Intervista a Damiano Leone, lo scrittore affascinato dalla cultura

Fattitaliani

 



di Laura Gorini

Sono una persona molto curiosa che ha avuto la fortuna di  poter disporre del tempo necessario per tentare di indagare su quello straordinario meccanismo che è l’universo...

Damiano Leone è un uomo colto che ama la Storia e che crede che sia realmente maestra di vita, come sostenevano gli altri. Il suo ultimo romanzo, decisamente molto particolare e per palati fini, assolutamente distopico e nel contempo utopico, si intitola L'inizio della notte.

Damiano, con quali parole si presenterebbe a chi non ha ancora avuto modo di conoscerla?

Non credo che esista una sola definizione in grado di offrire la comprensione completa di una personalità, così, a seconda del momento, a questa domanda rispondo a volte in modo diverso. Comunque, tra le tante risposte possibili le posso offrire questa: “Sono una persona molto curiosa che ha avuto la fortuna di  poter disporre del tempo necessario per tentare di indagare su quello straordinario meccanismo che è l’universo, e su quello altrettanto sconcertante che sono le vicende  umane.”

La scrittura- nel corso del tempo- è stata una grande maestra di vita per lei? Che cosa le ha insegnato?

Ho cominciato a scrivere troppo tardi per ammettere che questa attività abbia influito in modo decisivo sulla mia personalità: direi piuttosto che per me è stato il contrario, perché sono state le mie esperienze di vita a essere determinanti nell’influire sul mio modo di scrivere. 

E la Storia, gli antichi sostenevano che lo sia, lo è per lei?

Senza il minimo dubbio. La conoscenza delle vicende storiche, che però deve provenire da quante più possibili fonti alternative per bilanciare l’influsso di opinioni a volte contrastanti o non sempre imparziali, resta essenziale per comprendere non solo il passato o il presente, ma anche per azzardare ipotesi abbastanza plausibili sul futuro. Inoltre, le conoscenze storiche mi sono state indispensabili per realizzare romanzi di grande respiro come “Il simbolo” edito da Gabriele capelli, ed “Enkidu” pubblicato dalle edizioni Leucotea. 

In linea più generale, lo è  ancora per gli uomini odierni?

Certamente, e questo perché gli eventi, le motivazioni e le pulsioni che determinano le azioni umane, e quindi la storia, restano sempre uguali. Peccato però, che in generale le persone tendano ad illudersi che non sia così. 

Lei l'ha sempre amata fin da ragazzo?

A essere sincero no. Per almeno metà della mia vita l’ho praticamente ignorata dedicandomi soprattutto alle scienze fisiche con particolare attenzione verso l'astronomia. Soltanto in seguito a un cambiamento radicale del mio modo di vivere e del mio lavoro ho cominciato a interessarmi di storia e arte antiche.

Come si può- a suo avviso- avvicinare maggiormente i giovani al suo studio, anche al di fuori dei banchi di scuola?

Non sono un pedagogo, quindi a questa domanda molto importante posso rispondere solo facendo riferimento alle mie esperienze. In sintesi, alle nuove generazioni consiglierei di leggere un po’ di storia per cercare di imparare a riconoscere  trabocchetti che potrebbero farli cadere vittime delle illusioni demagogiche propinate da chi non desidera altro che ottenere denaro e potere. Questo sarebbe loro molto utile non solo per orizzontarsi nelle vicende politiche, ma anche nelle normali relazioni di tutti i giorni.  

Lei per mestiere ha sempre dovuto studiare molto. Che cosa la affascina delle famose sudate carte?

La ringrazio per il riferimento “Leopardiano” al quale tuttavia non mi sento davvero  di accostarmi. In ogni modo sono affascinato dalla conoscenza in generale, e proprio in virtù di una cultura basata in uguale misura su scienza e umanesimo, credo di aver avuto l’opportunità di acquisire una più equilibrata visione dell’esistente. 


La fatica, sia quella fisica, sia quella mentale, crede che sia ciò il più grande limite presente sovente nelle nostre vite?

Il nostro limite è la durata della vita, non l’impegno necessario per affrontarla. Comunque no, non temo la fatica, e ancora oggi, benché abbia ormai superato abbondantemente i settant’anni, mi dedico con regolarità alla lettura quanto all’attività fisica. Entrambe  servono ottimamente a gratificarmi, contenendo inoltre il naturale decadimento dovuto all’avanzare dell’età.

Nel suo ultimo romanzo lei guarda al futuro in una maniera molto particolare, perché questa scelta?

Credo che dipenda dalla mia formazione culturale. Le vicende storiche non mi fanno certo illudere sul destino dell’umanità, mentre la scienza, potenzialmente ideale per creare un mondo migliore, resta pur sempre soggetta all’uso che ne facciamo. 

Nel romanzo “L’inizio della Notte” non vado certo leggero nello stigmatizzare le fragilità intrinseche della nostra civiltà; poiché oltre che come narrazione di un possibile futuro è possibile interpretarlo come una metafora su ciò che l’umanità è, contrapposto a quello che potrebbe, e forse vorrebbe essere. Tuttavia, ben conscio di quanto sia difficile un tale cambiamento, ho affidato il destino del pianeta a una competizione tra l’homo sapiens e una nuova stirpe, figlia di quella attuale, ma non soggetta ai suoi limiti e debolezze ormai incompatibili con le crescenti complessità sociali, economiche e ambientali. 

Ma al di là della fantasia, lei come lo vede il suo futuro?

Spero che mi conceda ancora un po’ di tempo per continuare a meravigliarmi di questo crudele eppure meraviglioso e sorprendente fenomeno, che chiamiamo esistenza.
Fattitaliani

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