Biagio Botti: “La musica implica il dover soffrire, lottare, curare”. L’intervista



Oggi la blogger e critica d’arte Giulia Quaranta Provenzano, in occasione della recente uscita del libro “Senza Musica” [clicca qui], ci propone un’intervista a Biagio Botti. È possibile visionare il profilo IG del cantante, musicista e scrittore cliccando qui.

Ciao Biagio! Il tuo libro recentemente edito si intitola "Senza Musica", dunque ti chiedo se ci racconti un po' della sua genesi e con quale intenzione lo hai pubblicato. “Ciao Giulia! L’idea di scrivere e di pubblicare il libro SENZA MUSICA è nata tempo fa… ho sempre pensato che i miei testi – o, almeno, alcuni di essi – potessero stare molto bene anche, appunto, senza una base musicale. Una volta confidato ciò alla compositrice e saggista milanese MariangelaUngaro, la quale già conosceva i miei lavori, è stata lei che mi ha spronato a realizzare il suddetto progetto editoriale… è stata infatti proprio Mariangela che mi ha invitato a inviare il materiale da me appuntato alla Pluriversum Edizioni. I miei scritti, poi, sono risultati interessanti all’attenzione dell’editore Antonio Di Bartolomeo e quindi il tutto è stato stampato”.   

È stato affermato che in "Senza Musica" – cito – c'è tutta una vita... la tua vita da cantautore e poeta nonché da figlio, amante, uomo. Ebbene, come descriveresti attualmente la tua personalità in ognuna delle sopra menziona vesti e com'eri invece da bambino e da adolescente? “Nonostante il mio grande Amore per la musica, le esperienze negative che ho vissuto e la totale mancanza di riscontro altrui ma anche il mio complesso mondo interiore e le mie tenaci resistenze psicologiche – nonché il mio non scendere mai a compromessi – mi hanno portato ad avere un rapporto conflittuale con essa… tanto da starne senza per lunghi periodi di tempo. È la mia, con lei (ossia, per l’appunto, con la musica), una riconciliazione continua – ed esattamente come accade nelle storie d’amore importanti, c’è da soffrire-lottare-curare…”.

Riportando nuovamente cosa è stato scritto di te, a che cosa pensi che sia dovuto e a che cosa conduce l'essere una <<persona autentica e restia a compromessi persino con te stesso>>? Da alcune esperienze ben specifiche deriva invece il tuo essere <<schivo e di poche parole>>? “Sono arrivato a un punto della mia vita in cui la parola <<autenticità>> sta prendendo sempre più spazio in me, è molto di più dell’essere me stesso… voglio dire che, in ogni situazione della mia quotidianità, adesso desidero provare a essere autentico e non invece giusto. Giusto è un concetto collegato e derivante dalla religione, dalla società, dalle istituzioni e anche dalla famiglia – dipende da come queste vogliono che tu sia e ciò secondo le loro direttive, false, imperanti oramai da secoli (tutto, in esse, è preconfezionato e costruito per far stare buoni… e tale ingranaggio è talmente ben oleato, da millenni, che alle persone pare una bestemmia affermare il contrario). Io però sono molto polemico su tutto quello che è sistemico, affettato e strumentalizzato. Nell’autenticità, beninteso, c’è il bene e c’è il male – c’è tutto il “pacchetto” dell’essere umano, per essere chiari, eppure ora desidero ascoltare quanto arriva dal mio sangue o perlomeno ci provo e faccio ogni cosa che è in mio potere per non tradirmi (ché comunque, inevitabilmente, faccio parte pur’io del sistema)”.    

È stato sottolineato spesso che tu doni i tuoi pensieri più profondi a carta e penna e che, poi, li leghi alle note sul pentagramma. Ti chiedo dunque che cosa rappresenta per te la scrittura, così come la musica e l'arte più in generali e quale ritieni che sia il loro pregio e potere. “Il libro SENZA MUSICA contiene principalmente alcuni testi di mie canzoni, pensieri e poesie. Io sono schivo e di poche parole tant’è che, nelle relazioni con gli altri esseri umani, provo tanta difficoltà nell’esprimermi e questo vale da sempre… perciò davvero, per me, scrivere è un veicolo per comunicare e aprirmi un po’ – è una necessità seppure, altresì nelle e tra le righe, non sempre sono chiaro (ma perlomeno qualcosa si intuisce, spero)”.

 


Fattitaliani

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