di Francesca Ghezzani
Lorenzo Di Matteo nasce a Roma
nel 1979, si diploma al Liceo Classico e poi si laurea in Filosofia presso Roma
Tre. Da oltre vent’anni aiuta i ragazzi
a studiare e a organizzare la settimana o la sessione di studi; ha ideato il
Metodo di Studio “InterSUM”. Studia recitazione, appassionandosi dapprima allo
studio del “corpo dell’attore” con la Biomeccanica Teatrale di Mejerchol’d col
Maestro Bogdanov; poi decide di dedicarsi alla “voce dell’attore” con l’Arte
della Parola, diplomandosi con Paolo Giuranna. Scrive sia per il teatro, che
romanzi e racconti, alcuni di questi pubblicati o messi in scena nel corso
degli anni. È del 2018 il libro dal titolo “Bruno”, una raccolta di racconti
sul tema dell’amore, poi di recente il ritorno in libreria con “Il libro di
Gianni Fortuna”.
Nel 2018 ha debuttato con grande
successo a Roma, presso l’Altrove Teatro Studio, un suo monologo teatrale,
“Drumul”, da lui anche diretto, con l’attore italo-rumeno Marius Bizau. E
quest’anno, nello stesso teatro, è andato in scena un suo nuovo monologo con
l’attore Giorgio Carosi, “Novilunio”, di cui ha curato la regia.
Lorenzo insegna teatro dal 2012,
sia a adulti che a ragazzi e bambini coi suoi laboratori, e collabora con
diverse associazioni tra Roma, Viterbo (Compagnia Tetraedro) e Lucca (Tenuta
dello Scompiglio).
Lorenzolegge è il suo ultimo progetto incentrato sulla divulgazione della lettura e della Narrazione Teatrale.
Cominciamo dal
nome... Perché Lorenzolegge?
Mi piace raccontare, insegnare e divulgare cose belle.
Quindi Lorenzolegge mi è sembrato il nome più adatto per mostrare le mie
attività: “Lorenzo legge” è davvero quel che faccio da più di vent’anni.
Lorenzo, però, scrive
anche… parlaci del tuo ultimo libro.
Si intitola “Il libro di Gianni
Fortuna”; è una raccolta di racconti brevi e brevissimi che iniziano quasi
tutti con “C’era una volta…”. Il mio desiderio è stato quello di raccontare temi
profondi e archetipici con pennellate essenziali e vivaci. Per me leggere e
scrivere sono due fuochi che si alimentano l’un l’altro.
Quando è nata la
passione per la recitazione? C’è stato qualcosa che ti ha spinto verso questo
mondo?
Fu la mia psicoterapeuta di
allora (più di vent’anni fa) a insistere perché facessi teatro. Mi diceva che
un anno di teatro vale più di un anno di terapia. Ed è vero. Dopo il primo
laboratorio amatoriale rimasi molto colpito dal mondo della recitazione, della
regia e della drammaturgia. Quindi poi nei successivi dodici anni mi sono
formato fino a diventare un insegnante di Arte della Parola: questa è la
materia che mi ha segnato più profondamente. Oggi insegno teatro, ma più nello
specifico a “parlare in modo artistico”.
Dal tuo debutto in teatro a oggi: cosa è cambiato in te e nella tua arte e che cosa ti ispira in particolare?
Amo insegnare teatro. E mi piace
dire ai miei studenti che ogni gruppo teatrale ha l’obiettivo e la
responsabilità di portare in scena un testo teatrale. Quindi occorre sciogliere
i propri individualismi in un proficuo comunitarismo. Nei miei gruppi non
esistono prime donne o primi uomini: esiste un gruppo che lavora per mettere in
scena una storia. Nella mia arte è successo questo dagli inizi ad oggi: ho
maturato un forte rispetto verso la storia da scrivere, da raccontare, o da
mettere in scena.
Quali sono le
difficoltà, oggi, che un artista di teatro incontra per poter andare in scena?
E quali, invece, le soddisfazioni che poi spingono gli stessi artisti a
proseguire per la loro strada? Forse il rapporto con il pubblico in sala?
Gli applausi sono una gran bella
cosa: ti riempiono il cuore anche dopo una lunga fatica mal retribuita. Ma fare
teatro oggi è molto difficile. Io non faccio parte del giro grosso, del quale
fanno parte una cerchia ristretta di attori, drammaturghi e registi. Io lavoro
con le mie mani e le capacità mie e dei miei collaboratori. Fino ad oggi ho messo in scena due spettacoli
come autore e regista in cui credevo molto e mi sono adoperato al massimo per
questi due progetti. È probabile che ci saranno nuovi testi miei che in futuro vorrò
mettere in scena: al momento ho molte idee, ma nessuna ha preso il sopravvento.
Lavori su più fronti
con i giovani: per loro ha senso fare teatro oggi?
Ha un grandissimo senso fare
teatro per i giovani. Io lavoro principalmente con gli adolescenti e a volte mi
è capitato di assistere a grandi cambiamenti interiori a seguito di uno
spettacolo dopo un anno di laboratorio. Il teatro è nemico della superficialità
e dell’individualismo: o almeno questo è il mio modo di improntare i
laboratori.
Li segui anche nei
loro studi, vero?
Da più di vent’anni. Li aiuto di
pomeriggio, a casa, nel mio studio. A volte anche on-line. Mi definisco “tutor”,
anche se non esiste una professionalità precisa per questo ruolo in Italia. Li
aiuto a gestire il tempo, a studiare in modo efficace, a riemergere dalle
difficoltà, a gestire il rapporto con la scuola e coi compagni. Ho ideato un
Metodo di Studio che si chiama InterSUM, che cerca la risposta alla difficile
domanda: perché studio? In pochissimi hanno la risposta, ma solo la motivazione
ci può dare la vera spinta alla conoscenza.
In chiusura, quali
sono i prossimi impegni in programma?
Ci sono i laboratori di teatro già
partiti in autunno e nei primi mesi del 2023 ne partiranno di nuovi. Sto
scrivendo un nuovo libro, stavolta un romanzo. Il mio metodo di studio tornerà
per il secondo anno in un liceo romano per un ciclo di incontri. E poi tante
iniziative legate al mio libro e ad eventi culturali. E, infine, nel 2023 è
prevista la mia laurea in Scienze Storiche. Studiare fa bene alla salute!