Intervista a Pamela Luidelli, un'autrice combattiva



di Laura Gorini

Combatterò sempre per dire che dobbiamo amarci per come siamo, con i nostri difetti e i nostri pregi

Stavolta Pamela Luidelli ha voluto stupirci con il botto! Difatti dopo averci fatto trascorrere ore liete con “Un caffè per la vittima” e “Un caffè per l'assassino”, due deliziosi romanzi gialli, ora ha voluto lasciarci a bocca aperta con la pubblicazione di “Diretto all'Inferno”. Si tratta di un noir molto intenso ambientato nel mondo della Boxe.

Pamela ben tornata nel mondo dell'editoria! Dopo averci fatto divertire con “Un caffè per la vittima” e “ Un caffè per l'assassino”, ora ci vuoi fare passare una splendida estate con “Diretto all'Inferno”. A questo punto ci devi raccontare assolutamente la sua genesi!

Mi diverto molto a scrivere le avventure di Beatrice, ma ho voluto mettermi alla prova con un romanzo meno ironico. Mi è tornata in mente una scena della mia infanzia. Allora avevo un televisore in camera e quando non riuscivo a dormire lo accendevo di notte. Spesso trasmettevano gli incontri di pugilato, che io guardavo. Da lì è nata per un po’ la mia passione per il wrestling. Volevo scrivere di uno sport che in Italia è poco seguito, a differenza del calcio. E così quell’immagine di bambina è ricomparsa, forse era un segno del destino?

Per la copertina hai potuto contare sulle illustrazioni di un bravissimo disegnatore e fumettista, vuoi presentarcelo?

Potrei scrivere un intero capitolo su come ho conosciuto il disegnatore Diego Oddi, una persona eccezionale sotto tutti i punti di vista. Non voglio dilungarmi troppo su di lui, perché è una persona che non ama stare sotto i riflettori, ma posso dire che avrò la possibilità e l’onore di incontrarlo di persona a Roma. Gli sarò sempre grata per quello che ha fatto.

Inoltre hai anche la prefazione di un campione... In che situazione vi siete incontrati?

Adriano Sperandio lo considero non solo un campione, ma anche un grande signore. Mentre cercavo su internet qualcuno da contattare per fare qualche domanda, mi sono imbattuta in lui. Ho cercato di contattarlo e quando mi ha risposto lo stesso giorno mi è mancato quasi il respiro. Da lì è nata una bellissima amicizia che va oltre al libro. Proprio in una mia presentazione nella palestra RedGym di Fonte Nuova il 3 luglio ho avuto il grande onore di averlo al mio fianco e, devo ammetterlo, ero davvero emozionata in quel momento.

Lui ha parlato di grandi sacrifici per farcela nel mondo della boxe. Tu che cosa ami particolarmente di questo sport?

Forse vi stupirà, ma la boxe è un gioco di squadra. Questo è l’aspetto che mi ha colpito di più. Un pugile senza un team non andrebbe lontano, come lo scrittore. Entrambi abbiamo bisogno, in modi diversi, di persone che ci supportano, che ci aiutano a scoprire le nostre potenzialità e a non arrenderci mai.

Adriano ha deciso di inserire anche una frase di Nelson Mandela. Lui ha parlato della boxe e nel contempo di uguaglianza. Credi che lo sport possa davvero aiutarci, se vissuto nel rispetto di tutti, a concepirla e attuarla meglio?

Lo sport è molto importante, perché unisce le persone e fa bene al corpo e alla mente, se non si esagera. Quando si entra in un team sano si trova una famiglia che ti accoglie e ti fa crescere. Bisogna rispettare alcune regole e soprattutto il proprio avversario. Mi piacerebbe che in Italia si desse più spazio agli sport meno conosciuti e altrettanto appassionanti. Essere un atleta come uno scrittore richiede dedizione, tempo e fatica, è un lavoro a tutti gli effetti e andrebbe tutelato. Su questo c’è ancora molto da fare.


O ancora, può essere funzionale al gioco di squadra che oggigiorno, nonostante si dica il contrario, sul lavoro e nella vita in generale, non si esprime sempre al massimo?

Parlare di squadra oggi è difficile. È un tema delicato. Molti pensano che il nostro tenore di vita sia migliorato, ma io non sono d’accordo. Tutti vogliamo raggiungere il successo e se non ci riusciamo ci lasciamo prendere dalla gelosia e dall’invidia. Vogliamo la casa e la macchina di lusso e, soprattutto, vogliamo apparire! Nel lavoro se non si trova un team compatto con lo stesso obiettivo si rischia di creare conflitti e problemi. Trovo invece che in alcuni sport come la boxe, il tennis, la Formula 1, la scherma…e potrei continuare, ci sia la necessità di collaborare se si vuole imparare e arrivare in alto. Il singolo atleta non basta, come lo scrittore.

Tu hai mai sentito la necessita di indossare, anche solo metaforicamente parlando, i guantoni da boxe, per combattere?

Quando ho provato per la prima volta i guantoni mi sono emozionata tantissimo e se fossi più giovane sarei salita sul ring. Oggi come in passato posso dire che li indosso sempre metaforicamente. Combatto contro la mia sfortuna che mi perseguita senza tregua e anche se continuo a tirare diretti e ganci spesso vince lei. Ma da buona atleta non mi arrendo mai e continuo a combattere.

Per che cosa vale davvero la pena farlo per te?

Ci sono tanti motivi per cui vale la pena combattere: per salvaguardare la natura che ci ha regalato tante bellezze e che noi stiamo rovinando, per la famiglia, per il rispetto nel lavoro, per apprezzare la vita e dare meno importanza agli oggetti materiali. Combatterò sempre per dire che dobbiamo amarci per come siamo, con i nostri difetti e i nostri pregi.

 

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