Venerdì 15 dicembre 2023 sarà disponibile il videoclip de “Il futuro si fa attendere” (Overdub Recordings) dei Stanislao Sadlovesky, secondo singolo che anticipa il disco d'esordio “Il declamatore”.
“Il futuro si fa attendere” è un brano caratterizzato da parole uomo vitruvianiche scolpite nella ruota del tempo. Il paragone col passato. La fatica del presente. È un tappeto elettronico tornato ad avvolgerci. Elettronica portatrice sana di indefinizione, contorni sfocati e riverberi alienanti.
Commenta la band a proposito del brano: “É la musica trasportata e trasmessa dalla sonda interstellare Voyager durante il suo viaggio di ritorno. Il futuro diventerà presente e, per allora, sarà già passato. È lo sgambetto delle aspettative. Il futuro è veramente tale o è un falso mito?”.
Il videoclip de “Il futuro si fa attendere”, ideato dai Stanislao Sadlovesky (Massimo Cavasin ed Alessandro Lazzarin) e realizzato tecnicamente da Alessandro Lazzarin, rispecchia visivamente il relativo brano: nell’attesa del futuro tentiamo di ingannare il tempo. Siamo astronauti che galleggiano nello spazio, palloncini che aspirano ad un’ascesa verso il cielo, palombari inghiottiti dalle acque profonde ed oscure, mongolfiere rispedite al mittente, scommettitori, chiromanti e anime speranzose. Il rischio è che il tempo sia più furbo di noi. Il futuro è blu.
Biografia
Stanislao
Sadlovesky. Un'entità ontologica emerge intermittente dall'oscurità, come lampi
di magnesio portatori di codici semantici e lessicali altri. Non ha volto, non
ha collocazione geografica o anagrafica. È la voce interiore che si colloca tra
il metapensiero e il reale, un'allucinazione acustica ipnagogica. Viene da un
mondo con cicli solari velocissimi e stagioni dispari, modulate su interferenti
flussi di coscienza a più livelli. Domina un senso di sovvertimento di tutte le
leggi semantiche e di natura. L'impressione è di conversare con il je est un
autre di Rimbaud, osservando le albe di una città a due soli mentre l'asfalto
suppura delle rivolte dei vivi, o dei morti che si credono vivi, in una danza
macabra ematica. Il cranio viene infilato tra due elettrodi che funzionano come
casse sintonizzate su due canali audio divergenti, declinando i pensieri in
modi e tempi differenti. Ed ecco che poi il lessico familiare si fa
sottolinguale, una sorta di filastrocca autistica, dipanata tra i denti
all'inizio di un giorno già finito. Stanislao è un viaggio sonoro, visivo e
sinestetico che ci lascia attoniti, stralunati, altrove, con la corteccia
cerebrale avvolta nel nastro isolante. Echi sonori sembrano provenire da
galassie sconosciute, forse già collassate.
Arrivano come un'onda gravitazionale in differita. È una nuova
declinazione (o deviazione) di teatro distopico che spiega se stesso, ogni
volta diversamente, senza necessità di esegesi, semplicemente esistendo.