Edoardo Crisafulli: il mio diario di viaggio dall'Ucraina sotto assedio trasuda indignazione. L'intervista di Fattitaliani

Fattitaliani


Edoardo Crisafulli, addetto culturale presso l’ambasciata Italiana a Kiev, ha vissuto in prima persona i drammatici attacchi russi e i difficili momenti passati nei rifugi sotto i bombardamenti. È rimasto in Ucraina per diverso tempo assistendo i concittadini, per poi rientrare in Italia non senza difficoltà. I pensieri che gli frullavano in mente durante il rocambolesco viaggio di 33 ore per fuggire dall'operazione speciale scoppiata, con gran fragore di missili e bombe, il 24 febbraio 2022 sono raccontati nel volume "33 ore. Diario di viaggio dall'Ucraina in guerra" edito da Vallecchi. 33 ore, senza pause, mentre i paracadutisti russi scendevano dal cielo e le infrastrutture ucraine venivano polverizzate dagli attacchi. Tutti i fatti raccontati nel libro sono veri, così come i momenti più intensi. L'intervista di Fattitaliani all'autore.
Il suo “diario di fuga”, dall’Ucraina sotto assedio alla Moldavia, presenta i tratti di svariati generi letterari e in ciò sembra riflettere la poliedricità di interessi che caratterizza il suo curriculum vitae et studiorum. Quali sono gli elementi di continuità?

Sì, in effetti le mie passioni si sono intrecciate - a volte aggrovigliandosi - con le mie avventure professionali. Sono state le mie letture e i miei interessi a sospingermi verso una carriera internazionale, oppure la mia vita raminga all’estero ad aver stimolato un sostrato psichico che in Italia sarebbe rimasto latente? La dimensione internazionale è lo stagno in cui sguazzo. La poliedricità l’ho assorbita con il latte materno, per così dire: sono cresciuto in una famiglia mista, cosmopolita e plurilingue. Protestanti, cattolici, inglesi, irlandesi, ungaro-tedeschi e, naturalmente, italiani… Un bel guazzabuglio, insomma. Da questo background sono scaturite le scelte professionali che hanno segnato la mia vita. Anzitutto la passione per le lingue - mi sono laureato in Lingue e Letterature straniere all’Università di Urbino, poi gli studi di linguistica in Gran Bretagna, e infine il dottorato in teoria della traduzione letteraria. Ricordo che ero bambino e assistevo ad appassionati dibattiti fra i miei genitori sull’intraducibilità in italiano di parole come cosy e gemuetlich - “accogliente” non è proprio la stessa cosa. Una famiglia del genere è al tempo stesso spaesante e stimolante: da un lato ho avuto problemi di identità, dall’altro mi hanno sempre affascinato i problemi di comunicazione, l’interculturalità, la sociolinguistica ecc.  

Che questo diario di viaggio, così come l’ho concepito, sia una sorta di specchio della mia infanzia e adolescenza? Mia madre amava poesia e letteratura, ci parlava spesso dei suoi autori e testi preferiti, spesso a tavola. Mio padre era tutto incentrato sulla storia e sulla politica. Forse è per questo che cultura e politica le ho sempre vissute e concepite come un tutt’uno. Un diario di viaggio ibrido, in cui la narrazione fa da cornice a incursioni saggistiche, è congeniale alla mia personalità. Credo inoltre che questo sia un modo originale per dar conto di una situazione estremamente complessa qual è quella ucraina. L’autore prende una posizione politica nettissima: ritiene sacrosantamente giusto sostenere gli ucraini in lotta per la libertà - a tutti i livelli, incluso quello militare. L’io narrante, in una sorta di sdoppiamento schizofrenico, esprime orrore per tutte le guerre. La forma narrativa riesce a far coesistere le due prospettive. Il diario di viaggio mi consente di rievocare ricordi traumatici: mia nonna paterna, Mady Schwarze, era una profuga dall’Impero asburgico. E tale rimase tutta la vita. L’episodio sul campo profughi in Libano mi è costato sofferenza: per anni avevo relegato in un angolino della mia coscienza quell’eredità urticante, quel fardello famigliare causa di imbarazzo e disagio. Perché i profughi libanesi, ti chiederai. È presto detto: mi sforzo di trascendere il contingente, la particolare vicenda storica in cui sono immerso: abbraccio in uno sguardo ampio la condizione umana del profugo d’ogni tempo, nazione e luogo.

Il flusso di coscienza che si fa narrazione, mescolando presente e passato, letture erudite ed esperienze di vita quotidiana, sembra a volte accelerato dalla prossimità della morte. È una sensazione che ha avvertito anche lei, mentre scriveva, rivivendo quei ricordi?

La morte m’accompagna come un’ombra, da molti anni. Non a caso ho scritto e pubblicato una raccolta di racconti incentrati sul tema del trapasso, La Kamikaze e altri racconti del passaggio. Credo che la mia ossessione per la scrittura nasca proprio dalla volontà di sopravvivere a me stesso. Immagino sia così per tutti coloro che si aggrappano alle pagine che scrivono come a messaggi nella bottiglia. È inevitabile, poi, che un viaggio come quello che ho intrapreso appena due giorni dopo lo scoppio della guerra faccia pensare al fine vita. Ci pensi ogni istante. L’istinto di sopravvivenza si acuisce, se così si può dire, in quei frangenti. Sicché sperimenti una sorta di reazione allergica. Vuoi metterti al sicuro, scampare i pericoli, come farebbe un animale braccato. Nei momenti di lucidità, la tua anima filosofica – temprata da mille riflessioni – ti suggerisce un certo distacco, condito da un pizzico di fatalismo... E poi subentra l’indignazione. Non si può rimanere indifferenti rispetto al dispiegarsi della follia umana. Perché abbreviare le nostre esistenze in nome di ideologie, fanatismi, avidità di potere e ricchezze? È insensato! Ecco perché il mio diario di viaggio trasuda indignazione.


Sono trascorsi settantasette anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Come pensa che reagirebbero gli italiani, da tanto tempo avvezzi alla pace, a un’invasione del proprio territorio nazionale?

Credo che gli italiani – senza batter ciglio – imbraccerebbero le armi, animati dalla volontà di difendere le loro case e le loro famiglie. L’hanno già fatto, durante l’occupazione nazista. Non vedo perché non dovrebbero farlo di nuovo. Non ho mai creduto a questo mito dell’italiano buono e pacioccone, incapace di premere il grilletto – mito che deraglia pericolosamente nello stereotipo negativo dell’italiano pauroso, pessimo soldato. Il che non è vero: gli alpini, in Russia, si batterono eroicamente in quella che era una guerra sbagliata; i partigiani fecero altrettanto nella guerra di liberazione, che invece era giustissima. L’italiano medio da molto tempo non cova pulsioni nazionaliste, per fortuna. Ma la difesa della patria risveglia istinti atavici…. Penso, infine, che molti pacifisti, nel caso di una invasione, cambierebbero idea all’istante: è nobile propugnare il pacifismo, ma è fin troppo facile essere pacifisti intransigenti quando si vive sotto protezione. È fin troppo facile dispensar consigli quando sono gli altri popoli a dover soccombere a un’aggressione, quando altri Paesi dovrebbero cedere ampie porzioni del territorio nazionale per garantire la pace nostra.

Nella sua carriera lavorativa ha viaggiato e vissuto in molti paesi: Arabia Saudita, Libano, Israele, Giappone, Ucraina. Qual è la dote caratteriale che le è stata più utile per interagire con culture tanto diverse, superando gli inevitabili conflitti?

La curiosità, direi. L’esser curioso nel modo giusto predispone al rispetto e all’ascolto. La curiosità è una forza travolgente che ti induce ad approfondire e a studiare. È essenziale conoscere chi è diverso da te, prima di giudicarlo. La curiosità mi ha spinto nelle braccia dell’Islam: la mia cultura politica laica e l’esser cresciuto in una società secolarizzata mi predisponevano al rigetto dell’Islam più tradizionale che ho incontrato a Gedda, in Arabia Saudita (il mio primo lettorato di ruolo, con il Ministero degli Esteri). È stata proprio un’innata e irrefrenabile curiosità a spezzare le mie catene mentali: così ho deciso di apprendere l’arabo, lingua che mi ha fatto scoprire un universo esotico e intrigante.

I media oggi abbondano di informazioni sull’Ucraina: non solo cronaca e dibattiti (geo)politici, ma anche storia, arte, letteratura, lingua … Che cosa offre in più al lettore il suo diario di viaggio?

Credo (e spero) che il mio diario susciti emozioni forti e, al tempo stesso, faccia riflettere. Una folata di pensieri in libertà, senza ordine precostituito, in una narrazione con ritmi incalzanti, è ideale: pur partendo dalla politica, dalla storia che si sta compiendo sotto i nostri occhi, la narrazione consente di trascendere la contemporaneità. E infatti accenno a temi universali: guerra, odio, identità, memoria. Offro altresì alcune chiavi di lettura del conflitto, desunte dai miei studi, che mi paiono più sofisticate dei luoghi comuni che circolano: a) l’assenza, in Russia, di un principio politico-giuridico di successione che legittimi la rotazione delle élite al potere; b) la reazione zelota, ovvero di stampo fondamentalista, a una civiltà, quella occidentale, che è “radioattiva” perché fondata sui diritti e sulle libertà; C) il fallimento disastroso, in ambito socio-economico, delle élites postsovietiche (mentre la Cina è riuscita a coniugare uno Stato autoritario con una economia fiorente). Il combinato disposto di questi fattori ci restituisce una formula altamente esplosiva e tossica: Putin, logorato dall’esercizio ventennale del potere, riafferma il suo primato quale autocrate-zar di tutte le Russie; l’ideologia anti occidentale fa da collante a un regime dispotico che devia il malcontento delle masse verso l’esterno (Putin inventa un nemico minaccioso, corrotto e contaminante, ai propri confini); il sottosviluppo, infine, suggerisce la strada brutale e primitiva della razzia in Ucraina: il bottino (terre fertili, giacimenti, industrie, nonché il dominio su una popolazione scolarizzata e industriosa) sarà la linfa vitale di un impero esangue, in disfacimento. La Russia, insomma, è un colosso con i piedi d’argilla. Non mi compiaccio di ciò: ho sempre amato la letteratura e la cultura russe. E l’ultima cosa a cui vorrei assistere è una implosione della società russa, o una rivoluzione: di bagni di sangue ce ne sono stati abbastanza in Europa!

Fattitaliani

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