Elvis il Re del mondo. Intervista a Paolo Borgognone, autore della biografia "Io Elvis"



Intervista di Ilaria Solazzo.

La lingua usata dallo scrittore Paolo Borgognone è schietta, diretta, ironica e semplice: un poco come il protagonista della sua fatica letteraria, Elvis Presley. Al Re del Rock è infatti dedicato “Io Elvis”, testo biografico che arriva diretto nel cuore dei lettori. Forse anche un poco per merito del temperamento vivace dell’autore - un poco come tutti i romani - un animo speciale.

“Io Elvis" è un invito a mettersi comodi, sfogliando il libro mentre si beve un buon caffè e si scopre che, perfino quando si parla di rockstar, non siamo poi tanto diversi, ma simili. Ci accomunano i pregi e i difetti, i desideri e le idee. E, ancora di più, si realizza come costruire ponti che ci legano al mondo della buona musica.

Ciao Paolo. “Io Elvis” è un nuovo punto di vista sull'artista. Spiegaci...

Il libro raccoglie tante curiosità che ripercorrono il cammino della sua vita in bilico perennemente fra due mondi: quello delle origini - peraltro poverissime - e quello in cui è diventato uomo e soprattutto stella del firmamento della musica e del cinema. E' particolareggiato e ricco di notizie, curiosità, a volte anche sorprendenti.

L’ironia è un ingrediente importante tanto per Elvis quanto per te, quindi richiede una certa distanza ( emotiva, culturale, affettiva) dall’oggetto rappresentato. Per un italiano é questa la condizione migliore per raccontare il mondo di un artista mondiale?

In tutta franchezza posso dirti che lo scrittore per natura è un po' uno straniero, nel senso di estraneo: non dà per scontato il mondo intorno a lui, ma lo osserva con occhi approfonditi, capace di vederne le contraddizioni e raccontarle. Straniero anche nel senso della distanza, che è il miglior approccio per osservare, senza essere coinvolti o di parte. Chiariamoci, non tutti gli stranieri sono scrittori né tutti gli scrittori sono stranieri, ma il fatto di essere, in questo caso, non culturalmente conforme alle origini di Elvis Presley mi pone nella condizione di rimanere un po’ a metà tra due mondi. Non essere del tutto né da una parte né dall’altra, un po’ estraneo, quindi a distanza.

Uno dei pregi della letteratura del tuo libro quali pensi che sia? 

Ti rispondo in generale. Questo tipo di impegno permette di raccontare cose che non conosci. Non è un dare risposte, ma un porre domande: non solo al lettore, ma a se stessi in primo luogo. Quando lavori a un libro come questo, ti rendi conto veramente di ciò che hai scritto solo dopo, al momento della rilettura. E il processo continua anche oltre la pubblicazione. Solo ora, per esempio, capisco appieno il senso di certe cose che ho scritto e perché piacciano così tanto ai lettori e fans di Elvis.

Una domanda fuori dagli schemi: Nella tua vita personale o da scrittore, che rapporti hai avuto con le regole?

Qualcuno di molto importante disse: chi è senza peccato scagli la pietra. Le regole le ho infrante - in alcuni casi - soprattutto quando ero più giovane. Oggi diciamo che le osservo con una certa ironia e un poco di cinismo in più. Mi ci attengo... quasi sempre...

Torniamo al tuo libro che è, per me, un attento e positivo racconto della vita nel mondo di Elvis. Un tuo parere “a caldo” su questo personaggio...

Presley era un uomo molto gentile e divertente. Amava essere al centro dell'attenzione e sembrava gli piacesse che fosse sempre così in ogni luogo. Cercava in tutte le occasioni di essere simpatico o di dire qualcosa di intelligente per essere il Re della scena. I ragazzi intorno a lui lo adoravano. Le celebrità che erano nella stanza con lui invece spesso erano in soggezione. Alcuni lo hanno ammesso anche apertamente nelle loro interviste. C’è da credergli: quel signore non era uno qualunque, ma il Re! E comunque aveva un importantissimo lato umano, fatto anche di fragilità, come quelle che attanagliano tutti noi. 

«La musica è di proprietà dell'intero universo», ha detto il grande bluesman B.B. King in un'intervista del 2010, «non è un'esclusiva dell'uomo nero o dell'uomo bianco o di qualsiasi altro colore». Tu cosa puoi dirci?

Che sono pienamente d'accordo con lui, che peraltro con Presley ha lavorato molto. Anzi, si può dire che ne abbia ispirato almeno tutta la parte blues della produzione. Elvis era (e rimane) uno dei più grandi interpreti che siano mai vissuti e ha rappresentato un ponte tra la musica afroamericana e quella bianca. Non ne avesse altri, già questo sarebbe un merito capace di renderlo immortale. 

Uno degli elementi chiave per comprendere il successo di Elvis Presley è, naturalmente, la sua voce...e poi?

Non era un songwriter, l'autore dei brani che proponeva al pubblico: ma riusciva ad adattare il proprio timbro ai diversi generi che affrontava, country, rhythm and blues, rock’n’roll, gospel o canzoni melodiche e romantiche. E poi ha avuto un impatto gigantesco sulla cultura media americana ( e quindi su quella del resto del mondo). Ha fatto scoprire il pubblico dei giovani e gli ha dato voce. E’ questa la sua vera rivoluzione. Lo chiamavano, è vero, il «re del rock’n’roll», ma lui stesso dichiarò: «questo genere esisteva già molto prima del mio arrivo. Nessuno può cantare quella musica meglio degli afroamericani. Siamo sinceri: io non riesco a cantare come Fats Domino. Ne sono conscio”. Eppure come lo cantava lui….

Fattitaliani

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