Elena Orlando, giornalista e blogger siciliana che vive e lavora nella Capitale, si racconta | INTERVISTA di Andrea Giostra.
«Adoro scrivere ma solo dopo aver vissuto. Mi piace pensare che le parole che usiamo possano in qualche modo cambiare il mondo, lasciare un segno, far riflettere, salvarci.» (Elena Orlando)
Ciao Elena, benvenuta e grazie per aver
accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori che
volessero sapere di te quale giornalista e blogger?
Ciao a tutti, sono Elena. Vivo a mezz'aria, sogno ad occhi aperti, osservo con estrema attenzione ogni singolo dettaglio.
Chi è invece Elena Donna al di là
dell’essere una giornalista e blogger? Cosa puoi raccontarci di te e della tua
quotidianità oltre il lavoro?
Adoro scrivere ma solo dopo aver vissuto. Mi piace pensare che le parole che usiamo possano in qualche modo cambiare il mondo, lasciare un segno, far riflettere, salvarci.
Qual è il
tuo percorso accademico, formativo, professionale ed esperienziale che hai
seguito e che ti ha portato a fare quello che fai oggi nel vestire i panni
della giornalista e blogger?
Come giornalista ho cominciato collaborando col quotidiano La Sicilia, un gran bel giornale regionale e popolarissimo a Catania e in tutta la Sicilia orientale. Poi ho frequentato la scuola superiore di giornalismo della Luiss. Un vero e proprio perfezionamento professionale e l'incontro con tantissimi grandi nomi del giornalismo italiano. E poi varie collaborazioni che in qualche modo continuano ancora oggi.
Come nasce la tua passione per il
giornalismo, la scrittura, per i libri e per il lavoro che fai oggi? Chi sono
stati i tuoi maestri e quali gli autori che da questo punto di vista ti hanno
segnato e insegnato ad amare il giornalismo, le storie da scrivere e
raccontare?
Non vorrei apparire superba ma oggi più che mai mi ispiro a me stessa, al mio stile, al mio "sentire". Mi occupo principalmente di Spettacolo ma mi piace raccontare le persone. Dentro ogni persona ci sono mondi infiniti che non può esplorare chiunque. Ecco perché anche nei cosiddetti Vip, negli artisti di successo, nei personaggi famosi mi piace tirare fuori sempre l'aspetto umano, le fragilità, le esperienze più significative, ma sempre con estrema delicatezza e nei giusti modi. Se qualcuno si sente a disagio nel parlarmi di una certa cosa, passo subito oltre. Quando intervisto qualcuno in fondo è come fare un viaggio. La conversazione non sai mai dove ti porta.
Tu sei siciliana di Catania, ma vivi e lavori a Roma.
Cosa vuol dire per una Donna siciliana aver dovuto lasciare la propria terra
per lavoro? Cosa ti senti di dire ai ragazzi e alle giovani donne siciliane che
pensano di lasciare la Sicilia per gli stessi motivi? Cambierà mai qualcosa
nella nostra bellissima isola da questo punto di vista?
Essere siciliani, sembrerà banale, ma rappresenta un valore aggiunto. Noi siciliani abbiamo una marcia in più. Quando mi dicono di essere affascinante, in gran parte lo devo alla mia terra, anche se sono un mix tra Sicilia e Abruzzo, visto che mia mamma è di Chieti. Penso che la Sicilia sia come la Itaca di Ulisse. C'è un tempo per partire e uno forse per tornare. E comunque chi parte in realtà non se n'è mai andato.
«In una società in cui le parole sono usate anzitutto
nel loro valore emotivo, gli uomini non sono liberi. Sono schiavi spesso per
opera del demagogo che sa usare con astuzia i valori connotativi delle parole …
altre volte si è schiavi per una sorta di occulto patto sociale per cui certi
valori, che è scomodo sottoporre a critica, sono protetti da parole magiche,
che istintivamente connotano “positività”. Allora tutte le parole che
connotativamente vi si oppongono appaiono alonate di terribile e ampia “negatività”.
Quando una società è prigioniera di questi tabù linguistici, chi cerchi di
muovervisi criticamente è soggetto a esperienze tremende, prigioniero della
maglia di parole da cui sarà soffocato, personaggio kafkiano che infine non
riuscirà più a comprendere quali sia il potere che lo sovrasta.» (Umberto
Eco, “Sotto il nome di plagio”,
Bompiani ed., Milano, 1969). Cosa ne pensi di questa lucida analisi di Umberto
Eco che fece nel lontano 1969 e oggi quanto mai attuale? Qual è secondo te oggi
il valore della parola e quali i rischi terribili nell’usarla criticamente
contro il cosiddetto mainstream?
Le parole sono importanti, memorabile citazione morettiana. Ecco perché dovremmo sempre usarle con cura. Altrimenti diventano veri e propri strumenti di guerra. In fondo lo sperimentiamo ogni giorno. Di certe parole c'innamoriamo al primo ascolto, altre vorremmo subito dimenticarle.
«Quale sarà la condizione della società
e della politica di questa Repubblica di qui a settant’anni, quando saranno
ancora vivi alcuni dei bambini che adesso vanno a scuola? Sapremo salvaguardare
il primato della Costituzione, l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte
alla legge e l’incorruttibilità della giustizia, oppure avremo un governo del
denaro e dei disonesti?» (Joseph Pulitzer, “Sul
giornalismo”, 1904). Cosa ne pensi di questo parole di Pulitzer che scrisse
nel suo saggio sul giornalismo pubblicato nel 1904? In che stato di salute vive
oggi il giornalismo occidentale, secondo te?
Il giornalismo risente dei ritmi frenetici, del consumo immediato, del continuo bisogno di catturare per forza l'attenzione. Ecco perché una bella storia non fa notizia, ma piace solo il gossip scandalistico. Lo scoop vince su tutto. E se non c'è, spesso s'inventa.
«Un giornalista è la vedetta sul ponte di
comando della nave dello Stato. Prende nota delle vele di passaggio e di tutte
le piccole presenze di qualche interesse che punteggiano l’orizzonte quando c’è
bel tempo. Riferisce di naufraghi alla deriva che la nave può trarre in salvo.
Scruta attraverso la nebbia e la burrasca per allertare sui pericoli
incombenti. Non agisce in base al proprio reddito né ai profitti del
proprietario. Resta al suo posto per vigilare sulla sicurezza e il benessere
delle persone che confidano in lui.» (Joseph Pulitzer, “Sul giornalismo”, 1904). Cosa è secondo te il giornalista oggi?
Cosa pensi della definizione che ne dà Pulitzer nel suo saggio?
Bella e utopistica definizione. Spesso il giornalista oggi aderisce alla causa di tentare di risollevare le vendite e sul web tra titoli, titoletti e titoloni un po' una giungla. Perfino il retroscena non esiste più. Sembra più un romanzo di appendice o un fantasy utile solo a riempire le pagine. Ormai il gossip è entrato a gamba tesa anche nel giornalismo politico. E poi, per dirla con Leo Longanesi: "La libertà di stampa è necessaria soltanto ai giornalisti che non sanno scrivere". Mi sa proprio di sì.
«… mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto
di bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito
quanto rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me
lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”» (Umberto
Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp. 5-6). Per te cos’è la
bellezza? La bellezza letteraria e della scrittura in particolare, la bellezza
nell’arte, nella cultura, nella conoscenza… Prova a definire la bellezza dal
tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la bellezza secondo te?
La Bellezza è inequivocabile. Non passa mai inosservata. T'illumina, ti accende e ti lascia una straordinaria sensazione di serenità e armonia.
«La lettura di buoni libri è una conversazione con i
migliori uomini dei secoli passati che ne sono stati gli autori, anzi come una
conversazione meditata, nella quale essi ci rivelano i loro pensieri migliori» (René
Descartes in “Il discorso del metodo”,
Leida, 1637). Qualche secolo dopo Marcel Proust dice invece che: «La lettura, al contrario della
conversazione, consiste, per ciascuno di noi, nel ricevere un pensiero nella
solitudine, continuando cioè a godere dei poteri intellettuali che abbiamo
quando siamo soli con noi stessi e che invece la conversazione vanifica, a
poter essere stimolati, a lavorare su noi stessi nel pieno possesso delle nostre
facoltà spirituali. (…) Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L’opera
dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al
lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe
forse visto in sé stesso.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La
Renaissance Latine”, 15 giugno 1905 | In italiano, Marcel Proust, “Del piacere di leggere”, Passigli ed.,
Firenze-Antella, 1998, p.30). Tu cosa ne pensi in proposito? Cos’è oggi leggere
un libro? È davvero una conversazione con chi lo ha scritto, come dice
Cartesio, oppure è “ricevere un pensiero
nella solitudine”, ovvero, “leggere
sé stessi” come dice Proust? Dicci il tuo pensiero…
Per me leggere un libro è ogni volta fare un viaggio bellissimo, vivere un'altra vita, scoprire ogni volta nuove inedite e inesplorate parti di sé.
Se per un
momento dovessi pensare alle persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno
aiutato significativamente nella tua vita professionale e umana, soprattutto
nei momenti di difficoltà e di insicurezza che avrai vissuto, che sono state
determinanti per le tue scelte professionali e di vita portandoti a prendere
quelle decisioni che ti hanno condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi
sogni, a chi penseresti? Chi sono queste persone che ti senti di ringraziare
pubblicamente in questa intervista, e perché proprio loro?
Almeno un paio. Persone a cui devo soprattutto una
crescita umana e personale, professionisti che mi hanno davvero aperto nuovi
orizzonti. In primis, il Professor Giuseppe Giarrizzo. Ero talmente
giovane e inesperta che probabilmente non mi ero nemmeno resa conto del grande
maestro che è stato per me e per tanti e della fortuna che avevo avuto nel
poter ascoltare tutte le cose importanti che spesso mi diceva.
Nel giornalismo sicuramente Giorgio De Cristoforo, il primo ad aver notato la mia sensibilità e il mio "occhio particolare", il primo ad avermi dato spazio e ad avermi sempre incoraggiato. Andrea Pucci, maestro severo ma bravissimo, mi ha insegnato a essere sempre fedele alla notizia. A Filippo Ceccarelli devo un grazie per la straordinaria umanità e generosità dei suoi racconti e a Dario Laruffa per avermi insegnato con parecchi rimproveri come si fa un giornale radio.
Gli autori e
i libri che secondo te andrebbero letti assolutamente quali sono? Consiglia ai
nostri lettori almeno tre libri da leggere nei prossimi mesi dicendoci il
motivo della tua scelta.
"Il barone rampante" di Italo Calvino per il coraggio del protagonista ribelle, "Alla ricerca del tempo perduto" di Marcel Proust perché è un libro pieno di amore e dolore e dalle emozioni forti e "Sulla strada" di Jack Kerouac per lo straordinario slancio avventuriero. Ah, dimenticavo: "Il vecchio e il mare" di Hemingway perché insegna a non arrendersi mai anche quando si è soli contro un mare vasto e sconfinato. Ops, scusa, così però sono quattro!
… e tre film
da vedere? E perché secondo te proprio questi?
"L'attimo fuggente" perché lascia il senso dell'insegnamento, "Philadelphia" per come insegna ad affrontare il dolore e a lottare contro la malattia e la discriminazione con strema dignità, forza e coraggio e "Schindler's List" per non dimenticare.
Ci parli dei
tuoi imminenti e prossimi impegni professionali, dei tuoi lavori in corso di
realizzazione? A cosa stai lavorando in questo momento? In cosa sei impegnata
che puoi raccontarci?
Sto scrivendo un libro ma… Nessuno sa niente!
Dove potranno seguirti i nostri lettori e dove
potranno seguire le tue attività?
Sicuramente sul web!
Come vuoi
concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire a chi leggerà questa
intervista?
Non fermatevi mai al primo sguardo. Il bello è ciò che
scoprite quando restate a guardare.
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Andrea
Giostra
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