamente il superamento di un trentennio
critico per l’opera italiana. L’espressione di una nuova sensibilità. Con loro
il tragico fa propria la dimensione dell’urlo, di un esito non più soltanto nefasto
ma disperato, cui è estraneo ogni motivo di consolazione. Emozioni forti
vengono somministrate tramite un acceso lirismo vocale: la “vena zampillante
d’una bella melodia”, per dirla con il critico Giannotto Bastianelli. In Cavalleria
rusticana, atto di nascita di questo stil novo operistico, la si ascolta
già prima che s’alzi il sipario, nella canzone siciliana “O Lola c’hai di latti
la cammisa”. Il canto appassionato, per frasi larghe, sostenuto dal raddoppio
della grande orchestra sinfonica capitanata dalla massa dei violini, amplifica
enfaticamente le emozioni attraverso una vocalità di forza in grado di
sovrastare l’orchestra. L’azione drammatica – imperniata su un contrasto
passionale a tinte forti, dal cui orizzonte è appunto categoricamente esclusa
la dimensione catartica propria del teatro verdiano – alterna un declamato in
stile “di conversazione”, prossimo alle inflessioni del parlato, a pezzi di
carattere, popolareschi (brindisi, preghiere, canzoni, cori) o sentimentali
(arie, duetti), nella cornice di pagine sinfoniche che anticipano il materiale
tematico fondamentale (il preludio), assicurano il necessario sollievo
dall’intensità delle passioni (l’intermezzo) o sigillano lo scioglimento,
precipitoso e immancabilmente nefasto (la perorazione conclusiva, sul tema
fondamentale ripreso per l’ultima volta in fortissimo dall’orchestra). Esemplare
in questo senso il meccanismo perfetto che corona Pagliacci, con la
successione del doppio omicidio degli amanti che cadono dando in un rantolo, il
silenzio carico di tensione, l’annuncio del gobbo Tonio, in parlato straniante
(“La commedia è finita”), l’esplosione del motto sinfonico che dice l’amara
autocoscienza di Canio, su cui già s’era chiuso l’atto I. Analogamente, un urlo
non musicato (“Hanno ammazzato compare Turiddu!”) aveva notificato post factum
il finale tragico di Cavalleria. Lo storico battesimo di quest’ultima il
17 maggio 1890 (sessanta chiamate per l’autore e gli interpreti), ben più che
un evento memorabile degli annali dell’opera, si prolunga fino a noi in una
sintonia con il pubblico planetario che non accenna a tramontare.
(Raffaele
Mellace – da La Scala/Rivista del Teatro)