Intervista di Andrea Giostra
«La scrittura è talmente parte di me che non ricordo con precisione quando scrivere abbia fatto "irruzione" nella mia vita. In realtà, forse, c'è sempre stata. Io credo che ognuno nasca con un dono, con un talento, e questo è il mio.» (Valentina Pelliccia)
Ciao Valentina, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori che volessero sapere di te quale giornalista e scrittrice?
Ho pubblicato il primo romanzo a soli 17 anni, vincendo un Premio di Narrativa Nazionale. A 12 anni già scrivevo poesie e partecipavo a Concorsi letterari. La scrittura credo sia il mio vero “dono” o talento. Il giornalismo è subentrato in un secondo momento, dopo gli studi universitari in discipline giuridiche. Amo molto la Comunicazione e per questo ho scelto di acquisire titoli importanti in questo settore, tra cui, Corsi post-laurea e master SDA Bocconi e 24ore Business School. Ho studiato Giornalismo, ho scritto per parecchi anni per il quotidiano IL TEMPO. Le doti nell’ambito della Comunicazione le ho acquisite soprattutto “sul campo”: durante i miei anni al TEMPO, partecipavo a congressi, convegni, ho intervistato molte persone note nel settore della cultura, economia, politica, etc. Sono giornalista (iscritta all’Ordine Nazionale giornalisti, ci tengo a specificarlo perché molti dicono di essere giornalisti senza essere iscritti all’Albo e non lo trovo giusto), Communication Specialist in un Istituto di Credito di Roma. Ho ricoperto anche il ruolo di Vicepresidente universitaria e anche in quel caso, la conoscenza della Comunicazione e Relazioni Istituzionali è stata un elemento rilevante. Ho studiato anche Comunicazione politica.
Chi è
invece Valentina Donna al di là del tuo lavoro e dell’essere una giornalista e scrittrice?
Cosa puoi raccontarci di te e della tua quotidianità?
Sono una persona estremamente curiosa, con tante passioni diverse. Per quanto riguarda la mia quotidianità, il riferimento al lavoro è d’obbligo, in quanto lavoro tutto il tempo. Al di fuori del lavoro, amo viaggiare e soprattutto aiutare gli altri, i più deboli. Mi occupo anche di beneficenza.
Quando
scrivere ha fatto “irruzione” nella tua vita? Chi ti ha trasmesso questa
passione?
La scrittura è
talmente parte di me che non ricordo con precisione quando scrivere abbia fatto
"irruzione" nella mia vita. In realtà, forse, c'è sempre stata. Io
credo che ognuno nasca con un dono, con un talento, e questo è il mio. Ovvio, poi la
passione diventa approfondimento, lettura, conoscenza e con il tempo si
trasforma soprattutto in consapevolezza ed interiorizzazione di un proprio
stile di scrittura. La passione mi è stata indirettamente trasmessa dai tanti
libri che ho letto. E poi, al liceo, durante le lezioni sono rimasta
profondamente colpita dalla vita e dalle opere di molti autori della
letteratura latina, italiana, inglese, francese e tedesca. Ho frequentato
l'Istituto "Sacro Cuore" di Trinità dei Monti a Roma (che
sviluppa una cultura di relazioni ispirata a una tradizione cristiana,
umanistica, liberale e democratica condivisa), un piccolo "tesoro"
immerso in un parco enorme che si affaccia direttamente sulla scalinata di
Piazza di Spagna, proprio accanto alla “Casa museo” del mio poeta preferito,
John Keats (un vero appartamento che, tra il 1820 e il 1821, ospitò il poeta
inglese e il suo amico Joseph Severn. È proprio lì che il 23 febbraio 1821 John
Keats morì, a soli venticinque anni, nella sua stanza affacciata su Trinità dei
Monti). È stato fonte di ispirazione, oltre che ovviamente molto formativo,
assistere alle lezioni di letteratura latina, italiana, inglese e francese in
un contesto di tale bellezza che custodisce da secoli meraviglie quali il
chiostro, la chiesa, gli affreschi di Daniele da Volterra, due anamorfosi
affrescate sui corridoi della clausura, l’astrolabio, il refettorio dipinto dal
gesuita Andrea Pozzo, la cappella di Mater Admirabilis e tutta la natura
intorno. E durante il liceo ascoltavo, incantata, le lezioni di letteratura
latina, in particolare, Cicerone, Catullo, Omero, Seneca, Fedro, Sant’Agostino,
Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Virgilio, etc.; di letteratura italiana, il
Dolce Stil Novo, ma soprattutto il romanticismo italiano, Ugo Foscolo, Giacomo
Leopardi, poi, Nicolò Machiavelli, Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, Luigi
Pirandello, Italo Svevo, Umberto Saba, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo,
Eugenio Montale. Per quanto riguarda la generazione degli anni Trenta, ho amato
e amo Alda Merini.
Ascoltavo,
incantata, anche le lezioni di letteratura francese (in lingua francese, grazie
a una Professoressa, Barbara Bottari, che mi ha trasmesso l’amore per la
cultura): e così, ero sempre più curiosa della vita, dello stile, delle opere
di autori come Molière, favole, racconti e riflessioni di La Fontaine,
Perrault, La Rochefoucauld, Voltaire, Montesquieu, Hugo, Balzac, Stendhal, ma
soprattutto i “Poeti maledetti”, Baudelaire e poi, Jacques Prévert, Marcel
Proust, Jean-Paul Sartre, Antoine de Saint- Exupéry.
Ho
amato e amo la letteratura inglese, come già scritto sopra, Keats, Byron,
Shelley, William Shakespeare, John Milton, Laurence Sterne, Jane Austen, le
sorelle Brontë, Virginia Woolf, Kipling, Hemingway e soprattutto James Joyce.
Amo molto anche Goethe. "I dolori del giovane Werther" è il mio
romanzo preferito.
Insomma, questi studi non hanno fatto altro che alimentare e poi far esplodere in me l’amore per la lettura e la scrittura.
Quali sono i tuoi giornalisti di
riferimento?
Oriana Fallaci. Mi hanno colpito le parole con cui un giornalista l'ha descritta in un articolo che ho letto: "Una donna che, in un mondo molto diverso da quello di oggi, ha scelto di essere pienamente sé stessa. Di dedicare sé stessa alle guerre degli altri, di non piegarsi ad alcun credo senza prima averlo posto sotto una lente d’ingrandimento. Di essere, prima ancora che una giornalista e una scrittrice (o, come si sarebbe definita lei, una scrittrice prestata al giornalismo), una donna. Semplicemente una Donna, qualunque cosa questo debba significare".
L’incipit della prima pagina del
romanzo "Zucchero filato" recita: «Sono quella che preferisce leggere un romanzo o scrivere, / piuttosto
che uscire la sera. / Sono quella dai sentimenti autentici, / che se mi scappa
una lacrima tra la gente, / non mi vergogno di nascondere l’anima. / Sono
quella che troverai in un caffè del centro / intenta a leggere un libro. / Sono
quella che osserva la gente intorno, / perché uno scrittore deve, prima di
tutto, / essere un ottimo osservatore. / Amo soffermarmi sullo sguardo delle
persone per strada, / ascoltare le loro parole, mi incuriosisce la vita
preziosa di ognuno. / “E chissà, poi, forse ciò diventa spunto per una poesia o
un elaborato in prosa”. / Sono quella che ha vissuto l’inferno, / e grazie alla
scrittura lo ha trasformato in poesia, / in un dono d’amore per l’altro. /
Perché possa rispecchiarsi nelle mie parole, / trovare la forza e la speranza,
come ho provato a fare io. / Perché il dolore fa male / ma se lo comunichi in
una poesia, / vuol dire che il dolore stesso non è stato poi così inutile. /
Allora, ben venga l’inferno, / non voglio un’anestesia che addormenti la
sofferenza. / Che le mie parole e i miei libri possano nel mio piccolo / dare
speranza agli altri. / Altrimenti, / la mia è una vita inutile» (Valentina
Pelliccia). Come mai hai scelto questi versi? Cosa vuoi dire con queste parole
al visitatore del suo profilo? Qual è il senso di questo incipit in versi che
vuoi che arrivi al lettore delle tue pagine pubbliche?
Ho semplicemente descritto me stessa e il ruolo che per me ricopre la scrittura. La scrittura forse ha una funzione quasi "terapeutica" perché fa emergere tutto ciò che è nel tuo inconscio (anche se questo libro, come già affermato, non è autobiografico). È un grande atto di coraggio ma è fondamentale, credo, per elaborare e superare ciò che ci ha fatto soffrire. Poi, se il dolore è stato forte e rimane lì, fermo, nella tua testa e non lo trasformi invece in risorsa, vuol dire che non è servito a niente. Ed è un peccato perché dai "moti dell'animo più struggenti" sono nate le più belle opere d'arte (per arte intendo tutte le forme d'arte, compresa ovviamente la scrittura).
Com’è nata l’idea di questo libro e di
cosa parla?
Nel 2004, a soli diciassette anni,
proprio durante l’ultimo anno di liceo, “fresca di studi”, ho iniziato a
scrivere il mio primo romanzo, “Zucchero filato”, con il quale ho partecipato alla
VII Edizione del Premio Nazionale di Narrativa “Valerio Gentile” (con una
giuria composta da persone importanti del mondo della cultura, professori
universitari, scrittori, giornalisti). Il libro si è classificato al primo
posto ed è stato, per tale motivo, pubblicato dalla Casa editrice Schena. In
seguito, è stato distribuito dalle maggiori Case editrici, Mondadori,
Feltrinelli, etc. Sono venuta a conoscenza del Premio Nazionale di Narrativa
per caso, tramite web. Anzitutto, mi sono informata su chi fosse Valerio
Gentile, perché il Premio era ed è intitolato alla sua memoria. E mi è venuto
da piangere. Sono scoppiata in lacrime. Valerio Gentile era un ragazzo, un
poeta, appassionato di studi umanistici, che fu trovato morto il 14 marzo del
1993, a diciassette anni (avevo anche io diciassette anni e questo fatto mi
colpì molto), a Fasano, nei boschi in zona ‘Monacelle’ con il cranio sfondato a
pietrate, a faccia in giù. Dalle indagini ho appreso che si è trattato di un
delitto a sfondo sessuale. Purtroppo, il caso è rimasto senza colpevoli. Il
padre (Nicola ) e la madre hanno deciso di fondare il Centro Studi,
l’Associazione Culturale e questo importante Premio Nazionale di Narrativa. La
vicenda mi scosse molto e, a tal proposito, ti svelo una confidenza: con questo
libro io ho voluto principalmente, nel mio piccolo, cercare di dare
indirettamente un messaggio di speranza anche ai genitori del ragazzo, pur non
conoscendoli. Una famiglia è a pezzi, distrutta, presumo, dopo un lutto del
genere. Loro sono riusciti a mettere da parte questo dolore atroce (per quanto
si possa mettere da parte, data la gravità del fatto) e a creare un grande
progetto dal punto di vista umano e culturale, in memoria del figlio. Inoltre,
hanno creduto nel talento dei giovani e lo hanno portato avanti dando loro
l’opportunità di essere letti, giudicati e premiati da una giuria di persone di
alto livello culturale. E poi, Valerio Gentile amava scrivere: i genitori, con
questa iniziativa, hanno portato avanti il valore e il sogno del figlio.
“Zucchero filato” nasce così. Vuole essere un
piccolo raggio di luce anche quando si è immersi nel buio più totale. Vuole
essere anche il simbolo della purezza (da qui il titolo, fanciullesco,
“Zucchero filato”) in una società, questa, spesso piuttosto marcia e priva di valori.
Il mio libro tratta principalmente
il tema della violenza psicologica e sessuale per questo motivo: si parte da
una condizione rosea vista dagli occhi di un’adolescente (Colette, la
protagonista) per avvicinarsi sempre più al dramma vero e proprio, la violenza.
Dopo quest’ultima, Colette riuscirà, pian piano, a ritrovare la forza in sé
stessa. È proprio questa alternanza “condizione rosea e violenza sessuale” che,
nel complesso, sottolinea e rende più forte il messaggio di speranza finale.
Come ha affermato il Professor
Pietro Magno: “La struttura di "Zucchero filato", infatti, ricorda
le cadenze tipiche della tragedia classica. Come
modello narrativo questo romanzo di Valentina Pelliccia ricorda il quarto libro
dell’Eneide di Virgilio, in cui l’evolversi dello sfortunato e, soprattutto,
impossibile amore di Didone verso Enea è presentato secondo le cadenze tipiche
del dramma”. E poi, ha aggiunto il Professor Magno: “Sono i motivi per cui questo
romanzo riesce a pervenire al simplex et unum oraziano (Ars poet,23),
condizione ancora valida per stabilire quanto un’opera risponda a canoni di
compattezza”.
A distanza di molti anni il mio romanzo, "Zucchero filato", continua ancora a vincere prestigiosi Premi di Narrativa Nazionale, come a esempio, ad agosto 2020 il Concorso "Tre Colori". ideato da Ermete Labbadia.
La tua attività social di giornalista e scrittrice la
realizzi attraverso i tuoi Blog Facebook e Instagram in particolare, dove vanti
centinaia di migliaia di follower. Ti va di raccontarci della tua attività
professionale social? Quando hai pensato di realizzare i tuoi profili, quale
l’idea che ha concepito questo progetto social, quali gli obiettivi che
ti sei posta, quali i destinatari che hai immaginato, quali i risultati
ottenuti, quali i successi e quali i fallimenti che hai vissuto? Insomma,
raccontaci di questa tua bella avventura di divulgatrice culturale,
giornalistica e social molto seguita.
Ho
cercato, nel mio piccolo, di attuare una vera e propria rivoluzione del mondo
dei social. La rivoluzione è provare a far approdare sana informazione,
cultura, confronto, valori e soprattutto autenticità su social come Instagram e
Facebook. Quello che sto provando a fare io. Di recente ho anche creato una
piccola Community con il nome "Hashtag Cultura", proprio per
unire un termine attuale alla sostanza, ossia la cultura.
Forse è stato proprio questo "approccio autentico e
sano", costruttivo, che mi ha fatto raggiungere alti risultati, fino ad
arrivare a 700 mila visualizzazioni di un mio solo post su LinkedIn.
Non conta il numero di follower, ma le interazioni: ciò che la gente ti scrive, ciò che la gente apprezza e ciò che ti vuole comunicare.
A tal proposito, quale funzione
credi debba assumere la figura dell’influencer?
Gli influencer hanno un
grande potere in mano: la possibilità di essere seguiti da milioni di persone.
Se riuscissero a usare bene questo potente mezzo (Internet) per finalità non
solo autoreferenziali, bensì come risorsa per divulgare contenuti più di spessore,
sarebbe già una grande rivoluzione. Consideriamo anche l’aspetto della sana
informazione a 360°: personalmente preferirei assistere a dibattiti e contenuti
più rilevanti rispetto a quelli che normalmente vengono diffusi, a esempio, su
Instagram o TikTok.
«Io vivo in una specie di fornace di affetti, amori, desideri,
invenzioni, creazioni, attività e sogni. Non posso descrivere la mia vita in
base ai fatti perché l’estasi non risiede nei fatti, in quello che succede o in
quello che faccio, ma in ciò che viene suscitato in me e in ciò che viene
creato grazie a tutto questo… Quello che voglio dire è che vivo una realtà al
tempo stesso fisica e metafisica…» (Anaïs Nin, “Fuoco”
in “Diari d’amore” terzo
volume, 1986). Cosa pensi di queste parole della grandissima scrittrice Anaïs
Nin? E quanto l’amore e i sentimenti così poderosi sono importanti per te e
incidono nella tua scrittura, nella tua arte narrativa e nel tuo lavoro?
Il
concetto è molto semplice: ciò che rileva non è solo l'andamento obiettivo dei
fatti, bensì ciò che la mente (e l'anima) percepisce. Anzi, soprattutto nella
scrittura rileva più l'interpretazione personale ed emotiva che quella
oggettiva.
L'amore è tutto ma, nel mio caso, la mia concezione d'amore non ha nulla a che vedere con la concezione d'amore di Anaïs Nin.
«… mi sono trovato più volte a
riflettere sul concetto di bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…)
ripetere in proposito quanto rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il
tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede,
non lo so.”» (Umberto Eco,
“La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp. 5-6). Per te cosa è la
bellezza? La bellezza letteraria e della scrittura in particolare, la bellezza
nell’arte, nella cultura, nella conoscenza… La bellezza che si osserva nella
via quotidiana. Prova a definire la bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa
a riconoscere la bellezza secondo te?
La bellezza non si può definire. Non può essere ingabbiata in una definizione. Così come l'amore, il tempo. Sono concetti astratti, metafisici, soggettivi.
«Un giornalista è la vedetta sul ponte
di comando della nave dello Stato. Prende nota delle vele di passaggio e di
tutte le piccole presenze di qualche interesse che punteggiano l’orizzonte
quando c’è bel tempo. Riferisce di naufraghi alla deriva che la nave può trarre
in salvo. Scruta attraverso la nebbia e la burrasca per allertare sui pericoli
incombenti. Non agisce in base al proprio reddito né ai profitti del
proprietario. Resta al suo posto per vigilare sulla sicurezza e il benessere
delle persone che confidano in lui.» (Joseph Pulitzer, “Sul giornalismo”, 1904). Cosa è, secondo te, il
giornalista oggi? Cosa pensi della definizione che ne dà Pulitzer nel suo
saggio vista da una giornalista che vive nel Ventunesimo secolo?
Penso che il giornalismo dovrebbe
essere questo descritto nella frase del 1904. Io sono una fautrice del valore
della parola e, come tale, come giornalista, cerco di tutelarla al massimo. E
concepisco il giornalismo quale autentica descrizione dei fatti, quasi come
missione, a prescindere dal reddito e da condizionamenti dall'alto. Questo
concetto l'ho espresso in un mio articolo per Il Messaggero. «È una parola importante, libertà, senza la quale si
potrebbe anche dire che “non c’è giornalismo”. Sono due termini che contaminano
e sviluppano. Il modo di fare informazione cambia, così come cambia il concetto
di libertà. Essa è il presupposto del giornalismo», queste le parole con cui Vittorio Roidi, Presidente
della Federazione nazionale della stampa dal 1992 al 1996 e Segretario
dell’Ordine nazionale dei giornalisti fino all’anno 2007, si è espresso nel suo
corso “La libertà”. L’essenza del giornalismo è ricerca, scoperta, acquisizione
di notizie, è analisi critica. La professionalità di un giornalista si esprime
nella capacità di porre in condizione il cittadino-lettore di formare i suoi
giudizi, creare o verificare le sue verità. Il giornalismo è storicizzazione
della quotidianità. Occorre interpretare la società che cambia e i bisogni
informativi emergenti, soprattutto in un periodo come quello attuale nel quale
la complessità dei fatti esige una completezza di informazione.
“Libertà significa
capacità di porre domande, non soltanto possibilità di ricevere risposte. E non
ci si può illudere che l’aumento generale delle informazioni a disposizione
dell’individuo porti necessariamente a un aumento delle sue conoscenze; sicché il
rischio è forte che questa così chiamata società dell’informazione si riveli
una società della disinformazione e dell’ignoranza” (“Studiare da
giornalista. Teoria e pratica”, Volume 1, a cura di Gianni Faustini, Sergio
Lepri e Silvano Rizza).
Assistiamo a una
proliferazione dell’offerta di informazione sempre più in aumento, ma che
rimane in gran parte inutilizzata; dall’altra parte, a una domanda di
informazione che cresce anch’essa, ma che rimane in buona parte insoddisfatta.
“È evidente che le nuove tecnologie hanno portato a un aumento eccezionale della produzione di informazioni, senza che i produttori si siano resi conto degli effettivi bisogni del mercato. Si possono supporre le ragioni del fenomeno: la manipolazione delle fonti del messaggio, l’insufficienza dei media di mediare tra la fonte e il destinatario (scelta dei contenuti, oscurità del linguaggio, ignoranza dei meccanismi psicologici della lettura o dell’ascolto), la difficoltà del fruitore di gestire l’informazione in un tempo di fruizione che rimane limitato nell’arco della giornata”, come riportato da Sergio Lepri.
Se per un momento dovessi pensare alle
persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno aiutato significativamente
nella tua vita professionale e umana, soprattutto nei momenti di difficoltà e
di insicurezza che avrai vissuto, che sono state determinanti per le tue scelte
professionali e di vita portandoti a prendere quelle decisioni che ti hanno
condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi sogni, a chi penseresti? Chi sono
queste persone che ti senti di ringraziare pubblicamente in questa intervista,
e perché proprio loro?
Mia madre.
Ci parli dei tuoi imminenti e prossimi
impegni professionali, dei tuoi lavori in corso di realizzazione? A cosa stai
lavorando in questo momento? In cosa sei impegnata che puoi raccontarci?
A breve uscirà un'Antologia di poesie. Spero di pubblicare presto un romanzo molto importante per me.
Dove potranno seguirti i nostri lettori e dove potranno seguire le
tue attività?
Possono seguire le mie attività sui miei canali social, giornali,
radio e tv.
Valentina Pelliccia: Facebook 1 | Facebook 2 | Instagram
Valentina
Pelliccia, “Essenze d'Autore - Zucchero
Filato”, Casa Editrice Pagine, 2024