L’Italia è uno dei Paesi più longevi a livello europeo con una speranza di vita media di 83,4 anni, un indice di vecchiaia, risultato del rapporto tra persone over 65 e under 14, che nel 2023 ammontava a circa 193,1 anziani ogni 100 giovani.
Particolarmente elevato risulta anche l’indice di dipendenza, ovvero l’incidenza della popolazione non attiva su quella in età lavorativa, che, secondo gli ultimi dati Istat arriva al 57,4%, ormai superiore a quel 50% che segna il limite oltre il quale si registra una situazione di squilibrio generazionale.
La domanda di assistenza per le persone anziane e non autosufficienti è quindi in continuo aumento in Italia, e i caregiver familiari sono oggi oltre 7 milioni, più della metà dei quali (4,5 milioni) alle prese con la fatica di conciliare impegni di cura, lavoro e vita personale.
Di fronte a questo scenario, cosa possono fare le aziende per supportare percorsi di conciliazione lavoro-cura, anche come leva per trattenere risorse preziose per competenze ed esperienze?
Sono stati questi i temi al centro del convegno “Welfare aziendale e welfare di comunità: un’alleanza possibile?” organizzato oggi a Roma, presso la sede di Confedilizia.
L’evento organizzato da JOINTLY, B Corp italiana che accompagna le aziende nel disegnare soluzioni innovative per il benessere organizzativo, e la cooperativa sociale Anziani e non solo con il sostegno di Capitale umano per il Paese, è stato l’occasione per riflettere sul ruolo che il welfare aziendale e il corporate wellbeing possono avere nel supportare i lavoratori caregiver, alimentando sinergie con altri attori, come istituzioni e associazioni del territorio. Un’alleanza necessaria per costruire un welfare di comunità sempre più inclusivo ed efficace nell’offrire un aiuto concreto a chi si trova a gestire carichi di cura nei confronti di familiari anziani e/o con disabilità.
Un primo esempio concreto del welfare di comunità è stato Sollievo a domicilio, l’iniziativa attivata in collaborazione tra l’Unione dei Comuni delle Terre d’Argine, il Distretto sanitario di Carpi, la cooperativa sociale “Anziani e non solo”, JOINTLY e l’agenzia per il lavoro Umana che punta a sostenere, attraverso il coinvolgimento di aziende e operatori specializzati, i familiari di persone con disabilità e non autosufficienti per alleviarne il carico di cura.
All’evento hanno partecipato, insieme ad Anna Zattoni, presidente e co-founder di JOINTLY, la senatrice Annamaria Parente, direttrice dell'Osservatorio sulla crisi demografica della Fondazione Magna Carta, (che ha moderato i lavori) Fiovo Bitti, consigliere CNEL e coordinatore del Gruppo di studio ‘Lavoro di cura’, Andrea Zini, presidente Assindatcolf - Associazione datori lavoro domestico, Franca Maino, direttrice scientifica di Percorsi di secondo welfare, Federico Boccaletti, vicepresidente di Anziani e non solo, Maria Grazia Bizzarri, HR director di Italiaonline e presidente di Capitale Umano per il Paese, Carla Serafini, head of welfare & wellbeing Leonardo, Tiziana Mennuti, head of HR and legal affairs di RDS, Donatella Pugliese, head of people care, diversity&inclusion Italy di Enel, Stefano Gheno, presidente CdO Opere Sociali, Sabrina Tellini, responsabile area anziani e disabili di servizi sociali Unione Terre d'Argine e Loredana Ligabue, segretaria CARER - Associazione caregiver familiari.
In quest’occasione è stato anche presentato il libro “Un’alleanza possibile per la cura: welfare aziendale e welfare pubblico verso un welfare di comunità – Idee, esperienze, contributi e progetti” (a cura di Federico Boccaletti della cooperativa “Anziani e non solo”, edito da Maggioli) che, scritto a più mani, racconta esperienze e progettualità di collaborazione tra welfare pubblico e privato.
“Nell’attuale scenario – spiega Anna Zattoni, co-founder e presidente di JOINTLY - il welfare aziendale può giocare un ruolo chiave nel disegnare, in collaborazione con tutte le realtà che si occupano di assistenza, servizi e soluzioni utili a favorire la conciliazione tra impegni lavorativi, carichi di cura e vita personale. Grazie a questo tipo di iniziative, una strategia di corporate wellbeing è in grado di incidere in maniera efficace non solo sul benessere dei lavoratori caregiver, ma anche dell’organizzazione nel suo complesso. Allo stesso tempo, investire nel corporate wellbeing, puntando su un welfare che non offra solo sostegni di tipo puramente economico, ma anche iniziative di utilità sociale, rappresenta un elemento sempre più strategico per le aziende, per favorire l’adozione di modelli innovativi di gestione, alimentando al tempo stesso la capacità delle imprese di attrarre e trattenere talenti. Ed è proprio la componente di utilità sociale del welfare aziendale a renderlo un moltiplicatore di benessere, non solo per le aziende e i loro collaboratori, ma anche per il Paese nel suo complesso, grazie alla capacità di mettere a disposizione servizi, la cui offerta in ambito pubblico risulta spesso carente o di difficile accesso. È, quindi, importante valorizzare questa componente anche a livello legislativo, promuovendo agevolazioni fiscali che non si limitino al puro sostegno reddituale offerto dai fringe benefit”.
Se, infatti, anche solo il 30% di caregiver che lavorano in azienda (stima 1,5 milioni) potesse investire le risorse previste dal tetto massimo sui flexible benefit (ovvero 1000 €) in servizi assistenziali di qualità si potrebbe ottenere e un risparmio del 45% sulla spesa assistenziale a domicilio che oggi sostiene il sistema pubblico e che nel 2023 ha raggiunto i 3,313 miliardi di euro, secondo il Rapporto della Ragioneria dello Stato.
“Il welfare pubblico non può sostenere la crescita esponenziale dei bisogni assistenziali connessi alla non autosufficienza – ha dichiarato Federico Boccaletti, vicepresidente di Anziani e non solo - le funzioni ricoperte dai caregiver familiari sono essenziali nel sostegno emotivo e motivazionale e nel perseguimento della qualità di vita e dignità della persona assistita. Ma è altresì sostanziale che il caregiver abbia non solo riconoscimento sociale ma anche servizi ed interventi accessibili e di qualità mirati alla persona assistita e a supporto, sollievo ed empowerment del proprio ruolo. In questa direzione stanno agendo molte regioni italiane a partire dall’Emilia Romagna per potenziare e flessibilizzare servizi assistenziali e attivare nuovi servizi rivolti specificamente al caregiver come ad esempio servizi di ascolto, sollievo al domicilio, formazione continua, sostegno psicologico, sostituzione emergenziale. In questo contesto è essenziale da un lato sostenere e dare continuità e diffusione ai servizi rispondenti ai bisogni dei caregiver lavoratori, che ogni giorno cercano di conciliare la cura con il mantenimento della propria posizione lavorativa. Questa consapevolezza può essere la base di un nuovo patto che finalizzi verso tali priorità i benefit aziendali fiscalmente agevolati e inneschi un confronto sinergico e non episodico tra Enti locali e loro servizi da un lato e dall’altro le imprese come portatrici, anche attraverso proprie risorse, di una funzione volano di una nuova generazione del welfare rispondente alla trasformazione economica e sociale propria della società dell’invecchiamento”.
Nel corso dell’evento è stato presentato il Manifesto per una strategia condivisa tra welfare aziendale e welfare pubblico territoriale che risponda ai bisogni di cura dei caregiver che lavorano.
Promosso dall’Associazione Carer – Caregiver familiari ETS, il manifesto punta a sensibilizzare tutti gli attori a partire dai decisori politici a sostenere la collaborazione pubblico-privato in tema di assistenza a lungo termine puntando su servizi di “welfare aziendale” - fiscalmente agevolati- mirati alla qualità sociale, in ottica di complementarietà e sussidiarietà con servizi di welfare pubblico rispondenti a bisogni di cura.
L’identikit del lavoratore caregiver in Italia
Secondo gli ultimi dati Istat le persone di 15 anni e più che prestano assistenza almeno una volta a settimana sono oltre 7 milioni e nell’87,8% dei casi lo fanno nei confronti di un familiare.
Un carico di cura che coinvolge quindi molte persone, e in maniera impegnativa, come conferma anche la ricerca “Care4caregivers” condotta da BCG in collaborazione con JOINTLY ha analizzato un campione di 12mila dipendenti di aziende di diversi settori, dalle telecomunicazioni ai trasporti, dall’alimentare all’energia e al credito.
Secondo i risultati dello studio infatti, la maggior parte dei caregiver si occupa di genitori o parenti anziani e in un caso su 3 (31%) lo fa per più di 14 ore settimanali.
L’impegno prevalente non è di tipo socio-sanitario, ma soprattutto di compagnia e supporto nella gestione domestica, negli spostamenti, nelle attività. Una situazione che nella percezione di 8 intervistati su 10 è destinata a peggiorare. Un carico di cura che risulta di media particolarmente gravoso non solo dal punto di vista del tempo dedicato, ma anche delle risorse economiche necessarie, considerato che il 17% dei caregiver dichiara di spendere per la cura oltre 10mila euro all’anno, costi sostenuti personalmente in un caso su due.
Lo studio ha indagato anche le difficoltà percepite come principali da parte dei caregiver, che sono soprattutto il carico mentale e la mancanza di tempo, seguite dalla fatica fisica e dalle difficoltà finanziarie. Soluzioni di conciliazione e di supporto psicologico sembrano quindi essere gli strumenti più importanti per poter offrire un sostegno concreto ai caregiver familiari che, in più di un caso su due (il 56%) indicano come molto rilevante la necessità di poter staccare dal lavoro di cura, mentre più 4 su 10 ritengono necessario un supporto psicologico.
Dai dati emerge inoltre che la copertura del fabbisogno finanziario e di servizi da parte del pubblico non è sufficiente, dal momento che i sussidi previsti coprono mediamente non più del 5% della spesa sostenuta e solo 1 caregiver su 4 (il 25%) ricorre all’assistenza pubblica, mentre il livello di costi di strutture e servizi privati li rende inaccessibili a 6 caregiver su 10.
Esiguo risulta essere ancora il ricorso al welfare aziendale, la cui offerta di servizi viene sfruttata solo dal 3% degli intervistati. Tra le motivazioni di questo basso livello di utilizzo ci sono soprattutto la carenza di comunicazione rispetto ai servizi offerti da parte delle aziende e la non aderenza alle reali necessità dei lavoratori caregiver. Per questo diventa fondamentale mettersi in ascolto dei propri dipendenti per capire le reali esigenze e poter mettere a disposizione soluzioni efficaci in maniera efficiente. Tempo e flessibilità sono sicuramente i bisogni avvertiti come preminenti da chi si trova a gestire impegni lavorativi e carichi di cura con un 28% di loro che si trova costretto a chiedere un periodo di aspettativa e un 11% che sceglie di lavorare part-time.