Aurelio Armio presenta "Il vaso di Pandora”: un giallo deve essere azione. L'intervista

Non vuole saperne di essere definito scrittore, eppure è arrivato al terzo giallo e ha pubblicato una raccolta di componimenti in versi. Mille passioni che spesso si accavallano fra loro.

Il “non scrittore” di cui parleremo è Aurelio Armio che ha presentato da poco il suo ultimo giallo.

Milanese di Sesto San Giovanni trapiantato sul lago di Garda, a Desenzano, dopo un andirivieni tra la sua città natale e alcuni paesi del cremasco.

Scrive per passione così come si occupa di editoria per pura passione, prima di tutto viene la sua professione che deve accompagnarlo fino all’agognata data della pensione.

Una morte sospetta in un centro ippico: da qui prende il via una serie di eventi che si rincorrono freneticamente.

Questo è “Il vaso di Pandora”, un giallo che rispecchia lo stile di quello che lo ha preceduto, “La tartaruga di Giada”, stessi personaggi, stesso ritmo, ma qualche sorpresa in più. Come è nato questo tuo terzo giallo?

Prima di affrontare qualsiasi argomento vorrei iniziare con due ringraziamenti importanti per due persone che hanno impreziosito questo libro con la loro partecipazione, sono due carissime amiche: Ornella De Rosa, affermatissima pittrice che mi ha concesso l’immagine di un suo dipinto per la copertina del libro e Rosaria Lo Bono che ha curato i dialoghi in dialetto siciliano, o meglio termitano, visto che lei è di Termini Imerese, del libro. Tornando al vaso e a quella che contiene, anche in questo caso, come per “la tartaruga”, lo spunto iniziale l’ho avuto da un episodio realmente accaduto e vissuto in questo caso. Mentre per “La tartaruga di giada” a stimolare la mia fantasia è stata la notizia letta su un giornale di un bizzarro omicidio commesso in Nuova Zelanda, per “Il vaso di Pandora” ho preso spunto, magari anche cinicamente, da un episodio di cui sono stato testimone qualche decennio fa. L’incidente mortale che dà inizio alla vicenda, ovviamente artefatto per la narrazione della storia, è realmente accaduto ed è accaduto proprio nei luoghi dove l’ho descritto, guarda caso sempre attorno al Monte Conero.

Per quanto riguarda la frenesia a cui accenni nella domanda, beh, quando scrivo mi immagino di essere nel cuore dei fatti che racconto, sono convinto che un giallo debba essere azione; perciò, i fatti accadono uno dopo l’altro e lascio molto spazio ai dialoghi diretti tra i personaggi senza eccedere in lungaggini descrittive.

Forse dietro tutto questo c’è la mia convinzione che con questo mio stile (se di stile possiamo parlare) riesco a coinvolgere maggiormente il lettore, creando curiosità per ciò che accadrà nella pagina seguente.

 

Il Monte Conero e quella zona della Marche sono sempre il fulcro dei tuoi ultimi due libri, come mai?

Sono zone che amo moltissimo, le ho come tatuate dentro di me. In quei posti ho lasciato molto di me ed è stato facile ambientare parte delle vicende che coinvolgono le “mie poliziotte” in luoghi a me famigliari.

 

In questo vaso riproponi non solo una sequenza di delitti e crimini, ma riproponi in maniera più accentuata ed esplicita del libro precedente anche situazioni di sesso e trasgressione nel quali sono coinvolte molte delle protagoniste del libro. Perché questa scelta?

Una domanda che mi è stata posta più volte da chi ha letto “La tartaruga di giada”. Ho disegnato le protagoniste dei due libri esuberanti in tutti i sensi: giovani investigatrici con il vizio di sparare e allo stesso tempo giovani donne con le loro passioni, gli amori, le fragilità, e perché no, con il debole per la trasgressione.

Mettiamola così: probabilmente ho descritto cose che molte persone fantasticano nei propri pensieri, magari qualcuno non si limita al solo fantasticarle e mette in pratica.

Dietro a una serie di delitti e crimini perpetrati anche con ferocia, si possono anche scoprire storie di profonda amicizia che legano le protagoniste principali. Forse i rapporti interpersonali sono in realtà il vero succo dei miei libri, ma su questo lasciamo a chi leggerà dare la propria interpretazione personale.

 

Torniamo al libro: dicevi che per “Il vaso di Pandora” hai preso spunto da un episodio non piacevole a cui hai assistito. Poi lo sviluppo dei fatti a volte sembra caotico, in taluni casi sembra quasi di non raccapezzarsi più per poi arrivare a un finale assolutamente imprevedibile. A volte sembrerebbe che tutto sia stato improvvisato anziché pianificato.

Mi piace dire che tutto il senso del libro sta nelle prime pagine e nelle ultime: quello che c’è in mezzo è il semplice collegamento tra l’inizio e il finale del libro. Quando il lettore arriva alla fine capisce il perché di quella apparente confusione.

 

Una caratteristica che accomuna tutti i tuoi gialli è la precisa collocazione dei fatti in luoghi reali, chi legge i tuoi racconti potrebbe farlo con a fianco una cartina geografica e immaginare di trovarsi nel cuore della vicenda. Una scelta molto differente da altri narratori che creano luoghi di fantasia per ambientare i loro romanzi.

In parte ho già anticipato la risposta in una domanda precedente. Comunque, è vero, preferisco collocare i fatti dei miei libri in luoghi realmente riconducibili. Direi che non è solo per il piacere di ricordarmi di posti che ho visitato, hotel dove ho soggiornato o ristoranti dove ho mangiato come se stessi sfogliando un album dei ricordi.

I luoghi reali mi rendono più facile articolare le sequenze dei fatti ed è più facile descrivere alcuni particolari.

 

Quello appena presentato il 22 ottobre è il terzo romanzo. Ma perché dedicarsi ai gialli piuttosto che a qualche altro genere letterario?

E qui torniamo al fatto che non sono scrittore, scrivendo gialli penso che sia molto più facile che non addentrarmi in altri generi, è come se anziché scrivere un racconto destinato alla stampa stessi scrivendo la sceneggiatura di un film. Ma questa è pur sempre l’opinione di un “non scrittore”.

 

Ci dobbiamo aspettare un seguito per le indagini delle protagoniste di questi ultimi gialli?

Chissà! Al momento non è in programma. Vorrei lasciarle riposare un po’ le poliziotte, magari qualcuna di loro vorrà sposarsi e mettere su famiglia. Per ora sto lavorando su un’idea, sempre un giallo, ma con una collocazione temporale a cavallo della seconda guerra mondiale, vediamo se riesco a partorirla.


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