Sovente si sente parlare di patria, ma molti giovani di oggi non sanno nemmeno che cosa sia. Sui libri di scuola, così come in molti poemi si legge tale definizione, ma anche una volta che viene sviscerata a fondo si fa davvero fatica a capire il suo vero e autentico valore per il quale in passato tante persone hanno sacrificato se stesse e la loro vita. Anche sui banchi di scuola si tende a studiare poco quei momenti in cui gli italiani, orgogliosi di esserlo, per mantenere la loro identità, combattevano per la loro indipendenza, una parola che affascina ma che nel contempo fa anche paura perché implica coraggio, determinazione e grande maturità.
E
anche quando lo si appura ci sembra oggi più che mai una scelta coraggiosa ma
anche fuori luogo. Oggi che non sappiamo che cosa significhi l'amore per la
propria patria e per la propria terra, per i propri usi e per i propri costumi.
Non conosciamo talora nemmeno le sue bellezze e le sue grandezze e andiamo a
cercare altrove quello che potremmo avere vicino a noi. Eppure quel desiderio
di emergere e di annullare le ostilità, talora decisamente forti, che molti
uomini e molte donne hanno vissuto sulla loro pelle, a volte li/le riconosciamo
nelle nostre vite quando decidiamo di immigrare e di farci rispettare in un
altro Paese o in un'altra regione diversa da quella dove siamo nati e
cresciuti. Magari abbiamo deciso di vivere lì per costruirci una nuova vita
professionale o sentimentale, o ancora per cambiare aria e tentare di dare una
svolta alla nostra esistenza che fino a quel momento non ci convinceva
pienamente e non ci rendeva felici.
Ma questo non ci deve comunque mai e poi privare di quell'amore che è ancora in potenza dentro di noi, nascosto dentro il nostro cuore, e ancor più nella nostra anima, che è quello per la patria che non deve emergere solo quando la nazionale di calcio vince un mondiale o un europeo di calcio o di altre discipline sportive, bensì deve esserci sempre e non essere nascosto- metaforicamente parlando- in un angolo nascosto dei nostri pensieri. E Resta quel che resta con il suo racconto, dipanato nel corso del tempo, ci aiuta a comprenderlo meglio, non senza aver versato qualche lacrima, ricca di dolore e di sentita amarezza per quel che è stato senza che molti di noi siano riusciti davvero a rendersene conto.
Sinossi
Siamo
a Bolzano negli Anni Venti dello scorso secolo. In quel periodo il
Sudtirolo
era italiano dalla fine della Grande guerra, ma lo era solo sulla carta dal
momento che, dati alla mano, la popolazione tedesca era la maggioranza.
Il
regime fascista intraprese una poderosa campagna di italianizzazione,
spingendo- in maniera poco ortodossa-
sia gli operai che contadini a cercar fortuna al Nord, nelle terre
appena conquistate, promettendo loro sia dignità che benessere.
Ad
accomunare le famiglie che si trasferirono come i Marchetti che sono originari
di Vicenza e fascisti doc e i Ceccarini, le cui origini trovavano spazio in
Maremma e che erano più diffidenti nei confronti del Regime, era
sostanzialmente una cosa sola, ovvero il desiderio, decisamente forte, per
certi versi accecante, di emergere e di farsi sempre più strada, in ogni
maniera possibile e immaginabile, in un mondo che- in teoria- doveva essere
loro ma che in realtà non lo era e si dimostrava loro pure assai ostile e
malevolo. E poi- a dirla tutta- nemmeno i tedeschi credevano nella pacifica
convivenza. Uno fra questi è stato Erwin Egger, un mite commerciante gravato
dal fardello di un figlio affetto da una misteriosa infermità mentale. Gli
altri, primo tra tutti il medico Alfred Gasser, nascondevano pericolosamente
dietro una facciata di moderazione una feroce smania di rivalsa contro
l’oppressione fascista. Ed è su queste basi che si poggia il romanzo e tutti i
fatti, decisamente numerosi, che si legheranno in maniera forte e indissolubile
proprio le famiglie Gasser, Marchetti, Ceccarini, Egger e Ranieri che
impareremo a conoscere un poco alla volta tra le pagine.
Ci
spostiamo poi agli Anni Quaranta: la guerra è iniziata ma non nel nostro Paese.
In quel momento le bimbe, appena nata, due gemelline, di Alfred Gasser, sono
state rapite: è stato il giardiniere italiano della famiglia a compiere il
terribile atto! Si tratta di un certo Sante Marchetti, da tempo affetto da una
gravissima malattia psichica, tenuta celata agli occhi della gente del posto (e
non solo!) per la quale non si era nemmeno trovata una degna definizione, né
tanto meno trovata una cura.
Egli
ne uccide una ma, con l'aiuto dei suoi cari, che hanno voluto proteggerlo dal
massacro, è riuscito a nascondere il corpicino e a passarla liscia. Ma, finita
la guerra, ecco che nuovi dolori affioreranno in superficie e che la verità
comincia a venire pericolosamente e inevitabilmente “a galla”. Chi sono stati
davvero i vincitori? E- soprattutto- si sono potuti definire tali?
L'autrice
Katia Tenti è nata e
vive a Bolzano. Si è laureata in sociologia a Trento e per anni si è dedicata
all'approfondimento dei fenomeni di devianza sociale. Da sempre si occupa di
cultura, di teatro e di arte contemporanea.
È autrice di diversi
format culturali di musica, di teatro, di arte e di letteratura dedicati ai
giovani talenti.
I suoi romanzi sono
ambientati in Alto Adige, sua terra di origine - caratterizzata da forti contraddizioni
sociali, culturali e etniche - per la quale nutre un sentimento di attaccamento
profondo.
Per Marsilio Editori
ha pubblicato Ovunque tu vada (2014) e Nessuno muore in sogno
(2017). Per Piemme ha invece dato alle stampe Resta quel che resta (2022).
Dettagli:
Autore: Katia
Tenti
Editore: Piemme
Genere:
Narrativa
Pagine: 458
Anno di pubblicazione:
2022
Contatti autrice:
https://www.facebook.com/katiatenti/
https://www.linkedin.com/in/katiatenti/