Che cosa la mostra "Tutto quello che accade" ci dice di Lei come artista e come persona?
Tutto quello che accade è una mostra che ragiona su più livelli espressivi, tendendo la mano alla pittura che indirizza il mio sguardo "strabico" sulla complessità culturale di una piccola parte della Sicilia. Da molti anni mi interrogo sulla pittura, silenziosa eppure eloquente; una pittura che, nel mio caso, tenta di veicolare non un profilo rigido e definitivo dell'identità (sarebbe più opportuno dire sensibilità), ma una metamorfosi del pensiero sempre sul punto di ridefinirsi, una pluralità di possibilità dove far cadere ogni certezza.
C'è un tratto, una caratteristica che si potrebbe subito intuire come una sua cifra personale artistica?
Rifuggo da tutto quello che per definizione chiude e incasella ogni sapere dentro perimetri funzionali al sistema e, più in generale, al potere. Nessuna cifra personale dunque, almeno sul piano stilistico e visivo, ma certamente ciò che vado realizzando porta sempre il sapore ineludibile del mio stare al mondo, con i pregi, i vizi e le idiosincrasie a cui non ci si può sottrarre.
Qual è stato il suo primo approccio all'arte? Racconti...
Nella Rosolini degli anni Ottanta - così come in altre località affini sparse per tutta la penisola - la scoperta e la prospettiva delle cose da parte di un bambino passavano soprattutto per il contatto diretto con la natura, i riti millenari della tradizione, ma anche con la strada e il cemento, fino alla televisione. Dico questo perché il mio approccio all'arte è stato una risposta fertile a tutto ciò, uno spazio indipendente e intimo che mi sono ritagliato con l'ingenuità felice e mitica dell'infanzia. Nessuna mostra o museo o scuola, dunque, solo una innata attitudine a dare forma alle mie emozioni.
Qual è la sfida più grande oggigiorno per un artista: il mercato, il gusto del pubblico, la motivazione personale...
Ogni artista è abitato dal desiderio di ottenere tutto questo, indubbiamente. Egli cerca e si aspetta da parte del pubblico delle considerazioni che non capitalizzano solo in termini monetari. La sfida più grande è l'arricchimento culturale e umano che arriva dall'incontro con l'altro, sempre. Diversamente, ogni tentativo e gesto chiusi in sé stessi non hanno nessuna ragione di esistere.
Se dovesse definire l'arte con parole sue, che cosa direbbe?
Senza paura di banalizzare, l'arte è la possibilità di muoversi ancora nell'umano, qualunque sia il mezzo utilizzato, per estinguere il debito importante dell'indifferenza e dell'indifferenziato che abbiamo contratto con noi stessi e con gli altri.
Cosa le piacerebbe che i visitatori provassero dopo aver ammirato la mostra?
Al netto di quanto stiamo vivendo, mi piacerebbe che sentissero il piacere di dilatare il tempo, di fermarlo in qualche modo, di amplificarlo e di restituirlo alla propria vita come un dato fondante, un viatico, capace di cambiare il proprio sguardo sul mondo. Giovanni Zambito.
LA MOSTRA
Le venti opere, in mostra all'Auditorium San Vincenzo Ferreri di Ragusa Ibla, sono una selezione di dipinti e monotipi inediti che narrano un viaggio di andata e ritorno: quello dell’artista stesso che, dopo gli studi all’istituto d'arte, oltre alla Sicilia, ha attraversato parte dell'Italia per continuare a studiare a Bologna, dove è rimasto per vent’anni, riconoscendo tuttavia alla variegatura unica della sua isola e alle inevitabili contraddizioni che ne derivano la culla di molti degli archetipi che fino ad oggi costituiscono il suo immaginario pittorico e che ritroviamo all'interno della mostra.
La “pittura come luogo”, dunque, il tema inesauribile e complesso della Sicilia, visioni, parole, sentimenti, buchi di memorie e pure marginalità seducenti sono gli ingredienti dell’arte, per Blanco in perenne movimento. “Per un pittore la varietà del mondo è un destino, una benedizione, un vocabolario visivo infinito a cui può attingere a piene mani: ho scoperto che almeno tre quarti dei lemmi di quel vocabolario si trovano proprio in Sicilia. Tutto quello che accade è la narrazione parziale di un primo bilancio del mio ritorno in Sicilia: ogni immagine dipinta è il tentativo di mettere in cortocircuito questo fiume di parole”, racconta Blanco.
Il viaggio, dunque, sebbene svolto principalmente nella penisola, si consuma in Sicilia, per Blanco insularità biografica oltre che d'animo e riflesso di un rapporto che può virare da uno stato di abbandono e di amore viscerale al sentimento di rifiuto e di distanza senza mezzi termini.
Ciascuna opera è il racconto di un'esperienza, il fotogramma di una pellicola la cui narrazione apparentemente sconnessa altro non è che è il risultato del flusso di coscienza con cui l'artista ci presenta il paradigma di un’esistenza non sempre siciliana, ma di siciliano. Le immagini sono di natura molteplice, così come le tecniche che risultano altrettanto varie, giacché Blanco, amante e conoscitore della Storia dell’Arte, studia da sempre i grandi maestri anche attraverso la pratica attualizzata del loro modus operandi, caratteristica, questa, che connota fortemente l'intero suo lavoro.
La personale è corredata dal catalogo edito da Vanilla Edizioni - che sarà ufficialmente presentato in occasione del finissage dell'evento - arricchito da un testo dello scrittore Stefano Amato e da un altro dello stesso Giovanni Blanco.
Tutto quello che accade è l’incipit di un nuovo corso della Galleria Susanna Occhipinti di Ragusa.
La mostra inaugura il 3 Settembre alle ore 18.30 ed è visitabile tutti i giorni fino al 17 Settembre (dalle ore 11 alle ore 13 e dalle ore 17 alle ore 22, oltre che su appuntamento).
Auditorium San Vincenzo Ferreri, Ragusa Ibla, Via Giardino 1 (Ingresso libero)
Biografia
Giovanni Blanco è nato a Ragusa nel 1980. Si è formato presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Vive e lavora a Modica.
“Ogni mio progetto espositivo è sempre generato da un’esperienza diretta con la realtà, così da dare corpo a un canovaccio tematico. I soggetti delle opere si concatenano come parti di un immaginario poetico concepito per cicli narrativi, dove ogni singola immagine è pensata come un frammento di un discorso più ampio. Vivo l’esperienza della pittura come un mezzo e mai come un fine. Per me il quadro è un dispositivo aperto, portatore di sconfinamenti, attraverso il quale cerco di organizzare i pensieri che restituiscono la pluralità del mio sguardo.”