1. Già a partire della citazione sul suo stato whatsapp, si intravede quanto la poesia circondi la sua vita. Da quanto tempo fa parte del suo essere e del suo mondo?
Nel mio primo
libro di poesie scrissi, presentando il libro, lo stato che lei ha letto sul
telefono: “La poesia è per me quel tempo interiore che riesce a volare”.
Parlai di tempo interiore non a caso, essendo fortemente convinta che il
“tempo” della poesia è il tempo dell’uomo, della condizione umana e il poeta
che si ascolta e si guarda vive del proprio tempo interiore.
Scrivere poesie è da sempre la mia vera vocazione ed è stata da subito un piacere e un bisogno, divenuti col tempo irrinunciabili. La poesia è la mia compagna di vita, la mia seconda pelle, la lente con cui guardo il mondo. Credo che sia un modo di essere, di stare al mondo. È per me, infatti, il tentativo di cogliere il senso più autentico delle cose e della vita. Nella premessa del libro ho ricordato l’inizio. Avevo 18 anni quando morì Montale e in quella circostanza lessi l’intera raccolta “Ossi di seppia”, innamorandomi perdutamente della poesia “I limoni”. È stato quello il momento in cui ho iniziato a scrivere versi. Trovavo affascinante quel linguaggio che, ancorato alla quotidianità, indagava in profondità la condizione umana. Quel suo particolare modo di raccontare la semplicità e, insieme, la complessità delle cose, non faceva che alimentare il mio rapimento, lo stesso che ho poi provato per i versi di tanti altri poeti, non solo italiani, che mi hanno permesso di entrare in un mondo per me nuovo e meraviglioso, un mondo che ho sentito subito mio. Da allora, ho preso a riempire i cassetti di fogli, di appunti, di poesie scritte di getto che tenevo gelosamente per me, fino a quando ho compreso che la parola, come la poesia, non appartiene più a chi la scrive, ma diventa di tutti.
2. Il sottotitolo del suo saggio spiega l'aspetto sotto cui la poesia viene vista. In che modo lo spiegherebbe sinteticamente a chi ha dimenticato come approcciarsi ai versi?
La poesia nasce nell’antichità come manifestazione del mito, concepito come rivelazione poetica dell’essenza del mondo. La parola poetica che nasce col mito è il primo tentativo dell’uomo di dare ordine al caos, tentativo che anticipa la visione razionale del mondo, da cui ha origine la filosofia e, in generale, la scienza. Se il logos, il pensiero discorsivo, consiste nel legare tra loro singole parole in frasi dotate di significato, le parole stesse, che sono la materia e la condizione del nostro pensare, nascono prima del lavorio della mente che le lega le une alle altre secondo le regole della logica. E la poesia nasce proprio come nominazione, come un fare primordiale che dà il nome alle cose e le rappresenta alla nostra coscienza. Il motore di questo “fare” è, come dico nel libro, un’intuizione, una scintilla, un atto originario della nostra coscienza che produce senso, che anticipa e rende possibile il pensiero discorsivo. Ecco perché ho riportato nel libro la celebre frase di Alain, secondo cui “ogni pensiero comincia con una poesia". La poesia, insomma, è pensiero emotivo, è pathos e, come afferma un grande critico, “è il pathos che fonda il logos”.
3. Nel suo percorso formativo quali poeti e poetesse hanno particolarmente lasciato il segno?
Ho già detto della fascinazione che provo per la poesia di Montale, che è stato il primo, anche se non l’unico, a sollecitare il mio demone poetico. Ad un altro grande, a Giuseppe Ungaretti, mi sento particolarmente debitrice, non solo perché molte sue poesie sono come lampi di luce che aprono squarci improvvisi nell’insondabilità della nostra coscienza, ma anche perché – questa ho sentito come una sua grande lezione – mi ha disinibito nell’usare parole e immagini nella mia poesia, il cui significato appariva e appare tuttora incerto anche a me stessa. Non provare imbarazzo per la propria ispirazione, per le parole che l’immaginazione fa affiorare misteriosamente alla mente e mette insieme anche senza un ordine comprensibile, e tuttavia con verità, la verità del cuore: ecco quello che, grazie ad Ungaretti, ho imparato a riconoscere in me e ad assecondare, nel mio itinerario poetico. Quel “segreto” che per lui è il connotato della vera poesia è tale anche per il poeta: è il segreto stesso del linguaggio, cui sfugge sempre, irrimediabilmente, la “cosa”. Amo particolarmente anche la poesia di Umberto Saba, per la chiarezza e l’apparente semplicità dei suoi versi, in cui profondità e verità marciano insieme. Trovo che i versi di Saba, il suo Canzoniere, siano un mirabile esempio di come l’ordinario, il quotidiano possano rivelare in realtà il senso profondo delle cose. Molto, inoltre, mi hanno colpito le poesie di Kavafis: la sua “Itaca” mi ha suggestionato a lungo, l’ho considerata una profonda lezione di vita che porto con me da quando per la prima volta l’ho letta, al punto che ne ho fatto il titolo di una mia stessa poesia. Ci sono poi poeti contemporanei che mi affascinano, con alcuni dei quali ho anche stretto rapporti di amicizia e di stima: sono troppi, tuttavia, e per me troppo importanti per potermela cavare con il solo nominarli.
4. L'arte e la cultura sono generalmente considerate poco rispetto al loro autentico valore. La poesia in maniera particolare. È così?
Oggi forse è così, viviamo in un tempo dove si privilegia l’ “utile”, ossia tutto ciò che è funzionale all’efficienza, all’ottimizzazione meccanismi di produzione dei beni e, soprattutto, delle informazioni, vero mantra della nostra epoca sempre più digitale. La cultura umanistica ne soffre: si guardi alla crescente disaffezione per la letteratura, alla progressiva compressione degli spazi che la scuola dedica alla storia, alla filosofia, alle lingue antiche (di cui peraltro è intriso il linguaggio della scienza!). Si paga un prezzo per questo; non ci si interroga più molto sugli scopi del nostro vivere e del nostro fare sempre più convulso; si resta concentrati sul cammino più che sulla direzione dei nostri passi e sugli effetti che essi producono. L’orizzonte del nostro sguardo sul mondo si restringe. La tendenza alla semplificazione, alla ricerca di soluzioni particolari, rapide ed economiche, nasconde la complessità dei problemi. Qualcosa, tuttavia, resiste al dominio della tecnica: la poesia ne è un esempio. Un tempo confinata in luoghi deputati – i libri, le lezioni scolastiche, gli incontri di lettura, le riviste specializzate – essa conosce oggi una più ampia diffusione, sebbene sotto altre forme. Di poesia, o quanto meno di suoi simulacri, sono pervasi alcuni dei nuovi linguaggi: i murales, le canzoni, i social media. Come per tutte le forme d’arte, anche per la poesia cambiano i mezzi e, con essi, i canoni espressivi. La maggiore facilità di diffusione permessa dalle tecnologie informatiche fa sì che oggi, paradossalmente, il numero dei poeti vada aumentando, anche se spesso, com’è forse inevitabile, a discapito della qualità della poesia stessa. Ma, anche scontando gli effetti di impoverimento dovuti ad un’inflazione incontrollata di sedicenti poeti – i critici e i maestri sono, non per caso, sempre più ignorati – questa diffusione multiforme è l’indizio di un bisogno incomprimibile dell’uomo di affidare alla poesia, o a ciò che le somiglia, il tentativo di conoscersi intimamente e di dare voce a quella parte di sé che non ha altro modo di esprimersi. Questo stato di cose, potremmo dire in ultima analisi, si potrebbe icasticamente rappresentare come una sorta di vendetta dell’ “inutile” – l’arte, la filosofia, la letteratura - verso ciò che sempre più, in questa nostra epoca, lo comprime.
5. C'è una cifra che i lettori possono rintracciare nelle sue raccolte?
Come per ogni poeta, anche nel mio caso la poesia nasce da un sentimento di insoddisfazione verso la realtà. Un sentimento che, ne sono consapevole, contribuisce a conferire un tono malinconico a non poche delle mie poesie. Ma questo senso di insoddisfazione, che immagino peraltro comune alla maggior parte degli uomini, non ha però solo una valenza malinconica. L’insoddisfazione di cui parlo fa anche trasparire una forma di nostalgia per alcune felici esperienze vissute non più ripetibili e, forse ancor più, per altre che vorrei o avrei voluto vivere, ma che ancora mi sfuggono. Dunque, essa è anche il frutto di desideri inappagati o che stentano a compiersi. Ed è anche altro. È, ad esempio, uno sprone a ricercare ciò che non si conosce; in questo senso, l’insoddisfazione diventa un pungolo che spinge a indagare, a sperimentare, a sapere ciò che è ancora ignoto, innanzitutto riguardo a se stessi; ad esplorare quel fondo oscuro della propria coscienza che fa fatica a venire in chiaro. È, in questo senso, una ricerca della propria identità. Infine, come affermo nel libro, è anche la ragione che mi spinge a protestare contro le ingiustizie del mondo, che dà a molti dei miei componimenti il carattere di poesia civile, una poesia che guarda all’umanità, ai suoi problemi e ai suoi drammi. Diversi, dunque, e ugualmente influenti sono i motivi ispiratori della mia poesia. Tengo però ad aggiungere che, quale che sia l’idea generativa che guida la mia penna alla ricerca di parole in grado di rappresentarla, questa ricerca non è mai definitiva, quell’idea non sarà mai espressa perfettamente, perché, per dirla con un grande poeta, “la parola non riuscirà mai a dire il segreto che è in noi”. Ma, aggiunge Ungaretti, “lo avvicina…”. E solo grazie alla poesia possiamo sfiorare questo segreto.
Domanda difficile. Un suo componimento che La ritrae in toto c'è?
Tutte le mie poesie sono manifestazioni del mio essere, del mistero di essere, ma se vogliamo citarne una forse “Itaca”, che ho già citato, è quella che racchiude il sentimento ambivalente presente in ciascuno di noi: da una parte il perenne bisogno dell’uomo di conoscenza, di oltrepassare un limite, di varcare una soglia, di esplorare l’ignoto e, insieme, inevitabilmente, l’apprensione che accompagna il viaggio stesso. Viaggio che tuttavia è irrinunciabile: è un destino. Il bisogno di avventura è antichissimo, così come il turbamento che suscita. Siamo animali migratori, condannati a girovagare, a cercare nuovi orizzonti per bisogno di conoscenza. Nel saggio ho approfondito questo argomento parlando della connessione, che è il filo conduttore di tutti i saggi, tra la ragione e il sentimento, un conflitto creativo che sollecita e pervade la poesia.
Itaca
Io
lo so
cosa
vuol dire avere un’Itaca.
È
una pace che non riesco
mai
a trovare.
La
cerco, eppure
resto
sempre sul bordo del mare.
Metà
del mio spirito
s’inclina
sulle onde per partire.
Metà
si ritrae per restare.
In
mezzo il mio Io
che
non sa scegliere.
Itaca,
mio sogno certo.
Sonia Giovannetti
SONIA GIOVANNETTI
Poetessa, scrittrice e critica letteraria, è vincitrice di numerosi concorsi letterari nazionali e internazionali. È stata insignita del diploma di “Poeta della Città ideale” dal Centro di Studi Danteschi. È membro di giuria di premi letterari e collabora a blog del settore. Fra le sue pubblicazioni: Ho detto alla luna (Aletti, 2012), Tempo vuoto (Tracce, 2013), Le ali della notte (Curcio, 2014), Un altro inverno (Kairós, 2015), Dalla parte del tempo e Pharmakon (Genesi, 2018 e 2021).
Libro vincitore del Premio “Nuove forme della Critica” alla 48^ edizione del Premio Letterario Casentino (2023).