Proscenio, Fattitaliani intervista Bernardino De Bernardis autore di "E vissero felici e colpevoli"

Fattitaliani

Al Teatro de' Servi fino al 16 ottobre è in scena "E vissero felici e colpevolispettacolo di Bernardino De Bernardis con la regia di Marco Simeoli: una commedia inedita, giovane e attuale che si interroga su quanto si è veramente liberi di decidere l’esito della nostra vita, che spinge a riflettere sui temi di destino, libero arbitrio, natura, e su cosa indirizza le nostre scelte determinandone i percorsi. Ambientata a Napoli agli inizi degli anni 2000. L'intervista di Fattitaliani all'autore per la rubrica Proscenio.

In che cosa "E vissero felici e colpevoli" si contraddistingue rispetto ad altri suoi testi? 

Da un punto di vista strutturale è in linea con tutte le precedenti ovvero all’interno di un contesto prevalentemente brillante, con molti ammiccamenti a dinamiche comiche, si inserisce un intreccio fondamentalmente serio. Questo nella consapevolezza che i momenti particolarmente drammatici risultano ancora più forti se avvengono in una situazione il più vicino possibile ad una quotidianità in cui il normale andamento della vita può essere interrotto all’improvviso senza alcun preavviso da momenti spiacevoli se non dolorosi. Mentre si differenzia dalle altre forse per la tematica affrontata: se nelle precedenti emergevano temi sostanzialmente sociali (immigrazione, criminalità ecc. ecc…), in questa i protagonisti si confrontano con un tema più introspettivo e per certi versi filosofico ovvero : quanto si è veramente liberi di decidere il proprio destino; e con esso tutte le connessioni con il concetto di libero arbitro e senso di colpa.

Com'è avvenuto il suo primo approccio al teatro? Racconti...

Per un napoletano il primo approccio al teatro è probabilmente quello di esservi nato, so che si può cadere in un luogo comune e per certi versi lo è; tuttavia penso che il teatro a Napoli sia il mezzo attraverso il quale riuscire, o quanto meno provare, a dare un senso a quelle miriadi di contraddizioni di cui alternativamente è artefice o vittima.

Quando si scrive un testo nuovo può capitare che i volti dei personaggi prendano man mano la fisionomia di attrici e attori precisi?

In linea di principio penso che un bravo attore riesca e debba essere lui ad avvicinarsi al personaggio facendo sue, anche attraverso un processo di personalizzazione, i sentimenti che l’autore ha voluto esprimere senza però rinnegare le proprie emozioni da cui sempre partire. Poi può capitare che mentre si scrive si pensi che un attore o una attrice possa essere più indicata, ma senza che questo sia il presupposto da cui partire. Ovviamente non esistono regole precise e può capitare che talvolta un attore o una attrice sia per un autore una fonte di ispirazione talmente forte da essere il motivo della sua scrittura è questo va bene lo stesso. Nel caso di “E vissero felici e colpevoli” mi sento profondamente fortunato e grato nei confronti di tutto il cast di cui ho il piacere di far parte. Ho avuto la possibilità di conoscere compagni di viaggio eccezionali che mi fa piacere nominare: Francesco Piccirillo, Francesco Romano, Mariano Viggiano, Salvatore Riggi, Giorgia Lunghi, Luca Negroni, Stefano Masciarelli e con loro quelli che chiamo gli attori fuori scena ovvero l’aiuto regia Matteo Fasanella, lo scenografo Maurizio Marchini e il light designer Marco Laudando. I personaggi in scrittura sono sempre personaggi a metà che aspettano di essere calzati degli interpreti che li completeranno con le loro emozioni. In questo sono particolarmente grato a tutti gli interpreti che hanno amato i personaggi dandogli un’anima. Per il mio personaggio inevitabilmente sono partito dalle mie paure, incertezze, contraddizioni facendone prendere forma anche negli altri personaggi in un gioco di contrappunti e rimandi in cui alla fine sembra che tutti rappresentino vari aspetti di uno stesso personaggio.

Per un autore teatrale qual è il più grande timore quando la regia è firmata da un'altra persona?

Il più grande timore per un autore che affida la regia ad un’altra persona è quella di non sentire amato il proprio testo. E quando dico amato non intendo dire apprezzato, in quanto non tutti gli autori possono avere la presunzione di aver scritto il capolavoro che tutti aspettano, ma amare significa prendersi cura di una cosa con tutti i limiti che essa può avere. E in questa esperienza io sono stato particolarmente fortunato. Marco Simeoli, che ha accettato di firmare la regia, sin da subito ha manifestato un amore e una sensibilità fuori dal comune nei confronti del testo e di tutti gli interpreti coinvolti e di questo gli sarò infinitamente grato anche e soprattutto per l’insegnamento umano che ne ho tratto. Ha fatto crescere lo spettacolo e con esso ha fatto crescere tutto il gruppo.

D'accordo con la seguente affermazione di Voltaire “La scrittura è la pittura della voce”?

Si sono d’accordo, la completerei dicendo “La scrittura è la pittura della voce … la cui tavolozza è il cuore”. Penso che la radice di tutte le cose si debba sempre far risalire ai sentimenti sani, puri, ingenui da cui siamo partiti.

Il suo aforisma preferito sul teatro... o uno suo personale...

Non so se sia un aforisma ma ricordo con piacere sempre una risposta che diedi alla domanda “perché vuoi fare l’attore??” che fu “perché mi sono stancato di recitare nella vita…”

Degli attori del passato chi vorrebbe come protagonisti ideali di un suo spettacolo? 

Un attore che ho particolarmente amato e che continuo ad amare è Massimo Troisi, un attore che ha fatto delle sue debolezze la sua forza. Il tipico personaggio sempre fuori posto, l’anti eroe per eccellenza. Nei suoi silenzi imbarazzati riusciva a dire miliardi di cose inesprimibili. Penso di aver visto tutto di lui ma non tutto, il film Il postino lo vedo fino ad un certo punto e poi mi fermo, è il mio tentativo di esorcizzare la sua prematura scomparsa pensando che c’è ancora qualcosa che non so di lui.

La migliore critica che vorrebbe ricevere?

Non so sinceramente quale possa essere la migliore critica che possa ricevere ma non per snobismo, nel senso che qualsiasi cosa positiva mi venga detta non può che far piacere, i complimenti a tutti piacciono e spesso per molti sono il motivo per continuare a fare questo lavoro. Posso però dire che lo sguardo del pubblico a fine spettacolo sono la vera cartina di tornasole. Gli occhi non mentono, lì capisci se sei arrivato al loro cuore e quando ciò avviene è la più bella gratificazione possibile.  

C'è un passaggio, una scena che potrebbe sintetizzare in sé l'essenza e il significato di "E vissero felici e colpevoli"?

Forse ve ne sono più di uno ma potrei anticipare qualcosa del finale, però diciamo che nel titolo un po' emerge l’essenza ovvero che nessuno si può ritenere innocente del tutto e che forse “a noi tocca giocare al meglio delle nostre possibilità sperando che questo basti”…. Giovanni Zambito.


LO SPETTACOLO
Napoli, inizi anni 2000, in un riformatorio della periferia della città, 5 ragazzi, un operatore sociale e un direttore dell’istituto di pena nel tentativo di dare risposte alle proprie aspettative saranno costretti a confrontarsi con i propri fantasmi. Gli obiettivi degli uni si scontreranno con gli obiettivi degli altri generando divertenti scontri che permetteranno ai nostri protagonisti di superare i propri iniziali pregiudizi. I ragazzi, tra aspettative e voglia di riscatto, si troveranno alle prese con l’allestimento di uno spettacolo, la commedia di Aristofane “Gli Uccelli”, proposta dall’operatore sociale ma contrastata dal Direttore dell’istituto. Quest’ultimo, infatti, nella convinzione che la pena sia la giusta ed unica conseguenza di comportamenti illeciti, vede nell’allestimento dello spettacolo, non un percorso di riabilitazione, ma semplicemente un’occasione per ambire a promozioni ministeriali. L’operatore sociale, seppur promotore dell’iniziativa, dietro di essa nasconde il vero motivo che va ricercato in un passato ambiguo e conseguenti sensi di colpa mai rimossi. Infine i ragazzi, seppur vedono in quest’occasione un modo alternativo di rapportarsi con la realtà circostante, dovranno comunque fare i conti con tendenze aggressive a cui sono state fino ad allora abituati.

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